Blog di Luciano Muhlbauer
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
A Milano continuano gli sgomberi elettorali e così, dopo due notti di pressing sui rifugiati di piazza Oberdan, stamattina è toccato gruppetto di rom accampati nell’area dell’ex-caserma di viale Forlanini. Risultato? In questo momento venti donne, uomini e bambini, tra cui un neonato di appena 4 giorni, stanno vagando nelle strade del quartiere, nella più totale indifferenza delle istituzioni.
L’azione di sgombero, preannunciato ai rom ieri sera da agenti della polizia locale, è iniziata alle ore 7.15. Obiettivo: abbattere le poche baracche malsane e allontanare le famiglie di rom romeni che vi vivevano. Si sono dunque presentati, nell’ordine, due ruspe dell’Amsa, una nutrita rappresentanza della polizia locale, tra cui spiccavano alcuni agenti in borghese del famigerato (e tanto caro al Vicesindaco) Nucleo Problemi del Territorio in tenuta da buttafuori e alcuni agenti di polizia del Commissariato di Lambrate, in funzione d’appoggio.
In mezzo a tutta questa esibizione di muscoli, peraltro fuori luogo, visto che i rom avevano già fatto i bagagli, si è infine materializzato un funzionario dei servizi sociali, il quale ha avanzato la ormai consueta “proposta” del Comune, cioè la divisione dei nuclei familiari, ricevendo l’altrettanto consueto diniego. Ma in fondo non ci credeva nemmeno lui, o almeno così ci è parso, poiché il suo impegno di convincere le famiglie è durato solo pochi minuti. Evase quindi le formalità di rito, stile poliziotto da telefilm americano che deve leggere i diritti all’arrestato, le famiglie rom si sono allontanate dal luogo, bagagli e bimbi in braccio, nell’indifferenza soddisfatta di servizi sociali e polizia locale.
Difficilmente poteva andare in modo diverso, visto che i servizi sociali del Comune in questi mesi non si sono mai fatti vedere dalle parti di viale Forlanini, sebbene la situazione fosse ampiamente conosciuta, e che unici a preoccuparsi delle persone che vivevano nelle baracche sono stati alcuni volontari del quartiere.
Ma poi, si sa, arrivano le elezioni, il ballottaggio per la precisione, e bisogna pur inventarsi qualcosa per fare campagna. E chi se ne frega del destino di venti rom, compreso il bimbo appena nato, tanto loro non votano, non hanno amici potenti e mediamente non stanno nemmeno simpatici ai nostri concittadini. Importante è che De Corato o chi per lui, riesca a produrre un comunicato stampa anche oggi.
Infine, giusto per la cronaca, mentre poliziotti locali e uno spaesato funzionario dei servizi sociali si aggiravano nell’area dell’ex-caserma infestata dai topi, gli unici a fare qualche centinaio di metri per contattare i rom cacciati e mettersi a cercare qualche struttura che potesse ospitare le famiglie erano i soliti volontari della zona.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
“Io non respingo!” si chiama la campagna nazionale lanciata dal osservatorio Fortress Europe in occasione della visita in Italia del leader libico Gheddafi tra il 10 e il 12 giugno. L’idea della campagna, alla quale questo blog aderisce, è semplice: organizzare in tutta Italia eventi tra il 10 e il 20 giugno con la parola d’ordine “io non respingo!”, per esprimere opposizione e contrarietà alla politica dei respingimenti del Governo, che si basa, appunto, su accordi con la Libia.
Se non sapete cosa succede in Libia con i migranti e i rifugiati respinti e quali sono le condizioni a cui vengono sottoposte queste persone nei centri di detenzione libici (finanziati anche dall’Italia), andate a farvi un giro sul sito di Fortress Europe. Lì troverete anche la lista completa delle iniziative organizzate in tutta Italia nel quadro della campagna.
Qui ci limitiamo a segnalare il presidio organizzato a Milano, riproducendo qui sotto l’appello e le adesioni finora pervenute. Dopo l’appello trovate anche la lettera a Gheddafi scritta da un nutrito gruppo di donne e le coordinate per aderirvi.
 
APPELLO PER PRESIDIO A MILANO (10 giugno, ore 18.00):
 
Dal 10 al 12 giugno prossimi sarà in visita ufficiale in Italia il presidente libico Muhamad Gheddafi. La visita giunge a coronamento di un periodo segnato da un ricorso sistematico da parte del governo italiano alla cosiddetta politica dei respingimenti ovvero al dirottamento verso le coste della Libia delle navi che trasportano migranti e richiedenti asilo. Questa politica è legata agli accordi in materia di immigrazione siglati dal nostro paese con il governo di Tripoli che –dietro adeguate contropartite economiche- prevedono la cooperazione tra i due paesi nel contrasto al fenomeno migratorio. Accordi siglati nonostante sulla Libia pesino come macigni denunce di violazione sistematica dei diritti umani da parte dell’ONU e di riconosciuti organismi non governativi internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch. Secondo l’osservatorio indipendente Fortress Europe attualmente esistono in Libia ben 21 centri di detenzione per migranti e richiedenti asilo in cui si fa ricorso costante a trattamenti disumani e tortura. Con la politica dei respingimenti l’Italia ha scelto deliberatamente di inviare decine di migliaia di persone verso la Libia dove- grazie alle clausole dell’accordo che prevedono la non ingerenza reciproca negli affari interni- potranno essere incarcerati e sottoposti ad ogni forma di trattamento degradante e disumano.
Di fronte a tutto questo denunciamo con forza la complicità e le responsabilità del governo italiano nelle stesse violazioni dei diritti umani che avvengono sul territorio libico e chiediamo di porre immediatamente fine alla politica dei respingimenti e di rivedere gli accordi di cooperazione con la Libia, mettendo come precondizione imprescindibile per ogni trattato bilaterale il rispetto completo dei diritti umani.
Per queste ragioni aderiamo alla grande campagna nazionale “Io non respingo” lanciata dall’osservatorio Fortress Europe e invitiamo tutti i cittadini a partecipare ad un
 
