Blog di Luciano Muhlbauer
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 26/04/2005, in Migranti&Razzismo, linkato 1097 volte)
Dopo il corteo del 25 aprile di Milano, circa 200 persone si sono recate in Via Corelli per esprimere solidarietà con gli immigrati detenuti nel Cpt, in stato d’agitazione da ormai più di due settimane.
I responsabili delle forze dell’ordine non hanno consentito al presidio pacifico di avvicinarsi al centro di detenzione, né alla delegazione del “Comitato d’appoggio” di poter incontrare i reclusi, come questi ultimi avevano richiesto. Alla fine è stato consentito l’accesso al Cpt unicamente ai due rappresentanti istituzionali presenti, il Consigliere Regionale del Prc, Luciano Muhlbauer, e il Consigliere Provinciale del Prc, Piero Maestri, negando però l’assistenza al colloquio di un interprete.
La delegazione di cinque detenuti, in rappresentanza di tutte le camerate del Cpt, -dopo aver sottolineato ancora una volta l’invivibilità della loro condizione di detenzione e quindi la richiesta di libertà- ha richiesto un nuovo incontro diretto con i rappresentanti della Prefettura, come avvenuto già giorni fa, dato che secondo quanto denunciato dai detenuti, gli impegni assunti in quella occasione non sarebbero stati rispettati. Inoltre, è stato chiesto che nel frattempo non venissero attuate delle espulsioni punitive nei confronti dei detenuti che hanno parlato con i Consiglieri, nonché la possibilità di poter incontrare dei giornalisti.
La Prefettura, contattata immediatamente dai Consiglieri presenti, nella persona del Capo Gabinetto, dott. Tortora, ha tuttavia respinto tutte le richieste, dichiarandosi indisponibile al dialogo con i reclusi, ribadendo il divieto per i rappresentanti del Comitato d’appoggio di poter incontrare i detenuti, non fornendo alcune garanzie circa espulsioni punitive ed arbitrarie e negando persino la possibilità che la stampa possa accedere al Cpt.
Questa è la cronaca di una serata stupefacente, in un luogo, il Cpt di Via Corelli, considerato dalla stessa pessima legge non un carcere, ma un “centro di permanenza temporanea e accoglienza”, dove i reclusi vengono definiti “ospiti”, anche se possono passarvi fino a 60 giorni in condizione di assoluta privazione della libertà personale, senza aver commesso alcun reato.
E stupisce e preoccupa ancora di più l’atteggiamento irresponsabile e sordo assunto dalla Prefettura, la quale, dopo due settimane di ripetute denunce circa irregolarità e di continue rivolte all’interno del Cpt, non trova di meglio che scegliere la strada di una fermezza fuori luogo, rifiutando le forme più elementari di dialogo e confronto con delle persone, colpevoli unicamente di aver cercato una possibilità di futuro in Italia.
Auspichiamo che il Prefetto Ferrante possa correggere al più presto questa posizione e nel contempo invitiamo tutte le forze associative e politiche democratiche di far sentire la proprio voce, anche per evitare che succedano cose irreparabili.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer e Piero Maestri
 
