Colpirne sette per educarne migliaia. Sembra questa la logica con la quale stamattina, con un ritardo di oltre un mese, si è materializzata anche a Milano la coda velenosa della giornata di mobilitazione del 14 novembre. Infatti, sette studenti, tra cui tre minorenni, sono stati fatti oggetto di perquisizioni, denunce ed indagini da parte degli uomini della Questura.
Le ipotesi di reato contestate sono quelle classiche “da piazza” (resistenza a pubblico ufficiale, violenza, getto pericoloso di cose, porto abusivo di oggetti atti ad offendere, travisamento) e si riferiscono ai momenti di tensione tra manifestanti e polizia in corso Magenta, quando gli studenti, organizzati nell’ormai consueto book bloc, avevano cercato di forzare lo sbarramento delle forze dell’ordine che impediva al corteo di raggiungere gli uffici di rappresentanza dell’Unione Europea.
Il 14 novembre era stato un giorno importante, perché per prima volta si erano realizzati scioperi simultanei in diversi paesi europei contro le politiche dell’austerity. In Italia l’impegno sindacale era stato piuttosto modesto, ma in cambio le piazze erano state riempite dal protagonismo studentesco. Ci sono stati anche momenti di tensione e scontri e le polemiche sul comportamento delle forze dell’ordine, specie a Roma, dov’erano state riprese dalle telecamere mentre si esibivano in violenze gratuite contro giovani e giovanissimi, sono durate parecchi giorni. Ad un certo punto sembrava perfino possibile che anche in Italia, come già accade in praticamente tutti i paesi europei, si potesse finalmente dotare gli agenti dei reparti mobili con dei numeri identificativi.
Alla fine, ahinoi, il tutto è tornato alla triste normalità italiana. Cioè, la vicenda dei numeri identificativi è sparita dal dibattito pubblico, mentre sono rimasti i provvedimenti e le denunce contro gli studenti. E se qualcuno avesse avuto dei dubbi a questo proposito, eccovi i provvedimenti milanesi a scoppio ritardato di stamattina.
Orbene, non facciamo gli ingenui. Quando c’è tensione sociale e quando si scende in piazza ci possono essere anche momenti di scontro. È sempre stato così, figuriamoci se non è così in un periodo storico come quello attuale, quando un’intera generazione rischia di essere privata del proprio futuro.
Ma davvero non facciamo gli ingenui o i finti tonti, come ad esempio fa oggi il solito De Corato, che blatera di “gravi incidenti” e si congratula con la Questura per aver perquisito e denunciato dei minorenni. Gravi incidenti? Ma per favore! Allora cosa dovrebbe dire la giovane studentessa alla quale i reparti mobili hanno spaccato due dita in corso Magenta. O come la mettiamo con quell’agente della Digos, abbattuto sempre in corso Magenta con una manganellata dai colleghi celerini, in una sorta di regolamento di conti interno, ma poi probabilmente contato come ferito dai cattivi studenti?
No, qui non c’entrano i “gravi incidenti”, ma c’entra quella malsana idea che orienta sempre di più anche questo governo “tecnico”, cioè che il conflitto sociale vada affrontato non con la politica, non con risposte concrete, bensì con il manganello e con le denunce. O meglio, la politica c’è anche in questo approccio, come si è visto oggi, perché si scelgono sette ragazzi tra i tanti presenti nel corteo, per lanciare un messaggio a tutte quelle migliaia di altri ragazzi che in queste settimane hanno manifestato, occupato le scuole e, più in generale, semplicemente rifiutato di assistere passivamente al furto del loro futuro.
Esprimo la mia solidarietà ai sette ragazzi indagati e spero ardentemente che questa brutta esperienza non gli faccia passare la voglia di battersi per il cambiamento. Né a loro, né a nessun altro.
Luciano Muhlbauer