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ACCORDO PRODUTTIVITÀ: MENO SALARIO E MENO DIRITTI PER TUTTI
di lucmu (del 23/11/2012 @ 15:41:00, in Lavoro, linkato 1320 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale on line Paneacqua.info il 23 novembre 2012
 
L’hanno firmato in nome della ripresa e raccontano persino che così arriverà più salario ed occupazione, ma in realtà è soltanto un’altra tegola in testa ai lavoratori, una Pomigliano grande quanto l’Italia. Parliamo dell’accordo per la produttività, cioè delle “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia”, firmato il 21 novembre scorso, sotto la regia del Governo Monti, da Abi, Ania, Confindustria, Alleanza Cooperative, Rete imprese Italia e dai tre sindacati complici di Marchionne, Cisl, Uil e Ugl.
Infatti, sebbene nel testo il termine produttività ricorra con frequenza quasi ossessiva, il vero oggetto dell’accordo è lo smantellamento del contratto nazionale a favore di un contratto aziendale di nuovo tipo, la riduzione del salario ed un’ulteriore limitazione della sfera dei diritti, delle libertà e delle tutele.
In questo senso possiamo affermare senz’altro che questa intesa si colloca in piena continuità con il percorso aperto da Marchionne a Pomigliano nel 2010, con lo spirito e la lettera dell’articolo 8 della legge n. 148/2011 del Governo Berlusconi, che introdusse il principio della derogabilità dei contratti nazionale e delle leggi, e con riforma Fornero del mercato del lavoro. Anzi, non solo è in piena continuità, ma opera un salto di qualità. Comunque, andiamo con ordine.
 
Primo, il contratto nazionale non garantisce più nemmeno la tutela del potere d’acquisto dei salari e degli stipendi. Cioè, come ben sappiamo, ormai i contratti nazionali faticano persino a recuperare quanto eroso dall’aumento del costo della vita, poiché vengono utilizzati indicatori sistematicamente inferiori all’inflazione reale, ma con le Linee programmatiche si va oltre, stabilendo che una parte di questo recupero vada tolto dal contratto nazionale e delegato a quello aziendale, dove sarà legato alla produttività. Per dirla con le parole dell’accordo: “i contratti collettivi nazionali di lavoro possono definire che una quota degli aumenti economici derivanti dai rinnovi contrattuali sia destinata alla pattuizione di elementi retributivi da collegarsi ad incrementi di produttività e redditività definiti dalla contrattazione di secondo livello”.
 
Secondo, con questo accordo vengono di fatto cestinati tutti i discorsi sulla riduzione della pressione fiscale sui salari e sugli stipendi, poiché la sola ipotesi di detassazione chiaramente definita –e condivisa dal Governo- è quella del salario di produttività derivante dai contratti aziendali stipulati ai sensi dell’accordo in questione: “Le Parti, pertanto, chiedono al Governo e al Parlamento di rendere stabili e certe le misure previste dalle disposizioni di legge per applicare, sui redditi da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui, la detassazione del salario di produttività attraverso la determinazione di un’imposta, sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali, al 10%”.
 
Terzo, al contratto aziendale dovrebbero essere delegate (“prevedere una chiara delega al secondo livello di contrattazione”) anche alcune parti normative come “gli istituti contrattuali che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro”.
 
Quarto, i firmatari sollecitano Governo e Parlamento di modificare il quadro legislativo al fine di affidare alla contrattazionematerie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla legge che, direttamente o indirettamente, incidono sul tema della produttività del lavoro”. Cioè, l’”equivalenza delle mansioni” (leggi: demansionamento), i “sistemi di orari e della loro distribuzione anche con modelli flessibili” e le “modalità attraverso cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori” (tipo il controllo a distanza del lavoratore, ora vietato dallo Statuto dei Lavoratori).
 
Quinto, in tema di rappresentanza dei lavoratori, richiamandosi al pessimo Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, si rinvia ad intese specifiche da stipulare entro la fine dell’anno, ma colpisce fortemente che sin d’ora venga precisato che “le intese dovranno, altresì, prevedere disposizioni efficaci per garantire … l'effettività e l'esigibilità delle intese sottoscritte, il rispetto delle clausole di tregua sindacale, di prevenzione e risoluzione delle controversie collettive, le regole per prevenire i conflitti, non escludendo meccanismi sanzionatori in capo alle organizzazioni inadempienti”. Cioè, tutte quelle belle cose che Marchionne si era inventato da Pomigliano in poi per reprimere il conflitto e sanzionare i lavoratori e i sindacati che scioperano.
 
Potremmo, infine, aggiungere una serie di punti relativi agli “enti bilaterali di matrice contrattuale”, alle “forme di welfare contrattuale” o “alla cultura della collaborazione fra imprese e lavoratori”, ma non faremmo altro che riconfermarci quello che già sappiamo, cioè che il consociativismo non solo produce mostri per molti, ma anche prebende per alcuni.
 
In conclusione, bisogna avere davvero una faccia tosta per sostenere che un accordo del genere porti a un miglioramento delle condizioni salariali e di lavoro. Ciò sarà possibile al massimo per una piccola minoranza di lavoratori, collocati in aziende medio-grandi, con produzioni che mantengono un mercato sicuro e che non possono essere delocalizzate con facilità. Per tutti gli altri, invece, di fronte alla crisi e al ricatto della disoccupazione, per non parlare di quel 70% di lavoratori, specie nelle aziende piccole o medie, che un contratto di secondo livello non l’ha mai visto, ci sarà soltanto la prospettiva di un ulteriore peggioramento e di maggiore precarietà. E senza nemmeno riuscire ad aumentare in maniera significativa l'occupazione, poiché se la questione è la competizione sul salario più basso, comunque vada, vincerà sempre la Serbia o la Cina.
L’accordo per la produttività, essendo un accordo quadro, deve ora essere applicato, a livello contrattuale e legislativo. Quindi, potrà e dovrà essere contrastato, sia a livello sindacale, che politico. E sarà questo, peraltro, il banco di prova per tutti e tutte, per capire se le critiche e prese di distanza di questi giorni sono cose da campagna elettorale oppure se si fa sul serio.
 
Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo integrale delle “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia”