Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Per i rifugiati di via Lecco il bilancio della giornata odierna è fortemente contraddittorio. Da una parte vi sono stati segnali positivi, che indicavano la direzione giusta su cui lavorare, fuori dalle logiche emergenziali. Questo sicuramente è il caso dell’incontro tenutosi nel primo pomeriggio in Prefettura. Dall’altra, tuttavia, vi sono i segnali per nulla incoraggianti che provengono ancora oggi dal Comune di Milano. Insomma, siamo in piena situazione di stallo.
Ancora una volta il Comune si è trincerato dietro alle solite proposte che nulla risolvono. Anzi, i rifugiati prendano il telefono e chiamino l’ufficio di via Anfossi o quello della Stazione Centrale. E’ davvero incredibile! Ed è difficile non vedere nell’immobilismo dell’amministrazione comunale la presenza di qualche veto politico pregiudiziale proveniente da una parte del centrodestra milanese.
Sono questo stallo e questa inerzia che oggi rappresentano il principale ostacolo per una soluzione positiva della vicenda di via Lecco e che impediscono di affrontare l’insieme del dramma umano e sociale delle migliaia di rifugiati presenti a Milano.
Ora occorre che prendano l’iniziativa direttamente le associazioni, che aprano loro un tavolo di confronto con gli occupanti di via Lecco e che si definiscano insieme le strade da percorrere. Soltanto in questa maniera sarà possibile uscire dall’impasse.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Oggi l’assessore Maiolo ha finalmente incontrato una delegazione dei rifugiati politici di Via Lecco. Lo ha fatto controvoglia, costretta dalla civile determinazione dei migranti e dall’insostenibilità della posizione iniziale assunta dal Comune. Non si è nemmeno presa la briga di avvisare dell’appuntamento i diretti interessati, che ne sono venuti a conoscenza ieri sera attraverso terzi. Ma ci sono andati lo stesso, nella speranza di trovare risposte nuove.
All’interprete di fiducia dei migranti, un volontario del Naga, è stato impedito di partecipare. Il clima era pessimo e l’annunciata proposta del Comune è di fatto una non proposta. Ovvero, prima i rifugiati dovrebbero abbandonare lo stabile di Via Lecco per poi, ognuno individualmente, presentarsi negli uffici comunali competenti, dove verranno valutati i singoli casi. Insomma, all’assessore Maiolo, più che a risolvere il problema, sembra interessata a un po’ di pubblicità per poter tornare al più presto all’invocazione dello sgombero.
Difficile pensare che così possano nascere delle soluzioni vere. E sicuramente non hanno aiutato le prese di posizione dei Ds milanesi, prima silenti e assenti e ora rumorosamente schierati con una legalità cieca e a prescindere. In questo clima, le stesse parole misurate del questore Scarpis, che da giorni ripete che il problema non è l’ordine pubblico, finiscono con l’essere una predica nel deserto.
Cosa deve succedere perché il Comune inizi a considerare la tutela dei diritti umani più importante della difesa dei diritti di proprietà di un’immobiliare che da oltre un decennio mantiene vuoto e degradato lo stabile di via Lecco?
Ora non vanno lasciati soli questi rifugiati. Occorre che la politica e tutto l’associazionismo si attivino per fermare il precipitare della situazione, ovvero il ritorno dell’ipotesi dell’azione di forza, che nulla risolverebbe e che semplicemente rigetterebbe gli uomini e le donne di Via Lecco nell’invisibilità e nell’abbandono.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 18 nov. 2005 (pag. Milano)
Sembra proprio che qualcuno abbia deciso che l’occupazione di Via Lecco da parte di 200 rifugiati africani debba essere drammatizzata per forza. Continuano i toni apocalittici da parte di esponenti del centrodestra, mentre il Comune di Milano ha oggi persino negato il passaggio di un mezzo dell’Amsa per ritirare l’immondizia che gli occupanti avevano raccolto.
Gli occupanti hanno chiarito sin dal primo momento che il loro scopo non è rimanere in quello stabile, bensì lanciare un grido d’allarme sulla loro situazione e chiedere una soluzione al loro problema. Insomma, che qualcuno dica loro dove passare le notti in maniera decente e umana.
E che le cose stanno così lo sanno tutti, ma proprio tutti.