PRESIDIO
sotto la sede del Consolato libico in piazza Diaz angolo via Baracchini a Milano
Mercoledì 10 giugno 2009 ore 18
NOI NON RESPINGIAMO!
 
 
adesioni:Milano Città Aperta, Centro delle Culture Milano, Associazione Ci Siamo Anche Noi (Pavia), Dimensioni Diverse, Centro Culturale Multietnico La Tenda, Le radici e le ali ONLUS, Partito Umanista – Milano, Coordinamento nord sud del mondo – Milano, Rifondazione Comunista - Federazione di Milano, Aria Civile – Milano, Todo Cambia, Psicologi per i Popoli nel Mondo, Servizio civile internazionale - Gruppo Lombardia, Sinistra Critica – Milano, Collettivo Vagabondi di Pace, Arci Milano, Delegate e Delegati Regione SdL Intercategoriale, Cooperativa Sociale CRINALI onlus, Scuole Senza Permesso, Donne In Nero Milano, Studio3R di Mediazione Linguistica Culturale, Casa per la Pace Milano, Cascina Autogestita Torchiera Senz'Acqua, Naga ONLUS, Associazione per la sinistra di zona 6, Cs CasaLoca, Associazione Para Todos Todo - Case di Plastica di Sesto San Giovanni, Associazione Mondo Senza Guerre
adesioni individuali:Giorgia Morera, Alessandro Rizzo, Rino Sanna, Luciano Muhlbauer, Patrizia Quartieri, Bianca Dacomo Annoni, Rosella Manganella, Giorgio Forti, Marinella Sanvito
 
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LETTERA DI DONNE A GHEDDAFI:
 
Al Leader della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista
(Per conoscenza, alle e ai rappresentati del governo italiano e dell’Unione europea)
 
Gentile Muammar Gheddafi,
noi non facciamo né vogliamo far parte delle 700 donne che lei ha chiesto di incontrare il 12 giugno durante la sua visita in Italia. Siamo, infatti, donne italiane, di vari paesi europei e africani estremamente preoccupate e scandalizzate per le politiche che il suo Paese, con la complicità dell’Italia e dell’Unione europea, sta attuando nei confronti delle donne e degli uomini di origine africana e non, attualmente presenti in Libia, con l’intenzione di rimanervi per un lavoro o semplicemente di transitarvi per raggiungere l’Europa. Siamo a conoscenza dei continui rastrellamenti, delle deportazioni delle e dei migranti attraverso container blindati verso le frontiere Sud del suo paese, delle violenze, della “vendita” di uomini e donne ai trafficanti, della complicità della sua polizia nel permettere o nell’impedire il transito delle e dei migranti. Ma soprattutto siamo a conoscenza degli innumerevoli campi di concentramento, a volte di lavoro forzato, alcuni finanziati dall’Italia, in cui donne e uomini subiscono violenze di ogni tipo, per mesi, a volte addirittura per anni, prima di subire la deportazione o di essere rilasciati/e. Alcune di noi quei campi li hanno conosciuti e, giunte in Italia, li hanno testimoniati.
Tra tutte le parole e i racconti che abbiamo fatto in varie occasioni, istituzionali e non, o tra tutte le parole e i racconti che abbiamo ascoltato, scegliamo quelli che anche Lei, insieme alle 700 donne che incontrerà, potrà leggere o ascoltare.
Fatawhit, Eritrea : “Il trasferimento da una prigione all’altra si effettuava con un pulmino dove erano ammassate 90 persone. Il viaggio è durato tre giorni e tre notti, non c’erano finestre e non avevamo niente da bere. Ho visto donne bere l’urina dei propri mariti perché stavano morendo di disidratazione. A Misratah ho visto delle persone morire. A Kufra le condizioni di vita erano molto dure (…) Ho visto molte donne violentate, i poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole. Molte di loro sono rimaste incinte e molte di loro sono state obbligate a subire un aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la propria vita. Ho visto molte donne piangere perché i loro mariti erano picchiati, ma non serviva a fermare i colpi dei manganelli sulle loro schiene. (…) L’unico metodo per uscire dalle prigione libiche è pagare.” (http://www.storiemigranti.org/spip.php?article67).
Saberen, Eritrea: “Una volta stavo cercando di difendere mio fratello dai colpi di manganello e hanno picchiato anche me, sfregiandomi il viso. Una delle pratiche utilizzate in questa prigione era quella delle manganellate sulla palma del piede, punto particolarmente sensibile al dolore. Per uscire ho dovuto pagare 500 dollari.” (http://www.storiemigranti.org/spip.php?article67).
Tifirke, Etiopia: “Siamo state picchiate e abusate, è così per tutte le donne”. (Dal film “Come un uomo sulla terra”).
Siamo consapevoli, anche, che Lei e il suo Paese non siete gli unici responsabili di tali politiche, dal momento che gli accordi da Lei sottoscritti con il governo italiano prevedono ingenti finanziamenti da parte dell’Italia affinché esse continuino ad attuarsi e si inaspriscano nei prossimi mesi e anni in modo da bloccare gli arrivi dei migranti sulle coste italiane; dal momento, inoltre, che l’Unione europea, attraverso le sue massime cariche, si è espressa in diverse occasioni a favore di una maggiore collaborazione con il suo Paese per fermare le migrazioni verso l’Europa. Facciamo presente innanzitutto a Lei, però, e per conoscenza alle e ai rappresentati del governo italiano, alle ministre e alle altre rappresentanti del popolo italiano che Lei incontrerà in questa occasione, così come alle e ai rappresentanti dell’Unione europea, una nostra ulteriore consapevolezza: quella per cui fare parte della comunità umana, composta da donne e uomini di diverse parti del mondo, significa condividere le condizioni di possibilità della sua esistenza. Tra queste, la prima e fondamentale, è che ogni donna, ogni uomo, ogni bambino, venga considerato un essere umano e rispettato/a in quanto tale.
Finché tale condizione non verrà considerata da Lei né dalle autorità italiane ed europee noi continueremo a contestare e a combattere le politiche dell’Italia, della Libia e dell’Unione europea che violano costantemente i principi che stanno alla base della sua esistenza e fino a quel momento, quindi, non avremo alcuna voglia di incontrarla ritenendo Lei uno dei principali e diretti responsabili delle pratiche disumane nei confronti di una parte dell’umanità.
 