 
di lucmu (del 10/05/2005, in Migranti&Razzismo, linkato 1106 volte)
Nella tarda serata di ieri una cinquantina di detenuti e detenute immigrati del CPT di Milano ha occupato per diverse ore i tetti delle camerate. Dopo alcuni giorni di relativa calma, è ripresa dunque la protesta da parte dei cittadini stranieri, che segna da ormai oltre un mese la vita interna del lager di Via Corelli.
I detenuti e le detenute, oltre a ribadire la richiesta di libertà per tutti, hanno chiesto di poter parlare con la stampa, al fine di esporre alla cittadinanza di Milano la loro situazione. La Prefettura, tuttavia, ha negato l’accesso alla stampa e, nello specifico, ad una giornalista di Radio Popolare già presente sul posto, così come al Consigliere provinciale di Milano, Piero Maestri. Alla fine, come previsto peraltro dalla legge, è stato consentito l’ingresso unicamente al Consigliere Regionale di Rifondazione, Luciano Muhlbauer.
“Attorno a mezzanotte, dopo il mio ingresso – racconta Muhlbauer - i detenuti hanno deciso di scendere dai tetti e con loro ho parlato per quasi tre ore. Le denunce che hanno avanzato dipingono l’ormai consueto quadro disumano di Via Corelli. Strutture spesso fatiscenti, assistenza medica approssimativa con largo uso di farmaci sedativi e, soprattutto, l’assurdità e l’insopportabilità di una legge che priva della libertà personale, fino a 60 giorni, persone che non hanno commesso alcun reato”.
“Casi - prosegue il consigliere - come quelli di A.S., padre di un bimbo di 5 anni nato in Italia che ora sta con la madre a Brescia, e che ciononostante è rinchiuso nel Cpt in attesa di espulsione forzata. Oppure quello di A.E.M., cittadino egiziano, che è in Italia da molti anni e che possiede regolarmente una piccola attività economica, sottratto alla sua vita di tutti giorni nonostante fosse in possesso della famosa “ricevuta” che rilascia la questura in attesa del rinnovo del permesso. O ancora, un cittadino albanese, con l’udienza di appello per la concessione dell’asilo politico già fissata per il 7 luglio a Roma e, tuttavia, rinchiuso nel Cpt, mentre moglie e figlio di 13 mesi sono ora abbandonati a se stessi, senza più fonte di reddito”.
“Il teatro dell’assurdo, anzi dell’indecenza - conclude Muhlbauer - potrebbe continuare a lungo e forse sarebbe un bene che la stampa tutta iniziasse ad occuparsene con più insistenza, semplicemente raccogliendo le storie di uomini e donne vittime di una vera e propria apartheid giuridica che li considera esseri umani di serie B. Luoghi come il Cpt di Via Corelli non dovrebbero esistere in una società democratica. Questa è la ragione ultima perché le rivolte e le proteste si susseguono e si susseguiranno. E questa è la ragione perché ancora una volta chiediamo la chiusura del lager di Via Corelli”.
 
Comunicato stampa
 
 
Ieri notte nel Cpt di Via Corelli, a Milano, è scoppiata l’ennesima protesta da parte dei cittadini stranieri detenuti. Il Consigliere regionale del Prc, Luciano Muhlbauer, è riuscito a entrare nel centro verso mezzanotte:
“Sono ormai due mesi che si susseguono le proteste, le rivolte, gli scioperi della fame e gli atti di autolesionismo all’interno del centro di Via Corelli, ma ieri notte vi è stato un evidente precipitare della situazione. Un campanello d’allarme che dovrebbe essere ascoltato, invece di abbandonarsi a inopportuni ‘plausi’ e alla solita stupida propaganda, come fa anche oggi la Lega, oppure trincerarsi dietro improbabili complotti orditi dall’esterno, come sembra fare la Questura di Milano.
La realtà di Via Corelli è quella di un luogo ai confini della legge, dove vengono rinchiuse, fino a 60 giorni, persone che non hanno commesso alcun reato e che non hanno subito alcun processo. Vi si possono trovare mischiati insieme ex-detenuti che hanno già scontato la pena, un sordomuto russo raccolto chissà dove, un operaio che aveva perso la mano lavorando in nero per un padrone italiano e un richiedente asilo politico con tanto di appuntamento per l’udienza in tasca.
Una situazione incivile e insostenibile che provoca fisiologicamente protesta e rivolta. Con l’aggravante, in questo caso, che due mesi di proteste non hanno trovato né disponibilità di dialogo, né riflessione da parte delle istituzioni. Anzi, proprio quanto avvenuto questa notte sembra volerci indicare che si insiste sulla strada del mero ordine pubblico, quando siamo invece di fronte ad un problema sociale e al palese fallimento di una politica sull’immigrazione cieca e repressiva.
Prima che succeda l’irreparabile, sempre in agguato quando si sceglie la strada  della forza e delle porte chiuse, deve entrare in campo la politica. Per questo, diverse associazioni e forze politiche, dall’Arci al CS Leoncavallo, dal SinCobas a Rifondazione, hanno oggi iniziato la raccolta di adesioni su un appello che chiede la chiusura del Cpt di Via Corelli e la possibilità di accesso al centro per le associazioni del volontariato e per la stampa.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di maggio-giugno 2005
 