Non a caso la Questura di Milano ha scelto finora di muoversi con moderazione e senso di responsabilità, evidentemente consapevole che non siamo di fronte a un problema che possono risolvere le forze di polizia, ma che richiede l’intervento della politica. Tuttavia, è evidente che il centrodestra milanese sta invece esercitando forti pressioni politiche affinché il tutto finisca con uno sgombero entro le prossime 24 ore. E poi? Semplice, la questione non si risolverebbe, ma si sposterebbe di qualche chilometro.
Il problema in Via Lecco non si chiama legalità, bensì emergenza umanitaria. Se anche gli amministratori di Milano accettassero questa palese verità, le soluzioni, magari anche quelle transitorie, si troverebbero in poco tempo. Insistere invece sulla strada della campagna elettorale con ogni mezzo, porta semplicemente alla moltiplicazione dei conflitti e dei problemi.
Articolo di Luciano Muhlbauer, Daniele Farina e Piero Maestri, pubblicato su il Manifesto del 17 nov. 2005 (pag. Milano)
Questa notte circa 200 immigrati hanno occupato a Milano uno stabile di proprietà privata, abbandonato da anni, che si trova in Via Lecco 9. Si tratta di immigrati provenienti dai paesi del Corno d’Africa - eritrei, etiopi, sudanesi, somali - praticamente tutti in possesso di un permesso di soggiorno, in quanto rifugiati politici. Il consigliere regionale, Luciano Muhlbauer, il consigliere provinciale, Piero Maestri, e il consigliere comunale, Daniele Farina, di Rifondazione Comunista, erano presenti questa mattina nello stabile occupato.
Esprimiamo anzitutto la nostra solidarietà a questi uomini e a queste donne che hanno dovuto occupare uno stabile in centro per comunicare alla città la condizione disumana e di degrado a cui sono costretti. Da lungo tempo sopravvivevano come potevano nell’ex-caserma di via Forlanini, forzati alla convivenza con topi e altri simpatici animaletti, senza riscaldamento e senza assistenza sanitaria. Ora che l’inverno bussa alle porte hanno deciso semplicemente di reagire e di chiedere che qualcuno intervenga.
Finora soltanto qualche associazione e qualche centro sociale si sono occupati di loro. Dal Comune, invece, poco o nulla. Eppure sono in Italia regolarmente, provengono da zone di guerra, il loro status di profughi è riconosciuto dallo Stato italiano. Ma, e sta qui l’inghippo, secondo l’attuale normativa non possono lavorare, mentre lo Stato non provvede alle esigenze abitative. Cose che non accadono nemmeno nella vicina e rigorosa Svizzera. Conclusione? Si trovano in uno stato di abbandono che porta diritto al degrado. E in questo senso, i 200 di Via Lecco sono semplicemente la punta di un iceberg.
Il fatto che in Italia manchi tuttora una legge sul diritto d’asilo degna di questo nome non può certo giustificare il disinteresse. O peggio ancora, la riduzione di un problema sociale a questione di ordine pubblico. Anche oggi, purtroppo, esponenti del centrodestra milanese e lombardo non perdono l’occasione per aggredire verbalmente i rifugiati, dimostrando così anzitutto la loro colpevole ignoranza rispetto a ciò che avviene nella città reale.
Ora c’è un’emergenza. Va evitata prima di tutto ogni soluzione di forza, come uno sgombero violento. E, soprattutto, si apra immediatamente un percorso che coinvolga tutte le istituzioni presenti sul territorio e che trovi una soluzione abitativa, umanamente decente, per questi uomini e queste donne. Le condizioni ci sono tutte, manca soltanto la volontà politica: ci auguriamo che nessuno si permetta di trasformare questa emergenza in occasione per una pessima campagna elettorale.
In Lombardia c’è un esercito di invisibili, almeno a giudicare dal programma di governo, detto PRS, presentato oggi in Consiglio Regionale dalla rediviva Giunta Formigoni. Sono gli uomini e le donne migranti, più di 600mila in tutta la regione e in città come Milano, Brescia o Bergamo ben oltre il 10% della popolazione metropolitana.
Ogni dato disponibile, oltre che il buon senso, ci conferma che si tratta di una presenza dal carattere stabile e non transitorio. Dall’inserimento nel mondo del lavoro, dove di solito svolgono i lavori più umili e peggio retribuiti, all’apertura di imprese, circa 15mila nel solo capoluogo, fino al dato forse più eloquente, cioè la crescente presenza di studenti stranieri nelle scuole lombarde, che solo a Milano città rappresentano l’11,6% del totale.