Firmatarie: Federica Sossi, Alessandra Sciurba, Isabelle Saint-Saens, Glenda Garelli, Anna Simone, Floriana Lipparini, Cristina Papa, Enrica Rigo, Maria Vittoria Tessitore, Barbara Bee, Maddalena Bonelli, Chiara Gattullo, Elisa Coco, Gabriella Ghermandi, Elisabetta Lepore, Barbara D’Ippolito, Paola Meneganti, Anna Maria Rivera, Judith Revel, Vanessa Giannotti, Enza Panebianco, Angela Pallone, Di Lauro Gabriella, Sara Prestianni, Valentina Maddalena, Maria Iorio, Annalisa Caffa, M.Cristina Di Canio, Barbara Romagnoli, Alessia Montuori, Nicoletta Poidimani, Pia Covre, Letizia Del Bubba, Cristina Romieri, Maria Antonietta Ponchia, Valentina Mora, Gabriella Orlando, Cristina Sebastiani, Dorinda Moreno, Alessandra Ballerini, Ilaria Scovazzi, Liliana Ellena, Vincenza Perilli, Lucia Conte, Gloria Battistin, Silvia Silvestri, Teresa Modafferi, Sara Voltolina, Patrizia Grazioli, Aurora D’Agostino, Beatrice Barzaghi, Anna Milani, Elide Insacco, Sara Chiodaroli, Ester Incerti, Anita Pirovano, Maria Rosaria Baldin, Agela Azzaro, Igiaba Scego, Margherita Hack, Irene Delfino, Cinzia Filoni, Nausicaa Guerini, Laura Fiorillo, Maria La Salandra, Elisabetta Degli Esposti Merli, Cinzia Pian, Cecilia Bartoli, Agnese Pignataro, Vilma Mazza, Isabella Bortoletto, donneinmovimento, Cristina Ali Farah, Roberta Sangiorgi, Chiara Sartori, Lea Melandri, Valentina Paganesi, Deborah Voltolina, Simona Scozzari, Valentina Antoniol, Gaia Alberti, Milena Zappon, Erika Russo, Miriam Ferrari, Tiziana Bartolotta, Sofia Gonoury, Cristina Sansa, Cristina Lombardi-Diop, Rosi Castellese, Elena Gimelli, Marcela Quilici, Rosa Mordenti, Gabriella Carlino, Elisa Cappello, Laura Liberto, Steny Giliberto, Daniela Stanco, Emanuela Ambrosino, Raffaella Vidale, Lella Di Marco, Alessandra Durante, Maria Luisa Lunghi, Rosa Rivelli, Sara Honegger, Adriana Saja, Maria Rosaria Iarussi, Cecilia Massara, Gloria Pasquali, Elisa Renda, Alessia Busacca, Silvia Cristofori, Marina Tutino, Ombretta Moschella, Francesca Biason, Luisa Doplicher, Silvia Baraldini, Meraf Dagna, Maria Luisa Chiavari, Brahan A., Annalisa Romani, Carolina Lami, Lidia Menapace, Plateroti Angela, Giovanna Silva, Luisa Longhi, Maria Luisa Lunghi, Maria Fiano, Francesca Marchetta, Federica Giampedrone, Diana Catellani, Silvia Di Fazio, Cinzia Rossello, Giulia Rellini, Daniela Fringuelli, Anna Brambilla, Carola Susani, Lia Didero, Graziella Isella, Marta Cerboneschi, Adele Del Guercio, Laura Sponti, Marzia Coronati, Rossella Marchini, Elisabetta Cammelli, Giorgia Serughetti, Laura Giacomello, Giuliana Candia, Federica Dolente, Pretty Gorza, Paola Luzzi, Fadila, Angela Rigoli, Anita Benedetti, Gabriella Giambertone, Claudia Canè, Giuppa Cassarà, Antonia Cassarà, Antonia Sani, Z. Kadkani, Manuela Troiani, Emiliana Cordone, Anna Aita, Suzi Koh, Stefania Sposito, Annalisa Oboe, Carla Grementieri, Lorena Nicardi, Rita Lavaggi, Lucia Berardi, Tatjana Tomicic, Franca Antoni Mariani, Ionne Guerrini, Antonella Moscati, Elena Ramacciotti, Cécile Kyenge Kashetu, Annamaria Frigerio, Marija Ivanović, Giulia Gandini, Maria grazia Bertazzo, Camilla Pin, Valeria Montagnana, Isabella Menegazzo, Pina Piccolo, Fabiola Schneider Graziosi, Marianita De Ambrogio, Serena Romano, Marina Veronesi, Giovanna Gismondi
 
per adesioni individuali: semir@libero.it
(per vedere l’aggiornamento delle adesioni vai sul sito Storie Migranti)
 