A Milano dire Via Corelli equivale a dire Cpt, cioè “Centro di permanenza temporanea e di assistenza”. Un luogo identico a tanti altri sparsi per la penisola, anzi per il continente europeo. Quando, anni fa, ne fu avviata la costruzione, una parte della città reagì con indignazione e oltre 15mila persone marciarono su Via Corelli, chiedendone l’abbattimento. Oggi invece, le continue proteste e rivolte nel centro, nei mesi di aprile e maggio, hanno incontrato soltanto la mobilitazione generosa di pochi e la stessa stampa, a parte le solite eccezioni, non le considerava una “notizia”.
Le ragioni di questo contrasto tra ieri e oggi sono tante, da una certa abitudine e rassegnazione, nelle stesse fila della sinistra alternativa, di fronte al diffondersi delle politiche securitarie, fino alle purtroppo consuete divisioni tra le forze impegnate per i diritti dei migranti. Comunque sia, la conclusione è la medesima: vi è oggi l’impellente necessità di ri-costruire un tessuto di iniziativa politica e sociale, unitaria e incisiva, che si ponga l’obiettivo della chiusura dei Cpt.
Ma forse vale la pena ricordare anzitutto cosa sono e rappresentano i Cpt. Si tratta di luoghi di detenzione, cioè di privazione della libertà personale, istituiti dalla legge Turco-Napolitano, per cittadini di paesi non comunitari che non risultano in regola con il permesso di soggiorno. Lo stato di detenzione, secondo quanto poi stabilito dalla legge Bossi-Fini, si può protrarre fino a 60 giorni e viene determinato senza che ci sia necessità di alcun intervento da parte della magistratura ordinaria e senza processo penale. In altre parole, vengono ingabbiate delle persone che non hanno commesso alcun reato.
Soltanto una recente sentenza della Corte costituzionale ha imposto la convalida del “trattenimento”, poi però attribuita dal governo ai “giudici di pace”. Cioè, a dei magistrati ausiliari che, quando si tratta di cittadini italiani, si possono occupare al massimo di infrazioni al codice della strada. Pare dunque quasi superfluo aggiungere che nel 99% dei casi i “giudici di pace”, dopo udienze sbrigative, si limitano a convalidare semplicemente quanto richiesto dalla questura.
In fondo basterebbe questo per farci inorridire, poiché siamo alla negazione pura e semplice di uno dei principi fondamentali della stessa democrazia liberale, cioè il famoso “la legge è uguale per tutti”. In altre parole, in Italia vige oggi una sorta di apartheid giuridica per cui c’è un diritto per i cittadini italiani e comunitari e poi ce n’è un altro per i migranti. Non a caso, infatti, tutta la legislazione sui Cpt è piena zeppa di ambiguità e zone d’ombra, a partire dal fatto che i detenuti vengono chiamati ipocritamente “ospiti”.
Un grande abuso istituzionale, qual è l’esistenza stessa dei Cpt, genera ovviamente un’infinità di abusi quotidiani, documentati da anni di lavoro di associazioni e movimenti. Per non parlare delle espulsioni coatte che spesso seguono i 60 giorni di detenzione, dove la violenza è all’ordine del giorno.
Insomma, i Cpt sono insopportabili ed inaccettabili in una società democratica, ne rappresentano un cancro da estirpare. Ma allo stesso tempo sono lo specchio fedele di una politica sull’immigrazione basata sulla repressione e sull’esclusione, che oggi trova la sua codificazione nella razzista Bossi-Fini.
Forse le tante settimane di rivolte da parte dei detenuti e delle detenute di Via Corelli sono riuscite a darci l’opportunità di riannodare i fili in una città per troppo tempo distratta. Occorre accendere i riflettori sul Cpt, costruire mobilitazione e comunicazione o forse semplicemente ritrovare la capacità di indignarsi, per dire senza sé e senza ma che Via Corelli va chiusa, così come tutti i Cpt. È una questione che non riguarda soltanto i movimenti, le associazioni e i sindacati, ma anche i partiti dell’Unione. L’alternativa al governo Berlusconi non può prescindere da un rovesciamento della logica repressiva e antidemocratica dell’attuale politica sull’immigrazione e questo significa prima di tutto cancellare la Bossi-Fini, senza tornare alla Turco-Napolitano. Il gruppo consiliare di Rifondazione Comunista si mette al servizio di questo percorso e di questo impegno.
 