Insomma, la Lombardia e le sue città stanno cambiando, anzi sono già cambiate. La multietnicità non è una possibilità futura, ma una realtà presente. Eppure, nelle oltre cento pagine del programma di governo del centrodestra lombardo non c’è nemmeno l’ombra di tutto ciò, neanche un riga, una parola o un accenno. In altre parole, non c’è una politica, un’idea e una strategia.
Un vuoto politico che fa il paio con il protagonismo di taluni esponenti del centrodestra lombardo, in primis della Lega e di An, quando si tratta invece di lanciare invettive xenofobe e razziste contro gli immigrati dalle pagine dei giornali o dalle tribune televisive. Oppure, quando nel corso degli anni si trattava di inserire norme discriminatorie in alcune leggi regionali, come nel caso dell’accesso ai bandi per l’assegnazione di case popolari.
Un ordine del giorno presentato oggi da Rifondazione Comunista e firmato anche da consiglieri regionali dei Verdi, dei DS, del PdCI e dallo stesso Sarfatti, denuncia questo stato di cose, chiedendo che vengano definite e messe in campo una politica attiva e positiva di inclusione e delle corrispondenti risorse finanziarie. In particolare si chiedeva di rifinanziare la legge regionale 77/89, per sbloccare le risorse a favore degli enti locali per interventi abitativi a favore della popolazioni rom, di avviare l’iter per il riconoscimento del diritto di voto ai cittadini immigrati e di sollecitare il Ministero degli Interni a procedere alla chiusura dell’infamia del Cpt di Via Corelli di Milano.
Ma il centrodestra lombardo continua a fare orecchie da mercante, a quanto pare poco interessato alla società lombarda realmente esistente e ai problemi che vivono tutti i giorni i suoi cittadini, vecchi e nuovi, mentre non sembrano mancare le energie nella lotta per la spartizione delle nomine nella sanità, che tanto stanno a cuore sia a Formigoni che a Cé. Uno spettacolo triste e sempre più insopportabile, che ci riconferma nella convinzione che un’alternativa a questo governo regionale non può aspettare altri cinque anni.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 16 ott. 2005 (pag. Milano)
Via Corelli, via Capo Rizzuto, via Quaranta. Tre vie di Milano, tre episodi diversi di un’unica storia, quella dello scontro di civiltà in salsa meneghina. In via Corelli si trova il centro di detenzione per migranti non in regola con il permesso di soggiorno, detto Cpt, in via Capo Rizzuto si trovava la baraccopoli abitata da rom e rasa al suolo senza troppe formalità dalle ruspe del sindaco Albertini e in via Quaranta ha sede la scuola araba chiusa dal comune dopo le parole scagliate dal signor Magdi Allam, che accusava i suoi oltre 400 studenti di essere niente di meno che dei futuri kamikaze.
Tre episodi, le cui relative campagne xenofobe e razziste da parte del centrodestra milanese hanno cercato di costruire l’immagine del nemico: il clandestino delinquente, il rom ladro e stupratore, l’islamico invasore e terrorista. E se questo è l’unico modo in cui si parla di migranti, allora il gioco è presto fatto, il nemico è l’immigrato tout court.
Difficile sapere quanto ci credano davvero questi novelli difensori della “nostra civiltà”, presi come sono a puntare tutto sulla questione sicurezza nell’intento di recuperare un po’ del consenso elettorale perduto. Ma è fuori di dubbio che i guasti prodotti da queste continue campagne e iniziative rischiano di diventare durature e radicate in una parte del corpo sociale.
E inizia qui il vero problema. Milano non diventerà una città multietnica, semplicemente è già multietnica, multiculturale e multireligiosa. Sono oltre 180mila i migranti residenti in città e soprattutto sta arrivando la seconda generazione, cioè i figli dei migranti nati in Italia, come confermano gli ultimi dati del MIUR che ci dicono che l’11,6% degli alunni delle scuole milanesi è di origine straniera.