 
Il tema religioso stia fuori dalla campagna elettorale e le istituzioni presenti sul territorio si assumano sin d’ora l’impegno di   convocare, dopo le elezioni, un dialogo cittadino, al fine di individuare in tempi ragionevolmente brevi la o le sedi perché i milanesi di fede musulmana possano disporre di un luogo di culto idoneo.
Questa è l’unica strada percorribile per trovare delle soluzioni. La demagogia della Lega e di Penati, così come la linea seguita fin   qui dal Comune, servono soltanto a un po’ di misera propaganda elettorale, ma nel frattempo portano, come ha dimostrato l’esperienza, a rendere sempre più cronica e ingestibile la situazione.
E, come sanno tutti, il problema dell’assenza di luoghi di culto islamici adatti ad accogliere il numero di fedeli presenti in città non riguarda soltanto viale Jenner, ma anche via Padova e altri luoghi.
Invocare di nuovo unicamente chiusure, senza indicare alternative realistiche, è irresponsabile e ipocrita, è come giocare con il fuoco. Ma evidentemente i novelli crociati della campagna elettorale se ne fregano, perché tanto poi a pagare il prezzo dei problemi irrisolti sono i cittadini, di qualsiasi fede o non fede essi siano.
Chiediamo pertanto a tutte le forze politiche di non gettare il tema religioso nella mischia elettorale e di assumersi l’impegno di lavorare per una soluzione. E questo significa anzitutto prendere atto della realtà, invece di negarla. Cioè, a Milano mancano i luoghi di culto per ospitare i fedeli di religione islamica.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Il Governo si appresta ad approvare alla Camera il ddl sicurezza, ricorrendo a un voto di fiducia che è previsto per giovedì 14 maggio. Reato di clandestinità, istituzionalizzazione delle ronde, prolungamento dei tempi di detenzione nei CIE, necessità del permesso di soggiorno per tutti gli atti di stato civile, permesso di soggiorno a punti, idoneità alloggiativa per il cambio di residenza e registro per i senza fissa dimora sono solo alcuni dei punti previsti. Ma al di là delle singole norme, è l'impianto complessivo della legge a configurare un ennesimo gravissimo provvedimento discriminatorio, non solo nei confronti dei più poveri ma, in generale, dei più deboli. Il Governo sceglie di nuovo la criminalizzazione dei migranti, quale facile modalità di “gestione della crisi”. Tale scelta consente di nascondere le vere responsabilità, fornendo nel contempo, a chi vive un peggioramento concreto delle condizioni di vita, un agevole capro espiatorio su cui scaricare la propria frustrazione. Così facendo, si ottiene il duplice obiettivo di aumentare il grado di ricattabilità degli uomini e delle donne migranti presenti in Italia e di spingere i lavoratori (stranieri e italiani) sul terreno fratricida della guerra tra poveri e della competizione al ribasso su salari e diritti. Tutto ciò in una fase in cui gli episodi di razzismo istituzionale, sia sul piano nazionale che su quello locale, non si contano: dal respingimento in Libia dei 227 migranti bloccati nel Canale di Sicilia al suicidio di Nabruka nel CIE di Ponte Galeria (Roma), dalla gestione con modalita' di ordine pubblico dei rifugiati politici di Milano fino all'ultima boutade della Lega Nord sui posti riservati ai milanesi sui mezzi pubblici. Affinchè tutto questo non passi sotto silenzio invitiamo tutti, donne e uomini, italiani e migranti, a un
 
PRESIDIO DAVANTI ALLA PREFETTURA (Corso Monforte 31)
Mercoledì 13 maggio, ore 18
 
Prime adesioni:
 
Campagna “Da che parte stare”
Mayday Milano
CSOA Casaloca
Asociación Real Juvenil
Case di Plastica
Sinistra Critica – Milano
CUB
Rete Milano Città Aperta
Le radici e le ali ONLUS
Naga ONLUS
Scuola Popolare Migranti – Cologno Monzese
Partito della Rifondazione Comunista – Federazione di Milano
Associazione ALFABETI Onlus – Quartiere S. Siro Milano
Rete italiana di solidarietà con il popolo kurdo – Milano
Comunità kurda – Milano
Cantiere
Comitato per non dimenticare Abba e per fermare il razzismo
Comitato in supporto dei rifugiati di Milano
Studio3R di Mediazione Linguistica Culturale
Centro delle Culture Milano
Arci Milano
Partito Umanista - Milano
Rete Scuole Senza Permesso
Coordinamento nord sud del mondo
Delegate e Delegati Regione SdL Intercategoriale
Servizio civile internazionale - Gruppo Lombardia
ASSOCIAZIONE CI SIAMO ANCHE NOI (PAVIA)
COOPERATIVA PAVESE SICUREZZA E SOLIDARIETA, COOP.SOC.
Comitato Intercomunale per la Pace del Magentino
Collettivo Vagabondi di Pace
Partito della Rifondazione Comunista - Lombardia
Cittadini di Fatto
Insieme per la Pace
Mondo Senza Guerre
AceA Onlus
SdL Intercategoriale di Milano e Provincia
Attac Milano
Cascina Autogestita Torchiera Senz'Acqua
Dimensioni Diverse
ANTIGONE LOMBARDIA
Arci Metromondo
Todo Cambia
Scuola di Pinocchio
Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Milano
Fiom-Cgil Milano
Mosaico interculturale
Sunugal
Nuevo Ecuador
Giuristi Democratici di Milano
A.N.P.I. - Sezione "Zona 1" Milano

adesioni individuali:

Giorgia Morera
Luciano Muhlbauer - Consigliere regionale, Prc
Lorenzo Gomiero
Elisa Tomaselli
Paolo Teruzzi
Emanuela Donat-Cattin
Franca Fabbri
Pietro Maestri
Rosella Manganella
Luigia Pasi
Luca Guerra
Herbert Reyes
Patrizia  Quartieri
 
 
 