 
È passata solo una settimana dalla rivolta di Via Corelli e ormai sembra che se ne debba parlare soltanto in termini giudiziari. Proprio oggi, si è tenuta la prima udienza per i 21 arrestati di quella notte. Eppure, quanto accaduto nel centro di Via Corelli in questi ultimi due mesi, di cui la rivolta dell’altro giorno era semplicemente l’annunciato epilogo, è tutto fuorché una questione di ordine pubblico.
Via Corelli è un problema politico e umanitario. Chiunque vi abbia messo piede e ascoltato il groviglio di storie di disperazione lì rinchiuse, non si stupisce di fronte alle proteste e agli atti di autolesionismo, ma semplicemente per il fatto che ciò non accada tutti i giorni. Il Cpt è lo specchio più fedele della disumanità e del fallimento di una politica sull’immigrazione, quella della Bossi-Fini, dalla filosofia escludente e repressiva. Una realtà da nascondere per il Ministro Pisanu, evidentemente, visto che per le associazioni del volontariato e per la stampa è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che non in Via Corelli.
Ma a Milano qualcuno ha deciso di non arrendersi al silenzio e ha ritrovato la capacità di indignarsi di fronte a questo scempio umano. Oggi viene reso pubblico un appello alla città, che vede tra i primi firmatari associazioni, sindacati e rappresentanti istituzionali. Un appello che chiede l’accesso al centro da parte di organismi indipendenti e la chiusura del Cpt.
I promotori hanno organizzato un primo incontro pubblico per lunedì 6 giugno, alle ore 21.00, presso il circolo ARCI di Via Bellezza, al quale sono state invitate altresì tutte le forze politiche dell’Unione e le organizzazioni sindacali.
Questa iniziativa rappresenta un’ottima notizia. Indica l’unica strada possibile per affrontare finalmente il problema vero, cioè l’esistenza stessa di una struttura ai confini della legalità democratica. Occorre che la società civile e politica di Milano prenda la parola. L’alternativa è attendere nel silenzio e nell’indifferenza la prossima rivolta o la prossima tragedia e ciò sarebbe semplicemente inaccettabile, umanamente e politicamente.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui puoi scaricare l’appello
 

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Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 15 giugno 2005 (pag. Milano)
 