L’Italia si è trasformata soltanto di recente in paese di immigrazione, ovvero ha appena smesso di essere paese di emigrazione, anche se nessuno sembra aver voglia di ricordarsene. Se, da una parte, questo può costituire un problema aggiuntivo, dall’altra rappresenta una grande opportunità. Cioè, si potrebbe imparare da altre esperienze di altri paesi europei, da Londra e Parigi ad esempio. Insomma, imparare a non ripetere, magari in peggio, la formazione di ghetti urbani e sociali e la produzione di ripiegamenti identitari che tagliano ogni comunicazione. Basterebbe in fondo leggersi quel bel libro, Allah superstar, scritto a ritmo di rap dallo scrittore algerino-francese Yassir Benmiloud, per riflettere un po’.
Insomma, Milano e altre aree metropolitane italiane stanno correndo velocemente verso un bivio. O si prosegue con una politica che esclude, clandestinizza e criminalizza, mentre contemporaneamente mette a disposizione delle imprese dei lavoratori ricattabili e sottopagati, infilandosi così direttamente in un vicolo cieco per tutti e tutte, migranti o nativi che siano. Oppure si cambia strada, radicalmente.
Pare quasi un discorso di buon senso, eppure, guardando al dibattito politico, si presenta come il più difficile di tutti. E non ci riferiamo alle destre, che hanno scientemente scelto di scimmiottare Bush e di sostituire il canto della “fine delle ideologie” con il rilancio ideologico in stile teo-con. No, ci riferiamo alle sinistre, alle opposizioni, dove troppe volte i silenzi, i balbettii e le reticenze si sprecano non appena si tocca il tasto dell’immigrazione o della sicurezza.
È come se non si volesse vedere quello che succede, cadendo in una tragica sottovalutazione. Quando personaggi che godono, ahimè, di significativo ascolto nell’opinione pubblica, come la Fallaci, il sempre più scatenato Magdi Allam oppure il presidente del Senato della Repubblica, teorizzano e invocano lo scontro di civiltà, riscrivendo per l’occasione lunghi secoli di storia europea, allora siamo di fronte ai sintomi evidenti di qualcosa che dovrebbe preoccupare e dunque spingere a reagire. Invece no, persino nel giorno della pubblicazione dell’inchiesta di Gatti sul lager di Lampedusa, a ribadire che i Cpt non si toccano non ci pensa soltanto Pisanu, ma anche Livia Turco.
No, non ci siamo. Il tema dell’immigrazione non è marginale, è centrale per ogni progetto politico di alternativa che voglia guardare ad una società più giusta, democratica e libera. Occorre il coraggio di cambiare strada e di respingere le logiche securitarie ed escludenti, di cestinare quella fabbrica della clandestinità e del lavoro ipersfruttato che è la Bossi-Fini, senza sciagurati ritorni al suo antenato, la Turco-Napolitano, di chiudere una volta per tutte quei luoghi della apartheid giuridica che sono i Cpt, senza l’ipocrisia della loro delocalizzazione fuori dai confini dell’UE, e di riconoscere il diritto di voto agli immigrati. Tre misure semplici che non risolvono certo tutti i problemi, ma che sono un punto di partenza necessario per avviare una politica alternativa che investa su una nuova cittadinanza basata sull’inclusione, la partecipazione e i diritti.
Milano non è poi tanto diversa da altre città o dall’Italia intera. Il problema è il medesimo. Per questo non dobbiamo permettere che cada sotto silenzio e che rimanga fuori dalla discussione delle forze che compongono l’Unione. Un impegno ineludibile per la sinistra, senz’altro, ma anche -e forse soprattutto- per i movimenti e le associazioni, che proprio ora dovrebbero alzare la voce. Perché a nessuno vengano concessi degli alibi.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto dell’8 ott. 2005
Vi è qualcosa di profondamente inquietante nella vicenda della scuola araba di Via Quaranta a Milano, riapertasi nel peggiore dei modi nella giornata di ieri. In fondo la soluzione era ed è a portata di mano, con tutti i crismi della legalità, come tutti, ma proprio tutti, ben sanno. Eppure, tutte le volte arriva in extremis qualche stop da qualche parte. Questa volta è arrivato direttamente da Roma, dal Ministero presieduto da Letizia Moratti, futura candidata a sindaco di Milano per il centrodestra.
Della scuola di Via Quaranta si era detto di tutto e il premio della sparata più grossa va senz’altro riconosciuto a Magdi Allam, che parlò di una madrassa per futuri kamikaze.