Il vero e proprio coro di condanna levatosi nel centrodestra contro le ignobili dichiarazioni di Salvini suona terribilmente ipocrita. Non basta essere antirazzisti per un giorno, se per il resto dell’anno si asseconda il continuo incitamento all’odio razziale, di cui la Lega è maestra, ma non solitaria. E non bastano le parole, occorrono dei fatti concreti, specie il giorno dopo l’illegale respingimento di massa verso la Libia e alla vigilia del voto di fiducia sul ddl “sicurezza”.
In questo senso è più che eloquente l’imbarazzante silenzio del Presidente Formigoni, che con la Lega governa la Lombardia da lunghi anni e che, in cambio dell’appoggio leghista agli affari di Comunione e Liberazione, concede loro l’approvazione di atti e leggi, il cui unico senso è discriminare qualcuno e fomentare l’ostilità tra cittadini autoctoni e bianchi e cittadini immigrati o figli di immigrati.
E se la memoria è troppo corta, allora cerchiamo di dare una mano per ricordare alcuni fatti recenti, a partire dall’approvazione, soltanto due settimane fa, della legge regionale contro le rivendite di kebab. In quella occasione, pur di accontentare la crociata della Lega, Formigoni e il PdL non hanno esitato a colpire economicamente anche gelaterie, rosticcerie e pizzerie d’asporto. Insomma, la medesima logica che aveva portato il Consiglio regionale a votare nel 2006 una legge palesemente illegittima contro i phone center, colpevoli di essere gestiti soprattutto da immigrati. Quella legge ha fatto poi la fine che doveva fare, cioè sei mesi fa è stata dichiarata illegittima e nulla dalla Corte Costituzionale, ma nel frattempo aveva ottenuto i suoi obiettivi, costringendo alla chiusura centinaia di legittime attività commerciali e rovinando economicamente i loro gestori.
E che dire dell’inserimento nelle varie modifiche della legge regionale sul governo del territorio, ad opera dell’Assessore leghista all’urbanistica e con il consenso di tutto il centrodestra, di norme che con l’urbanistica non c’entrano un fico secco, ma in cambio fanno tanto comodo alle campagne della Lega contro gli islamici e i rom?
Prima era stato introdotto l’obbligo “urbanistico” di acquisire l’autorizzazione del Sindaco per poter pregare in uno spazio non classificato “luogo di culto”, anche se regolarmente affittato e anche in assenza di opere edilizie, e poi sono state varate delle norme ostative all’edificazione di appositi luoghi di culto.
Per quanto riguarda i rom, la legge urbanistica è stata usata persino per abrogare delle norme contenute nella legge regionale n. 77/89 (Azione regionale per la tutela delle popolazioni appartenenti alle etnie tradizionalmente nomadi e seminomadi), come quella che prevedeva l’obbligo di favorire la “sedentarizzazione dei nomadi”, di “evitare qualsiasi forma di emarginazione urbanistica” e di “facilitare l’accesso ai servizi e la partecipazione dei nomadi alla vita sociale”. Ma in questo caso il danno era anzitutto simbolico, poiché è l’intera legge n. 77, sebbene perfettamente vigente, ad essere semplicemente ignorata e disapplicata. Infatti, su richiesta della Lega, da molti anni il bilancio regionale non la rifinanzia, con la conseguenza che i Comuni non ricevono i fondi regionali che per legge spettano loro.
Potremmo andare avanti a lungo, limitandoci soltanto alla Regione, ma ci pare che il concetto sia chiaro.
Chiediamo quindi ai tanti dichiaranti di queste ore che fatti intendono far seguire alle loro parole, a partire dal ddl “sicurezza”. E al Presidente Formigoni, qualora decidesse di rompere il silenzio, chiediamo semplicemente di risparmiarci le ipocrisie e di chiarire invece quali iniziative intende assumere affinché in Regione cessi la complicità con le campagne d’odio della Lega.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 21/04/2009, in Migranti&Razzismo, linkato 1426 volte)
Quanto successo oggi a Bruzzano è indegno per Milano. Le scelte della Prefettura, o di chiunque abbia deciso, sono irresponsabili e inaccettabili.
Stamattina alle 8.30 ingenti forze di polizia hanno circondato e blindato l’ex-residence occupato fin dalla notte di venerdì scorso da 300 profughi. Tutti loro, senza eccezione alcuna, si erano ieri sottoposti volontariamente al censimento della Questura di Milano. E tutti sono risultati essere quello che dicevano sin dall’inizio: rifugiati in possesso di regolari documenti rilasciati dallo Stato italiano, che attestano la loro condizione.
Eppure, dopo solo 12 ore dalla conclusione del censimento, la Questura ha cosiderato rifugiati soltanto quel centinaio di loro presenti dentro lo stabile all’inizio dell’odierna operazione di polizia. E soltanto a loro il Comune di Milano ha offerto delle sistemazioni temporanee in alcuni dormitori cittadini. Quanti sono rimasti all’esterno hanno invece subito un trattamento che di solito si riserva alle bestie. Diversi di loro si sono infatti dovuti far medicare dal personale delle ambulanze.
Infine, di fronte a tutto ciò, i rifugiati riuniti in assemblea hanno deciso di abbandonare di propria volontà lo stabile sostenendo di non aver mai cercato lo scontro con le forze di polizia, ma di aver semplicemente chiesto il rispetto dei loro diritti in quanto rifugiati.
In questo momento i profughi stanno vagando per le vie cittadine, circondati da centinaia di poliziotti in assetto di guerra.
Oggi è una giornata molto triste per le istituzioni cittadine e nazionali. A 300 profughi, riconosciuti come tali dallo Stato italiano, è stata offerta soltanto la polizia, qualche sistemazione precaria per alcuni mesi e la strada.
Oggi c’è proprio da vergognarsi di essere milanesi.
 