Sono passate soltanto tre settimane dalla rivolta nel centro di detenzione per migranti di Via Corelli e la questione sembra quasi scomparsa dalle pagine dei giornali. Eppure, l’apparenza inganna, non tutto è tornato come prima, cioè all’invisibilità e al silenzio. Anzi, come a voler contraddire le affermazioni del Ministro Pisanu, per il quale il problema non starebbe nell’esistenza stessa dei Cpt, bensì in un immaginario complotto politico, il meccanismo infernale dei “centri di permanenza temporanea e assistenza” mostra qualche vistosa crepa.
Non ci riferiamo tanto alla situazione all’interno del centro di Via Corelli, segnata ora da una relativa calma. E non potrebbe essere diversamente, dopo due mesi di ripetute proteste, sfociate poi nel -purtroppo- annunciato epilogo di fine maggio, con i suoi feriti e le sue 21 persone sotto processo. Ci riferiamo invece all’inizio di reazione da parte della società civile e politica milanese che ha portato alla stesura dell’”Appello alla città democratica e antirazzista”, firmato da molte organizzazioni e singoli, compresi esponenti sindacali e istituzionali.
Certo, siamo ancora ben lontani dalla bisogna, ma uno spazio si è aperto o, più semplicemente, una parte della città ha riconquistato la capacità di indignarsi di fronte allo scempio umano, civile e politico di Via Corelli. Un’indignazione, per fortuna, non solitaria in Italia, a giudicare dalle significative adesioni che sta raccogliendo il coraggioso appello del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, per chiudere i Cpt.
I Cpt sono semplicemente intollerabili, da ogni punto di vista. Rappresentano una sorta di eccezione nella legalità costituzionale, per cui vi è un diritto per i cittadini italiani e comunitari e poi ce n’è un altro per i cittadini non comunitari, che possono essere rinchiusi e privati della libertà personale fino a 60 giorni, senza aver commesso reato, senza aver subito un processo e senza aver mai visto un magistrato ordinario. Vi si possono trovare ex-carcerati che a fine pena si fanno altri due mesi di reclusione supplementari, richiedenti asilo politico con tanto di appuntamento per l’udienza in tasca, operai “scaricati” dalla dita italiana dopo aver subito un incidente sul lavoro e così via. Questi “ospiti”, come li chiama incredibilmente la legge, si trovano rinchiusi in Via Corelli, ben nascosti alla vista della città da muri di cemento alti tre metri.
I Cpt sono lo specchio fedele di una politica sull’immigrazione, codificata nella legge Bossi-Fini, che si affida esclusivamente alle misure repressive ed escludenti e che proprio oggi dimostra il suo fallimento, essendo ridotta a fabbrica di clandestinità. Battersi oggi per la chiusura del centro di Via Corelli e di tutti i Guantanamo nostrani, è anche il modo migliore per iniziare a porre il problema del rovesciamento delle attuali politiche in materia.
Ma in tutto questo vi è un’urgenza terribile, poiché le destre rispondono al loro fallimento cavalcando la tigre delle paure dei cittadini. E rieccoci con i discorsi sull’immigrazione criminalizzanti, securitari e razzisti, come ci ricorda in questi giorni la vicenda di Besano. Anche per questo non bisogna perdere un minuto e far vivere l’invito dei firmatari dell’Appello alla mobilitazione. Appuntamento giovedì 16 giugno, alle 18.00 in Piazza San Babila, per un presidio-manifestazione che chiede la chiusura del Cpt di Via Corelli e, nel frattempo, l’apertura del centro alle visite di organismi indipendenti.
 
qui puoi scaricare l’appello con tutte le firme
 

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di lucmu (del 16/06/2005, in Migranti&Razzismo, linkato 1071 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 16 giugno 2005 (pag. Milano)
 
Il gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista aderisce e sostiene l’iniziativa di mobilitazione per chiedere la chiusura del centro di detenzione per immigrati di Via Corelli a Milano. Il presidio-manifestazione si svolge oggi, giovedì 16 giugno, alle ore 18.00 in Piazza San Babila ed è organizzato dai firmatari dell’”Appello alla città”, che raccoglie numerosissime adesioni di associazioni, organizzazioni e personalità.
Un segnale assolutamente positivo perché una parte della città di Milano ha deciso di reagire allo scempio umano, civile e politico rappresentato dal Cpt di Via Corelli. Si tratta di luoghi di detenzione amministrativa, intollerabili in un paese civile, al di fuori della legalità costituzionale e disumani. Sono lo specchio più fedele di una politica sull’immigrazione che si affida unicamente alle misure repressive e che oggi è sostanzialmente fallita. Allo stato attuale la legge Bossi-Fini non è altro che una fabbrica di clandestinità.
Chiudere Via Corelli e tutti i Cpt in Italia è oggi un’urgenza e una occasione per iniziare a ripensare profondamente le politiche sull’immigrazione. O si punta sull’accoglienza, sull’integrazione e sui diritti oppure si lascerà campo libero a quanti, Lega Nord e gruppi di estrema destra, predicano la caccia all’uomo e portano avanti campagne d’odio, che altro non fanno se non creare conflitti e insicurezza per i cittadini, stranieri e italiani. La triste vicenda di Besano dovrebbe far riflettere.
I consiglieri regionali di Rifondazione prenderanno quindi parte alla mobilitazione, che include anche un incontro con il Prefetto, al quale verrà chiesto di garantire la possibilità di accesso al centro di Via Corelli da parte di organismi indipendenti.
Il Gruppo consiliare del Prc sollecita inoltre il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, a prendere posizione in merito alla questione.
Sono ormai otto le Regioni italiane che hanno aderito al coraggioso appello del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, per chiudere gli inutili e dannosi Cpt. Cosa aspetta la Giunta lombarda a prendere una posizione chiara?
 