Poi arrivò il provvedimento del comune di Milano che chiuse la scuola, ma per semplice “inidoneità”. Il resto è cronaca di queste settimane, dalle campagne d’odio leghiste e post-fasciste fino allo stantio ritornello della tolleranza zero degli esponenti milanesi di Forza Italia. L’unica autorità cittadina a distinguersi e a lavorare per una soluzione è stato il Prefetto Ferrante, armato semplicemente di buon senso. Ce l’aveva quasi fatta, ma poi è arrivata la Moratti.
Inquietante è che nessuno nel centrodestra sembra preoccuparsi minimamente di che fine faranno le centinaia di alunni della scuola di Via Quaranta. Inquietante è che in una città come Milano, già multietnica e multiculturale oggi, con i suoi oltre 180mila migranti residenti, il centrodestra non si preoccupi di sviluppare politiche di inclusione, ma anzi pratichi una sorta di scontro di civiltà in salsa meneghina. Inquietante è che in questa città esistono scuole private e parificate di ogni tipo, cattoliche, ebraiche, americane, francesi, tedesche e così via, ma si afferma tranquillamente che una scuola araba non può e non deve esistere. Hanno davvero torto i genitori dei ragazzi della scuola di via Quaranta se si sentono discriminati in quanto egiziani e in quanto di fede islamica?
C’è un grande bisogno che la società civile milanese si faccia viva e che si faccia viva la sinistra di questa città. Vi era stata una reazione di fronte alle parole e agli atti inqualificabili della Lega, ma poi non si è sentito più nulla. In fondo, lo ripetiamo, la soluzione c’è già, ma vanno rimosse le strumentalizzazioni politiche. La Moratti e il centrodestra hanno il diritto di fare la loro campagna elettorale come tutti, ma non è accettabile che la facciano sulla pelle di centinaia di bambini e ragazzi.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 22 sett. 2005 (pag. Milano)
Che le centinaia di ragazzi e ragazze che frequentavano la scuola araba di Via Quaranta fossero semplicemente vittime di una campagna politica che nulla c’entra con la scuola in sé era chiaro sin dall’inizio. Altrimenti sarebbe difficile comprendere perché il Comune di Milano procedesse alla chiusura a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico, dopo anni di noncuranza. Ma era successo che alla fine di agosto il signor Magdi Allam scatenasse la sua penna, non per parlare di istruzione o di integrazione, ma per additare la scuola di Via Quaranta come una sorta di allevamento di futuri kamikaze, senza peraltro preoccuparsi minimamente di portare uno straccio di prova a sostegno del suo teorema.
Insomma, un’occasione politica ghiotta per un centrodestra milanese che ormai da lunghi mesi punta sistematicamente sulle campagne d’ordine in salsa xenofoba per cercare di recuperare consensi in vista delle elezioni. E non poteva certo mancare la Lega Nord, sempre più simile a Le Pen, che ora rilancia, gridando all’invasione islamica e promuovendo per venerdì un presidio in Via Quaranta, con tanto di rappresentanti istituzionali comunali e regionali, all’evidente ricerca dell’incidente di piazza e di un po’ di pubblicità. Da lì, da questo clima politico inquinato, nasce il problema e nascono le difficoltà per trovare soluzioni o dei semplici terreni di dialogo.
È quel clima, quelle campagne xenofobe e razziste che vanno debellate per poter ristabilire le condizioni che permettano il dialogo e la ricerca di soluzioni vere e realizzabili. E va fatto al più presto, prima che la situazione si incancrenisca e produca effetti a valanga.
Di una soluzione positiva Milano ha urgente bisogno, anzitutto perché è inaccettabile che centinaia di bambini finiscano esclusi da ogni istruzione scolastica, ma anche perché potrebbe essere l’occasione per aprire finalmente un dibattito serio sul futuro di una città che è già multietnica e multiculturale. Come si fa a non vedere la realtà, cioè che i migranti rappresentano oltre il 10% della popolazione milanese, considerando soltanto quanti sono in regola con il permesso di soggiorno, e che ormai uno studente su tredici nelle scuole della città è di origine straniera? E dove pensano di arrivare il signori della “tolleranza zero” con una politica che crea soltanto ghettizzazione, esclusione e insicurezza per tutti?
E qui le responsabilità delle forze politiche dell’opposizione sono grandi. Troppi i silenzi e gli imbarazzi, troppe le reticenze in queste ultime settimane. Forse è giunto il momento di far sentire la propria voce, di farsi parte attiva e non lasciare il campo alle provocazioni leghiste e razziste.