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
Stamattina gli uomini della Questura si sono presentati di fronte all’ex-residence di via Senigallia 6, in stato di abbandono da anni e occupato da centinaia di profughi del Corno d’Africa e del Sudan sin dalla notte del 17 aprile. Volevano fare il censimento dei presenti, come annunciato da giorni sulla stampa.
All’inizio i rifugiati non intendevano acconsentire, semplicemente perché non capivano bene cosa volesse fare la polizia e perché non si fidavano. Come al solito, la comunicazione non funziona tanto bene, per usare un eufemismo. Infatti, da anni a Milano si riproduce la medesima situazione: l’unica istituzione che parla con i rifugiati è la Questura, mentre chi dovrebbe farlo non ci pensa nemmeno.
Comunque, alla fine i rifugiati hanno deciso in assemblea di farsi censire, anche perché non c’era proprio nulla da nascondere. Anzi! Avevano chiesto soltanto che la stampa potesse assistere, perché tutti i milanesi vedessero che loro hanno tutti un regolare titolo di soggiorno, cioè che sono profughi. Ma niente da fare, la Questura ha negato fino alla conclusione delle operazioni di censimento l’accesso allo stabile occupato sia alla stampa, che a quanti che da giorni stanno vicini ai rifugiati, a partire dal centro sociale Cantiere. Alla fine è stato consentito di assistere al censimento soltanto al sottoscritto, in quanto consigliere regionale, e a Piero Maestri, in quanto consigliere provinciale.
Tutto si è svolto in maniera tranquilla, senza problemi. Due tavoli posti in mezzi all’atrio dell’ex-residence e cinque funzionari della Questura a raccogliere i dati dei profughi, i quali per oltre tre ore hanno pazientato in fila. Morale della storia? I “censiti” sono 299, più due bambini piccoli, di cui 28 donne. Di loro 210 sono di nazionalità eritrea, mentre gli altri si suddividono in etiopi, sudanesi e somali. E, soprattutto, sono tutti iper-regolari (salvo due accertamenti in corso, perché erano state presentate delle fotocopie): permessi per motivi umanitari e/o richiedenti asilo.
In altre parole, sono esattamente quello che dicevano di essere, cioè gente scappata da guerre e persecuzioni, e ora è la stessa Questura che deve smentire le ignobili parole di De Corato. A questo punto, così dicono in Questura, la palla passa al Prefetto, il quale dovrà decidere il da farsi.
Ma nel frattempo la situazione dei rifugiati non è per nulla semplice. Nello stabile non c’è elettricità e anche l’acqua è un problema serio, il cibo scarseggia e anche le coperte. Ecco perché, oltre alla solidarietà e all’impegno per trovare una sistemazione dignitosa –e non temporanea e poi tutto come prima, come è successo finora-, occorre anche una solidarietà immediata.
Sotto riproduciamo l’appello steso dai rifugiati stessi, che tra l’altro dice ciò di cui c’è bisogno nell’immediato. Comunque, per ora non portate pasta o riso, perché lì non si può ancora cucinare.
Insomma, portate qualcosa, se potete, oppure semplicemente fatevi un giro e portate la vostra presenza. Per ora troppo pochi si sono fatti vedere, sia singoli che associati. I rifugiati si trovano in via Senigallia al numero 6 , zona Bruzzano, Comune di Milano. Non potete sbagliare, il mostro lasciato dalla speculazione edilizia si riconosce subito.
 
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APPELLO DEI RIFUGIATI:
 
Per tutti quelli che potrebbero aiutarci

Abbiamo occupato una casa da tre giorni perché ne abbiamo bisogno. Chiediamo a tutte le persone che possono aiutarci di portarci cibo, acqua, vestiti, coperte, latte in polvere e cibo per bambini.
Siamo più di 400 persone da diversi Paesi tutti scappati da dittature e siamo qui per cercare protezione.
Innanzi tutto il nostro problema non è politico, ma è umanitario. Come abbiamo detto, siamo Eritrei, Etiopi, Somali, Sudanesi così noi chiediamo allo Stato Italiano di rispettare i nostri diritti di "status" di rifugiati politici, perché il governo italiano ci ha lasciato come spazzatura e allo stesso tempo siamo obbligati a vivere in Italia per le nostre impronte digitali.
Così da due giorni siamo senza cibo e nessuno ci sta ascoltando. Per noi rifugiati, come sapete, la comunità europea paga milioni di euro al governo italiano e noi stiamo chiedendo dove sono finiti tutti i nostri soldi, se loro non vogliono che viviamo in Italia buttate le nostre impronte digitali e noi troveremo la soluzione ai nostri problemi.
 
