Pensavamo che fosse una vicenda chiusa, consegnata definitivamente all’archivio delle cose tristi e ignobili da non dover rivedere mai più. Pensavamo che i ladri di lapidi appartenessero a un’altra epoca della storia cittadina, che ormai non fosse più possibile sfregiare la memoria di una generazione, di più generazioni. Ci eravamo sbagliati, perché dove non era riuscita l’arroganza e la prepotenza di Albertini e De Corato, ora rischia di arrivarci la sciatteria politica. E così, rieccoci, sette anni più tardi, a dover riparlare della lapide a Giuseppe Pinelli.
In piazza Fontana ci sono due lapidi che ricordano Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico fermato dalla polizia nell’ambito dei primissimi depistaggi seguiti alla strage del 12 dicembre 1969. Pinelli non uscì vivo dalla Questura, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, durante gli interrogatori, era precipitato da una finestra del quarto piano. All’inizio la polizia parlò di suicidio, ma quella tesi era palesemente insostenibile. Gli anarchici, la sinistra extraparlamentare e i movimenti parlarono di omicidio. Le vicende processuali si conclusero, invece, con una spiegazione più unica che rara, cioè Pinelli sarebbe volato fuori dalle finestra in virtù di un “malore attivo”, che avrebbe alterato il suo “centro di equilibrio”.
Ebbene, la prima lapide, quella originale, fu collocata in piazza Fontana nel 1976, porta la firma “gli studenti e i democratici milanesi” e recita “Ucciso innocente nei locali della Questura di Milano”. L’altra lapide è molto più recente ed era destinata, nelle intenzioni di Albertini e De Corato, a sostituire quella storica. Porta la firma del Comune di Milano e recita “Innocente morto tragicamente nei locali della Questura di Milano”.
E all’inizio sostituirono effettivamente la lapide, nel senso che una notte di marzo del 2006, come dei ladri di pollo, gli uomini del Comune rimossero la lapide originaria e misero al suo posto quella nuova e diversa. Ma la manovra non passò, per fortuna ci fu una sana reazione e alcuni giorni più tardi, il 23 marzo, militanti anarchici e della sinistra milanese rimisero la vecchia lapide, di cui esisteva un’altra copia, al suo posto. Da allora in piazza Fontana ci sono due lapidi, quella giusta, che parla della verità storica e della memoria dei milanesi, e quell’altra, che parla della totale mancanza di rispetto e dell’assenza di spessore morale degli amministratori milanesi di quegli anni.
Appunto, pensavamo che la vicenda si fosse chiusa lì, a maggior ragione dopo il 2011 e la fine del ventennio berlusconiano-leghista-postfascista a Milano. Ma poi, quando meno te l’aspetti, ecco che rispunta. Le cose sono andate così: in vista del 20° anniversario della strage di via Palestro del 27 luglio del ‘93, il Consiglio Comunale discute una mozione proposta da David Gentili, presidente della commissione antimafia, che propone di sostituire la dicitura generica dell’attuale targa con quella più precisa di “vittime di una strage mafiosa volta a ricattare lo Stato”. Tutti d’accordo, ovviamente, ma a questo punto Manfredi Palmeri, consigliere centrista e presidente del Consiglio Comunale ai tempi di Moratti, tira fuori un emendamento integrativo che dice che anche tutte le altre targhe esistenti a Milano dovranno essere modificate, “inserendo nel testo la verità giudiziaria affermata”.
A questo punto il gioco dovrebbe essere chiaro. Infatti, Pdl e Lega si schierano subito con l’emendamento, Sinistra per Pisapia e Sel sono contrari e la stessa Giunta comunale dà parere negativo. Eppure, succede l’incredibile e il Pd, insieme al radicale Cappato e l’ex IdV Grassi, dà vita a una sorta di larghe intense in salsa meneghina e vota a favore dell’emendamento, facendolo approvare. La mozione così modificata viene infine approvata dal Consiglio Comunale il 15 luglio e soltanto 7 consiglieri (Sinistra per Pisapia, Sel, Elisabetta Strada della lista civica per Pisapia e due consiglieri del Pd, Fanzago e De Lisi) non partecipano al voto in segno di dissenso rispetto a quell’emendamento.
A questo punto, De Corato giustamente gongola e chiede “la rimozione della targa degli anarchici in piazza Fontana, che non riporta la verità giudiziaria”, mentre qualcun altro non perde tempo in chiacchiere e corre in piazza Fontana ad imbrattare la lapide a Pinelli, trasformando l’ucciso in uccisosi…
Il Circolo Anarchico Ponte Della Ghisolfa ha indetto un presidio in piazza Fontana, per oggi mercoledì 24 luglio, alle ore 18.00, “contro chi vorrebbe la rimozione della lapide a Pinelli e la cancellazione della verità”. Penso che abbiano fatto bene ad organizzare l’iniziativa e che bisogna parteciparvi, per dire e ribadire sin da subito che quella lapide non si tocca.
Un’ultima cosa. Che non si dica che era doveroso approvare quell’emendamento e che sia giusto riportare sulle lapidi e sulle targhe solo “verità giudiziarie affermate”. La storia e la memoria non sono fatti burocratici e la verità giudiziaria non coincide necessariamente con la verità tout court, specie quando parliamo della strategia della tensione nel nostro paese.
Applicando quel criterio, cosa si dovrebbe scrivere sulle lapidi che ricordano le vittime della strage di piazza Fontana o di quella di piazza della Loggia a Brescia, visto che dopo quattro decenni di processi la “verità giudiziaria affermata” dice che non ci sono colpevoli? Dovremmo forse scrivere un cosa tipo “Scusate, ma non è stato nessuno” e rimuovere ogni riferimento allo Stato e ai fascisti?
E se l’unica verità consentita è quella “giudiziaria affermata”, come mai persino il Presidente della Repubblica, Napolitano, aveva sentito il bisogno di dire, a proposito delle stragi senza colpevoli, che c’era sì “il tormento di una giustizia incompiuta", ma anche che "una verità storica si è conseguita”? Oppure, perché Napolitano, invitando nel 2009 la vedova Pinelli a Quirinale, aveva voluto includere Pinelli tra le vittime della strage di piazza Fontana, dicendo “si compie un gesto politico e istituzionale. Si rompe il silenzio su una ferita non separabile da quella dei 17 che persero la vita a piazza Fontana”?
Tante domande e forse qualcuno dovrebbe iniziare a rispondere.
Luciano Muhlbauer