 
di lucmu (del 29/06/2005, in Migranti&Razzismo, linkato 1007 volte)
Comunicato pubblicato su il Manifesto del 29 giugno 2005 (pag. Milano)
 
Formigoni aderisca all’appello contro i Cpt, lanciato dal Presidente della Puglia Nichi Vendola e raccolto da altri 8 Presidenti di Regione, e partecipi al Forum che sulla questione si terrà il prossimo 11 luglio.
E’ quanto con una mozione urgente, primo firmatario Luciano Muhlbauer di Rifondazione Comunista, chiedono consiglieri regionali di tutti i Gruppi dell’opposizione.
“Incredibile, ma vero – spiega Muhlbauer – mentre in tutto il Paese si è aperto il dibattito sulle politiche sull’immigrazione, il fitto programma della Giunta regionale lombarda, presentato oggi da Formigoni, riesce a non dedicare nemmeno una riga alla questione. La ignora completamente”.
“E’ sorprendente e inquietante – prosegue il consigliere del Prc – il comportamento delle Destre, che di fronte al palese fallimento della Bossi-Fini, dimostratasi fabbrica di clandestinità, non trova di meglio che omissioni oppure, come Albertini, bizzarre proposte di nuovi centri di detenzione amministrativa per migranti, i Cpt, non soltanto anticostituzionali, ma totalmente incivili e inutili”.
“Il fatto che tutti i gruppi dell’opposizione – conclude Muhlbauer – abbiano unitariamente chiesto a Formigoni di aggiungersi all’appello dei nove Presidenti, è un fatto importante, una presa di parola contro l’ottusità delle destre, capaci unicamente di demagogia xenofoba e di alimentare l’insicurezza per i cittadini italiani e stranieri”.
 
La chiusura della scuola araba di via Quaranta, voluta dal Comune di Milano, sembra ispirata più alla ossessiva campagna anti-stranieri del centrodestra, che non alla preoccupazione per il futuro dei 500 bimbi che la frequentavano. A questo punto, infatti, la stragrande maggioranza di questi ultimi rimarrà semplicemente senza inserimento scolastico alcuno per chissà quanto tempo, considerato che pare un po’ fantasioso ipotizzare un inserimento seduta stante nella scuola pubblica.
Certo, così come era la scuola di via Quaranta non andava bene, ma non si tratta proprio di una novità di questo inizio autunno. E c’era pure in gestazione una soluzione che potesse anzitutto garantire ai bambini la continuità di un inserimento scolastico, quella della regolarizzazione e della parificazione, come la stessa scuola araba peraltro chiedeva. Ma il futuro di questi 500 bambini, il loro inserimento scolastico regolare e la loro inclusione nella società milanese hanno interessato ben poco i dibattiti sviluppatisi sulla stampa in questi ultimi giorni. Si sono preferite invece le accuse sommarie che si trattasse di una madrassa, anzi di un covo di futuri terroristi e così via.
I 500 bambini di via Quaranta sono diventati le involontarie vittime di una campagna politica che mira a ben altro. La stessa che affronta il problema delle baraccopoli milanesi con le sole ruspe e poi ognuno si arrangi e che pretende di combattere il terrorismo espellendo qui e là qualche imam senza troppe spiegazioni. Una campagna politica che vuole risollevare le sorti di un centrodestra, nazionale e milanese, sempre più inconsistente, con la criminalizzazione sommaria dei migranti, specie se provengono da paesi islamici.
Altro che sicurezza e inclusione. Così si prepara un futuro di ghettizzazione e di conflitti in una città, come Milano, già di fatto multietnica e multiculturale. A maggior ragione appaiono un po’ incomprensibili alcune prese di posizione provenienti anche dall’opposizione, che invocano il principio della scuola pubblica. Beninteso, un principio sacrosanto e per il quale Rifondazione Comunista si batte da sempre, ma che andrebbe difeso sempre e non soltanto quando di mezzo c’è l’Islam.
Ma forse non è troppo tardi per uscire dal pasticcio pre-elettorale combinato dalla Giunta Albertini. La proposta di un tavolo che ricerchi soluzioni concrete, non escludendo l’ipotesi della regolarizzazione e parificazione della scuola araba di via Quaranta, magari con la mediazione del Prefetto, non sarà l’ideale, ma è pur sempre concreta e percorribile. E dunque vale la pena percorrerla, a meno che non si vogliano abbandonare 500 bambini e bambine al cinismo della campagne xenofobe.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
 