I rifugiati, occupanti di via Senigallia 6
 
 
De Corato mente e sa di mentire quando definisce “clandestini” i profughi che hanno occupato uno stabile in stato di abbandono a Bruzzano, a Milano. E De Corato mente e sa di mentire quando spaccia la favola della “regia dei centri sociali”.
La realtà, purtroppo, è molto più banale e più misera. I quasi 200 profughi di Bruzzano provengono dai paesi del Corno d’Africa e dal Sudan, sono scappati da guerre o persecuzioni e in larghissima parte dispongono di documenti. Ebbene sì, perché lo Stato italiano è solito riconoscere la condizione di questi uomini e donne, dandogli un permesso per motivi umanitari o perché richiedenti asilo. Ma poi, subito dopo, il comportamento da nazione civile finisce e questa umanità disperata viene abbandonata sul territorio nazionale, con un semplice pezzo di carta in mano.
Molti di loro si spostano poi da sud a nord, perché hanno saputo che altri come loro si trovano là oppure, molto semplicemente, perché anche loro hanno capito che il nord è più ricco del sud. Ma una volta arrivati a Milano o in altre città scoprono l’inganno. La città sarà pure ricca, ma nemmeno qui le istituzioni hanno previsto qualche accoglienza. E così li troviamo regolarmente nei meandri più degradati della metropoli, nei vari viale Forlanini e Scalo Romana oppure nei dintorni della Stazione Centrale.
E se, infine, prendono qualche iniziativa, perché come tutti gli esseri umani non sono proprio felici di dover vivere come e con i topi, allora apriti cielo! Le istituzioni si svegliano e gridano allo scandalo. Oggi, come ai tempi di via Lecco, le parole degli amministratori milanesi sono sempre le stesse. Non se la prendono con uno Stato che non dispone di una politica coerente per l’accoglienza di profughi e rifugiati, ma rovesciano un mare di insulti sui più deboli e su quanti cercano di non lasciarli da soli del tutto.
Se il Vicesindaco fosse una persona seria e responsabile, allora batterebbe sì i pugni sul tavolo, ma per prendersela con il Governo e con il Parlamento, del quale peraltro fa parte in quanto deputato. Invece no, e così dobbiamo rivedere per l’ennesima volta lo stesso squallido film di potenti amministratori che si scagliano contro alcuni disperati e si inventano qualche capro espiatorio, pur di non doversi assumere le proprie responsabilità politiche ed istituzionali.
Non ci rimane che sperare, ma con sempre minor convinzione, che nelle istituzioni cittadine sia rimasto qualcuno che abbia proposte migliori che non quella che i profughi debbano andare a dormire sotto i ponti, stando possibilmente in silenzio e nascosti.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Oggi pomeriggio ho visitato, insieme alla responsabile immigrazione dell’Arci di Milano, Ilaria Scovazzi, il Cie (ex-Cpt) di via Corelli, a Milano. Si è trattato del primo sopralluogo da quando il Ministro Maroni, con una circolare ad hoc del 2008, aveva imposto pesanti restrizioni al diritto/dovere di ispezione dei consiglieri regionali lombardi, mediante l’introduzione di un doppio regime autorizzatorio preventivo, la cui conseguenza immediata è stata l’accentuazione della mancanza di trasparenza della struttura detentiva di via Corelli.
Infatti, poco si era saputo della dinamica e delle conseguenze delle proteste di una decina di giorni fa, precedute nel mese di febbraio da una rivolta del settore C, riservato alle trattenute transessuali e da allora chiuso. Ma oggi una certezza siamo riusciti ad acquisirla, cioè la calma che sembra regnare in via Corelli è molto ingannevole, poiché basta passare poco tempo con i reclusi per cogliere una forte tensione, quasi palpabile nell’aria.
Ai tradizionali focolai di tensione, tipici dei Cie (Centro di identificazione ed espulsione), che rispetto agli ex-Cpt (Centro di permanenza temporanea) hanno cambiato soltanto nome,  si è aggiunto l’allungamento fino a sei mesi del periodo di detenzione. E tale misura, voluta fortemente dal Ministro Maroni e dalla Lega, sebbene bocciata dal voto della Camera dei Deputati, è tuttora applicata e sta producendo guai seri.
Attualmente il Cie di via Corelli dispone di 104 posti, di cui praticamente tutti occupati. 17 donne e il resto uomini. Come al solito almeno il 10-15% proviene dal carcere, cioè dovrebbe essere già stato espulso all’uscita dal carcere, poiché identificato da tempo. Ma soprattutto, ben il 40% dei detenuti di via Corelli ha alle spalle un periodo di detenzione superiore a 60 giorni, di cui una parte significativa anche fino a 3 mesi e mezzo. E non si tratta soltanto della ventina di migranti provenienti dal centro bruciato di Lampedusa, ma anche di altre persone.
Chiunque abbia visitato anche una volta soltanto la struttura di via Corelli - e al di là di come la pensi in generale su questi centri detentivi - capisce immediatamente che questa fatichi a malapena ad essere sopportabile per 60 giorni, essendo stata progettata per 30 giorni di permanenza. Figuriamoci per 4 o 6 mesi!
Si potrebbero poi aggiungere anche le solite storie da Cpt, come quella della cittadina peruviana in possesso di regolare permesso di soggiorno rilasciato dalla Spagna, ma trattenuta in via Corelli da più di un mese a causa delle lungaggini burocratiche. Ma tutte queste storie non farebbero che confermare che l’allungamento dei tempi di permanenza è soltanto una grande presa in giro, ad uso e consumo degli interessi di qualche forza politica senza scrupoli.
In via Corelli occorre intervenire con urgenza, senza aspettare che la norma di Maroni decada a fine mese. Altrimenti, altre proteste e rivolte saranno presto all’ordine del giorno. E soprattutto va impedito che lo scempio della detenzione prolungata senza processo possa ripresentarsi sotto nuove vesti.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
Qui di seguito invece il racconto della visita in Corelli scritto da Ilaria Scovazzi:
 
UN GIORNO A CORELLI
 
Alle 15.30 di un  venerdì soleggiato, due camerate del CIE di via Corelli  28 si sono aperte. Quelle camerate il sole non l'hanno mai visto.. viene tenuto fuori dai vestiti appesi alla finestre e l'umidità ha mangiato le pareti e i disegni che segnano i passaggi dei detenuti.
Corelli  consuma e mangia 104 persone, 17 donne e il resto uomini, il reparto C dei trans è stato chiuso sia per i danni dei continui incendi sia perché "non serviva più”... Lula non fa ritornare in Brasile i suoi concittadini... Gli uomini sono nord africani... le donne dell'est europeo... Curiosa concentrazione geografica, che parla molto dei "lavori più visibili".
Corelli mastica e digerisce le persone molto lentamente...il 40% delle persone sono in quella gola da più di 2 mesi... i 20 ragazzi di Lampedusa con la convalida di gennaio, ma sbarcati a dicembre sull'isola... la ragazza del Ghana che ormai sta avvicinandosi ai 4 mesi... oppure la mamma tunisina che dopo anni nel carcere di Como da 50 giorni si domanda dove sia sua figlia... oppure il signore kossovaro con una camicia di pile che ironizza sulla sua "sciagurata" storia: 70 giorni passati nel CIE di Modena, poi un volo di qualche ora verso la Macedonia e altrettante ore di ritorno a Milano perché un kossovaro in Macedonia non può starci... e ora 69 giorni a Milano.
Corelli è una camaleontica struttura. Molto carcere, molto terra di nessuno sospesa ed arbitraria, molto reparto psichiatrico… moltissimo contenitore di rabbia. Per la prima volta abbiamo parlato tutti insieme nella camerate… Prima le donne e poi gli uomini. Strano la Tv era sintonizzata su MTV ma le parole che abbiamo ascoltato non erano musica. C'è una ragazza moldava, sposata con un signore italiano di 34 anni, mi dice " Se mi chiudo, dentro di me muoio", è passata dal reparto psichiatrico del Niguarda a Corelli… prende dei farmaci che le fanno dimenticare la sua vita... la mamma in ospedale in Moldavia, il prestito fatto con i Nomadi, si tocca il braccio per parlarmi della mamma che vive con le flebo, si tocca gli occhi quando mi racconta del Niguarda, si mette sull'attenti quando mi racconta del suo lavoro da badante a Torino. Mi ripete, in continuazione, gocce 2 la mattina e la sera... così scandisce il suo tempo.
C'è una ragazza dai capelli neri lucenti ha fatto da poco un aborto, ha male alle ovaie, ha la febbre. E' ossessionata dal suo sangue e dalle ironie sul suo stato di salute che sente in infermeria... parla, parla e poi ancora parla di non voler essere un animale… ma di fare fatica a ricordarselo. Non ti lasciano respirare per prendere ossigeno guarda la Tv in gabbia anche lei… in disparte una giovane donna albanese con occhiali rossi… È da 10 anni in Italia, ha perso il permesso di soggiorno, era a fare una passeggiata vicino a una strada frequentata molto di notte da macchine di italiane... e ora è a Corelli.
Esco e vengo fagocitata dai racconti degli uomini nord africani. Il clima è diverso, c'è molta tensione, rabbia e i racconti sono altri. Parlano di uomini arrotolati in coperta alla mattina presto per essere espulsi, parlano di botte e di continue incursioni della polizia... Non so se sia tutto vero... ma non sono un giudice… quello che so è che la mia pancia sente la loro rabbia. Sono tutti concentrati sull'ipotesi dei 6 mesi. Spiego l'iter legislativo, sanno, loro vedono la TV… ma i giorni si accumulano... la loro storia collettiva di paura è rappresentata dai 15 ragazzi di Lampedusa… dal 29 di gennaio scritto su 15 carte …e dalle dita su cui contano i mesi. La loro rabbia sono le 10 sigarette che non arrivano mai e l'impossibilità di poter acquistare. Per riscuotere  soldi, attraverso bonifici postali di parenti e amici, ora da ,un mese, non basta più la delega alla Croce Rossa per il ritiro, ci vuole il codice fiscale e la carta di identità... richieste impossibili per uno che sta in Corelli. Ecco la loro rabbia e vita.
 
