Prima le notizie di scontri nella giunta regionale tra l’assessore all’istruzione e la componente ciellina e poi l’annuncio che in tema di “buono scuola”, cioè di finanziamento pubblico alla scuola privata, si cambia registro. “Stop ai contributi a pioggia”, titola oggi il Corsera di Milano, e la Regione fa sapere che d’ora in poi per avere il buono scuola bisognerà presentare l’indicatore Isee.
Detto così suona quasi come una piccola rivoluzione. Da non crederci, insomma. E infatti non credeteci troppo, perché non di rivoluzione si tratta, ma piuttosto del tentativo di salvare il più iniquo dei sussidi pubblici lombardi dalle contestazioni e dai probabili guai giudiziari o contabili.
Ma andiamo con ordine e vediamo anzitutto cosa cambia e cosa non cambia nel sistema della Dote Scuola. Anzitutto, non varia minimamente la distribuzione delle quantità economiche da erogare per il prossimo anno scolastico: 30 milioni di euro vanno al buono scuola, riservato alle famiglie degli studenti delle scuole private, e 5 milioni (che si aggiungono ai 5 milioni di fondi vincolati dello Stato) vanno a finanziare il “contributo acquisto libri di testo e dotazioni tecnologiche”, che sostituisce il precedente “sostegno reddito” e che sarà accessibile agli studenti delle statali, delle private e della formazione professionale.
A questo proposito, va ricordato che la discriminazione degli studenti delle pubbliche era stata accentuata proprio nel dicembre scorso, allorquando Maroni decise di indirizzare la quasi totalità dei tagli verso la scuola pubblica. Infatti, il buono scuola diminuì di poco, da 33 a 30 mln, mentre le voci “sostegno al reddito” e “merito” passarono rispettivamente da 23,5 a 5 mln e da 5 mln a 0 (zero).
L’unica novità sta dunque nella modalità di attribuzione del buono scuola. Già, perché fino ad oggi in Lombardia c’era uno scandalo nello scandalo, poichè mentre i comuni mortali, comprese le famiglie delle scuole pubbliche, dovevano esibire la certificazione Isee per poter accedere a un qualsiasi contributo regionale, le famiglie delle scuole private –e soltanto loro- potevano contare su un “indicatore reddituale” inventato ad hoc, che escludeva dal calcolo ogni patrimonio mobiliare e immobiliare. Fu così che per lunghi anni sussidi pubblici finivano nelle tasche di famiglie benestanti con tanto di casa di proprietà in pieno centro di Milano.
Ebbene, ora questo privilegio non c’è più e ci vorrà l’Isee. Senza esagerare, beninteso, visto che per le famiglie della scuola pubblica il limite massimo è di 15mila euro di reddito Isee, mentre per quelle delle private il limite è di 38mila, che equivale a un reddito dichiarato fino a 100mila euro. E poi, questo sistema è in vigore “in via sperimentale” e a giugno si ridiscute tutto.
Per chi, come il sottoscritto, si batte da molti anni contro l’odioso buono scuola, questa novità equivale certamente a una conferma della giustezza della battaglia fatta. Ma soprattutto significa che iniziano a fare effetto le mobilitazioni degli ultimi mesi, dai cortei studenteschi agli appelli e alla petizione sottoscritta da oltre 10mila cittadini, e le cause promosse da alcuni genitori della scuola pubblica.
E così, visti anche i tempi che corrono, era meglio mettere le mani avanti, almeno sugli aspetti più ripugnanti e indifendibili. Appunto, non per eliminare il privilegio e la discriminazione, bensì perché tutto rimanga come prima. Una ragione in più per non abbassare la guardia e, anzi, rilanciare la mobilitazione per la scuola pubblica e per l’abrogazione del buono scuola.
Luciano Muhlbauer