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 22 sett. 2005 (pag. Milano)
 
Che le centinaia di ragazzi e ragazze che frequentavano la scuola araba di Via Quaranta fossero semplicemente vittime di una campagna politica che nulla c’entra con la scuola in sé era chiaro sin dall’inizio. Altrimenti sarebbe difficile comprendere perché il Comune di Milano procedesse alla chiusura a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico, dopo anni di noncuranza. Ma era successo che alla fine di agosto il signor Magdi Allam scatenasse la sua penna, non per parlare di istruzione o di integrazione, ma per additare la scuola di Via Quaranta come una sorta di allevamento di futuri kamikaze, senza peraltro preoccuparsi minimamente di portare uno straccio di prova a sostegno del suo teorema.
Insomma, un’occasione politica ghiotta per un centrodestra milanese che ormai da lunghi mesi punta sistematicamente sulle campagne d’ordine in salsa xenofoba per cercare di recuperare consensi in vista delle elezioni. E non poteva certo mancare la Lega Nord, sempre più simile a Le Pen, che ora rilancia, gridando all’invasione islamica e promuovendo per venerdì un presidio in Via Quaranta, con tanto di rappresentanti istituzionali comunali e regionali, all’evidente ricerca dell’incidente di piazza e di un po’ di pubblicità. Da lì, da questo clima politico inquinato, nasce il problema e nascono le difficoltà per trovare soluzioni o dei semplici terreni di dialogo.
È quel clima, quelle campagne xenofobe e razziste che vanno debellate per poter ristabilire le condizioni che permettano il dialogo e la ricerca di soluzioni vere e realizzabili. E va fatto al più presto, prima che la situazione si incancrenisca e produca effetti a valanga.
Di una soluzione positiva Milano ha urgente bisogno, anzitutto perché è inaccettabile che centinaia di bambini finiscano esclusi da ogni istruzione scolastica, ma anche perché potrebbe essere l’occasione per aprire finalmente un dibattito serio sul futuro di una città che è già multietnica e multiculturale. Come si fa a non vedere la realtà, cioè che i migranti rappresentano oltre il 10% della popolazione milanese, considerando soltanto quanti sono in regola con il permesso di soggiorno, e che ormai uno studente su tredici nelle scuole della città è di origine straniera? E dove pensano di arrivare il signori della “tolleranza zero” con una politica che crea soltanto ghettizzazione, esclusione e insicurezza per tutti?
E qui le responsabilità delle forze politiche dell’opposizione sono grandi. Troppi i silenzi e gli imbarazzi, troppe le reticenze in queste ultime settimane. Forse è giunto il momento di far sentire la propria voce, di farsi parte attiva e non lasciare il campo alle provocazioni leghiste e razziste.
 
 
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