La chiusura della scuola araba di via Quaranta, voluta dal Comune di Milano, sembra ispirata più alla ossessiva campagna anti-stranieri del centrodestra, che non alla preoccupazione per il futuro dei 500 bimbi che la frequentavano. A questo punto, infatti, la stragrande maggioranza di questi ultimi rimarrà semplicemente senza inserimento scolastico alcuno per chissà quanto tempo, considerato che pare un po’ fantasioso ipotizzare un inserimento seduta stante nella scuola pubblica.
Certo, così come era la scuola di via Quaranta non andava bene, ma non si tratta proprio di una novità di questo inizio autunno. E c’era pure in gestazione una soluzione che potesse anzitutto garantire ai bambini la continuità di un inserimento scolastico, quella della regolarizzazione e della parificazione, come la stessa scuola araba peraltro chiedeva. Ma il futuro di questi 500 bambini, il loro inserimento scolastico regolare e la loro inclusione nella società milanese hanno interessato ben poco i dibattiti sviluppatisi sulla stampa in questi ultimi giorni. Si sono preferite invece le accuse sommarie che si trattasse di una madrassa, anzi di un covo di futuri terroristi e così via.
I 500 bambini di via Quaranta sono diventati le involontarie vittime di una campagna politica che mira a ben altro. La stessa che affronta il problema delle baraccopoli milanesi con le sole ruspe e poi ognuno si arrangi e che pretende di combattere il terrorismo espellendo qui e là qualche imam senza troppe spiegazioni. Una campagna politica che vuole risollevare le sorti di un centrodestra, nazionale e milanese, sempre più inconsistente, con la criminalizzazione sommaria dei migranti, specie se provengono da paesi islamici.
Altro che sicurezza e inclusione. Così si prepara un futuro di ghettizzazione e di conflitti in una città, come Milano, già di fatto multietnica e multiculturale. A maggior ragione appaiono un po’ incomprensibili alcune prese di posizione provenienti anche dall’opposizione, che invocano il principio della scuola pubblica. Beninteso, un principio sacrosanto e per il quale Rifondazione Comunista si batte da sempre, ma che andrebbe difeso sempre e non soltanto quando di mezzo c’è l’Islam.
Ma forse non è troppo tardi per uscire dal pasticcio pre-elettorale combinato dalla Giunta Albertini. La proposta di un tavolo che ricerchi soluzioni concrete, non escludendo l’ipotesi della regolarizzazione e parificazione della scuola araba di via Quaranta, magari con la mediazione del Prefetto, non sarà l’ideale, ma è pur sempre concreta e percorribile. E dunque vale la pena percorrerla, a meno che non si vogliano abbandonare 500 bambini e bambine al cinismo della campagne xenofobe.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Comunicato pubblicato su il Manifesto del 29 giugno 2005 (pag. Milano)
Formigoni aderisca all’appello contro i Cpt, lanciato dal Presidente della Puglia Nichi Vendola e raccolto da altri 8 Presidenti di Regione, e partecipi al Forum che sulla questione si terrà il prossimo 11 luglio.
E’ quanto con una mozione urgente, primo firmatario Luciano Muhlbauer di Rifondazione Comunista, chiedono consiglieri regionali di tutti i Gruppi dell’opposizione.
“Incredibile, ma vero – spiega Muhlbauer – mentre in tutto il Paese si è aperto il dibattito sulle politiche sull’immigrazione, il fitto programma della Giunta regionale lombarda, presentato oggi da Formigoni, riesce a non dedicare nemmeno una riga alla questione. La ignora completamente”.
“E’ sorprendente e inquietante – prosegue il consigliere del Prc – il comportamento delle Destre, che di fronte al palese fallimento della Bossi-Fini, dimostratasi fabbrica di clandestinità, non trova di meglio che omissioni oppure, come Albertini, bizzarre proposte di nuovi centri di detenzione amministrativa per migranti, i Cpt, non soltanto anticostituzionali, ma totalmente incivili e inutili”.
“Il fatto che tutti i gruppi dell’opposizione – conclude Muhlbauer – abbiano unitariamente chiesto a Formigoni di aggiungersi all’appello dei nove Presidenti, è un fatto importante, una presa di parola contro l’ottusità delle destre, capaci unicamente di demagogia xenofoba e di alimentare l’insicurezza per i cittadini italiani e stranieri”.
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