 
Che la trasparenza non vada molto di moda dalle nostre parti, specie quando parliamo del Cie (ex-Cpt) di via Corelli, lo sapevamo già, ma che ora la Prefettura sia arrivata al punto di mettere sotto tutela i Consiglieri regionali, imponendo pesanti restrizioni per quanto riguarda le visite alla struttura, va al di là della più elementare decenza.
L’incredibile novità è stata peraltro scoperta per caso. Infatti, per oggi pomeriggio era prevista una visita in via Corelli da parte del sottoscritto, insieme a due esponenti dell’Arci, nel quadro della campagna europea di Migreurop intitolata, ironia della sorte, “Per la trasparenza nei luoghi di detenzione per stranieri”. Ebbene, tale visita non si realizzerà, poiché la Prefettura ha comunicato formalmente che d’ora in poi ogni Consigliere Regionale che volesse accedere al Cie-Cpt lo potrà fare soltanto a due condizioni: 1. deve essere in possesso di una apposita delega in tal senso da parte del Presidente della Giunta Regionale o del Presidente del Consiglio Regionale; 2. la visita deve essere autorizzata dal Prefetto.
Tanto per capirci, nessuna delle due condizioni esisteva fino ad oggi, visto che il regolamento del Cpt di via Corelli, emanato dalla stessa Prefettura il 26 ottobre 2000 e a  quanto sappiamo mai abrogato formalmente, prevede che i parlamentari, i consiglieri regionali e i magistrati accedano alla struttura senza previa autorizzazione. E, infatti, il sottoscritto, così come altri Consiglieri regionali, visitavano con una certa regolarità via Corelli.
Da oggi, ogni Consigliere regionale lombardo, nell’esercizio delle sue funzioni, continuerà a poter visitare in qualsiasi momento, senza autorizzazione e preavviso, qualsiasi carcere della Lombardia, compreso il nuovo padiglione ad altissima sicurezza di Opera, ma non potrà più farlo con il Cie di via Corelli, dove si trovano rinchiuse persone che non hanno commesso reati e subito alcun processo.
A lasciare stupefatti, però, non è soltanto il merito della questione, ma anche le motivazioni formali esibite, che francamente sfidano il grottesco. Cioè, la Prefettura si richiama alla direttiva del 24 aprile 2007 dell’allora Ministro degli Interni Amato, peraltro ignorata fino a ieri, che aveva come obiettivo la concessione di un po’ più di trasparenza e stabiliva quindi che anche Sindaci, Presidenti di Provincia, di Regione e di Consiglio Regionale potessero accedere ai Cpt presenti sul loro territorio, poiché in molte zone del Paese nemmeno questo era possibile. E ora la Prefettura di Milano, capovolgendone il senso, utilizza incredibilmente tale direttiva per dire che “solo” i Presidenti possono entrare, i consiglieri non più.
Le nuove restrizioni della Prefettura sono di inaudita gravità, perché se d’ora in poi la possibilità di visita e controllo sarà sottoposta a vincoli e autorizzazioni, questo significa che non saranno più possibili visite non preannunciate con un certo anticipo o “sgradite” e che dunque, in caso di fatti poco chiari all’interno del Cpt, che spesso accadono, sarà estremamente difficile avere versioni diverse da quelle ufficiali. Cioè, i potenziali controllati avranno il potere di impedire ogni controllo indipendente.
E che tutto questo avvenga esattamente quando il Governo intende costruire nuovi Cie in tutta Italia e prolungare la detenzione amministrava fino a 18 mesi non fa che rendere ancora più preoccupante questa scelta.
Abbiamo già interpellato il Presidente del Consiglio Regionale, De Capitani, chiedendogli di farsi carico, per quanto gli compete, di tutelare i consiglieri nell’esercizio del loro mandato. Al Prefetto chiediamo invece un urgente chiarimento: cioè, chi ha deciso questa novità, il Prefetto oppure il Ministero degli Interni?
Comunque la si pensi sui Cie-Cpt, far calare un muro di omertà e silenzio, più di quello che già c’è, è una politica inaccettabile e ignobile che legittima d’ora in poi ogni sospetto e pregiudizio. Da parte nostra, fortunatamente non da soli, continueremo la battaglia contro queste strutture di detenzione amministrativa e per la trasparenza.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
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