Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 31 luglio 2007 (pag. Milano)
Luglio è un mese maledetto. Ci portò via la scala mobile e ora ci consegna l’accordo che innalza l’età pensionabile e conferma la Legge 30. Ma anche il Presidente della Lombardia, Formigoni, ha pensato bene di approfittare delle particolari proprietà di luglio e così, nella disattenzione pubblica generale e con le scuole chiuse, venerdì 27 il Consiglio regionale ha approvato la legge sul nuovo “sistema educativo di istruzione e formazione della Regione Lombardia”.
Il tutto iniziò in aprile, quando la Giunta regionale inondò le città lombarde con cartelli pubblicitari che annunciavano la nuova legge, anche se l’iter in Consiglio non era nemmeno iniziato. Cioè, una spesa di mezzo milione di euro, attingendo illegittimamente ai fondi europei (Fse), per propagandare quella che allora era una semplice proposta del centrodestra. I metodi spicci avrebbero poi caratterizzato anche i lavori in Commissione, dove il progetto di Formigoni si confrontava con altri due, uno del Prc e l’altro dell’Ulivo. La parola d’ordine era “fare presto” e, di conseguenza, le 80 audizioni si consumarono in un batter d’occhio e alla fine è stato approvato un Pdl sostanzialmente identico alla proposta iniziale, pieno di buchi e rinvii –dalla norma finanziaria all’offerta formativa- e che, comunque, non potrà entrare realmente in vigore prima dell’anno scolastico 2008-2009. Insomma, una storia iniziata male e finita peggio.
Ma, in fondo, il metodo adottato si spiega con il merito del provvedimento, il cui rilievo è inversamente proporzionale al livello di attenzione che la sua approvazione ha suscitato. La tesi di fondo che ispira la legge è che alla Regione compete non soltanto la formazione, ma altresì l’istruzione tecnica e professionale. Non a caso, già alla fine di maggio Formigoni ha impugnato presso la Corte Costituzionale l’articolo 13 del decreto Bersani, che appunto riafferma la competenza statale.
Tuttavia, non siamo soltanto di fronte alla solita offensiva “federalista”, che da queste parti si traduce in un crescente accentramento di potere nelle mani del Presidente-Principe, a discapito sia dello Stato che degli enti locali, bensì a un attacco bello e buono alla scuola pubblica. Il nuovo sistema regionale, infatti, si basa sulla piena equiparazione tra pubblico e privato e sul finanziamento attraverso la quota capitaria, che assegna le risorse in base al numero di studenti, e il “buono scuola”, che è accessibile soltanto alle famiglie delle scuole private. Va aggiunto, inoltre, che ogni istituto sarà libero di assumere il proprio personale come meglio crede, senza dover ricorrere a fastidiose graduatorie. Insomma, un’istruzione che si fa mercato e terra di conquista per un privato che campa sui sussidi pubblici.
L’idea di scuola che propone la filosofia formigoniana è la medesima che ispirò la Riforma Moratti. E così l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni non è vissuto come un’opportunità, in una regione dove la dispersione scolastica è in aumento e la mobilità sociale bloccata, bensì come una banale opportunità per rilanciare il doppio canale morattiano. Una concezione della scuola profondamente classista, dove non conta formare cittadini, ma produrre braccia per il mercato. Gli studenti che provengono dai ceti popolari o dall’immigrazione, a meno che non siano particolarmente “capaci e meritevoli”, saranno così destinati all’avviamento precoce al lavoro.
Non bisogna essere dei geni per capire che una siffatta controriforma non lascerà indifferente il quadro nazionale, dove l’immobilismo governativo e la mancanza di risorse offrono il fianco a quanti, non solo a destra, vogliono rilanciare la Riforma Moratti. Ancora più grave appare, dunque, la scelta della benevola astensione da parte del Partito Democratico lombardo, condita con attacchi espliciti contro i “conservatori” di sinistra che vogliono abrogare la Moratti.