Da quando è esploso l’allarme Isis non passa giorno che i tg, i giornali e i siti d’informazione che vanno per la maggiore non ci propongano una narrazione che suona grosso modo così: da una parte loro, i cattivi, il male, cioè lo Stato islamico (Da’esh in arabo), e dall’altra parte noi, i buoni, il bene, cioè la coalizione anti Isis che riunisce Usa, Europa, Nato e i paesi arabi “moderati”. Ebbene, sui cattivi ci siamo senz’altro (e spero vivamente che anche quelle strane fascinazioni estive che avevano colpito taluni siano definitivamente alle nostre spalle), ma è la storiella dei buoni che non sta proprio in piedi e che, anzi, in questi giorni di eroica e solitaria resistenza di Kobanê si staglia davanti a noi in tutto suo immenso squallore.
Infatti, gli spettatori dei tg nostrani si saranno chiesti più volte come possa accadere che l’armata del bene, dotata di tutta la più avanzata tecnologia militare, non sia in grado di fermare le truppe dell’Isis che assediano la città kurdo-siriana, che peraltro si trova sul confine con uno dei più armati paesi della Nato, cioè la Turchia. A qualcuno sarà venuto persino il dubbio che quelli dell’Isis siano una specie di superuomini. Un mistero, insomma.
Ma la realtà è molto più banale e non ci sono né misteri né superuomini. C’è semplicemente una città circondata da tutte le parti. Su tre lati c’è l’Isis, con migliaia di uomini e armamento pesante, sul quarto lato c’è il confine turco, presidiato e sigillato dall’esercito di quel paese, che impedisce ogni rifornimento e rinforzo agli assediati. In città ci sono alcune migliaia di kurdi e kurde dell’ YPG/YPJ, da soli, a combattere con armi leggere. Non c’è certo bisogno di scomodare il vecchio von Clausewitz per capire come va a finire se la situazione rimane immutata.
In altre parole, se Kobanê cadrà nelle mani di Da’esh, con tutto quello che comporterà in termini umani, il responsabile non si chiamerà soltanto al-Baghdadi, ma anche Erdogan. E se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul ruolo del governo turco, allora guardi alla brutale repressione delle proteste dei kurdi in Turchia di questi giorni: nel momento in cui scriviamo sono già oltre 20 i kurdi uccisi perché hanno protestato contro il massacro di Kobanê e la complicità del governo turco.
Dall’altra parte, Erdogan è sempre stato nemico dei kurdi e piuttosto amico dell’Isis, al quale permetteva un po’ di tutto, compreso quel confine aperto che invece è negato ai kurdi. Insomma, come nel caso di Arabia Saudita e delle altre petromonarchie del Golfo, prima che arrivasse il contrordine da Washington perché la creatura era sfuggita di mano –così come a suo tempo era successo con Bin Laden in Afghanistan- gli uomini di al-Baghdadi erano piuttosto coccolati, per usare un eufemismo.
Ma questo ormai dovrebbero averlo capito tutti, nonostante continui la narrazione dei buoni e dei cattivi. A livello politico, però, tutto va avanti come se niente fosse. Certo, ora gli aerei Usa sganciano qualche bomba nei dintorni di Kobanê, perché la situazione stava diventando imbarazzante anche per gli stomaci forti, ma poco di più. In Italia, poi, non c’è nemmeno un sottosegretario che trovi il tempo di una dichiarazione.
Già, l’Italia, casa nostra. Un paese della Nato, come la Turchia. Un paese che ora esprime Mrs Pesc, cioè il Ministro degli Esteri dell’Unione Europea. E un paese che, come tutta l’UE, ha accettato di classificare il Pkk (la forza politica più rappresentativa dei kurdi di Turchia) come “organizzazione terroristica”. È stato su questa base che soltanto un mese fa, con l’attacco a Kobanê già in corso, la Procura di Milano ha indagato per terrorismo 40 kurdi residenti in Italia soltanto per aver raccolto denaro per il Pkk.
Sin dall’inizio i kurdi e le kurde siriani, sostenuti da guerriglieri del Pkk, hanno combattuto contro l’Isis, anche quando quest’ultimo era ancora amico di Turchia e Arabia Saudita e gli Usa approvavano. Non avevano finanziatori e amici potenti, ma hanno resistito sul terreno alle bande del califfato meglio di chiunque altro. Hanno costruito nella loro terra e in mezzo alla guerra civile siriana un’esperienza di autogoverno democratico straordinaria, basata sulla Carta di Rojava, che include tutti, “arabi, curdi, assiri, armeni, ceceni, musulmani, cristiani e yazidi, secondo il principio della convivenza pacifica e della fratellanza”. Cioè, un messaggio più unico che raro in quella parte del mondo martoriata dalla guerra e dall’interventismo statunitense. E rappresenta l’esatto contrario dei principi sui cui si basa il Califfato proclamato dall’Isis.
Eppure, il governo Renzi, così loquace su tutto, non ha trovato una parola da dire alla Turchia. Non che Erdogan cambi idea perché glielo dice Renzi, figuriamoci, ma almeno l’Italia mostrerebbe un po’ di dignità (che non sarebbe male dopo l’indegna consegna di Ocalan nel 1999). E Mrs. Pesc Mogherini l’avete sentita? Tuttavia qualcosa di concreto di potrebbe fare, subito, in Italia e in Europa: togliere il Pkk dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Questo sì che darebbe fastidio a Erdogan e, soprattutto, un po’ di ossigeno ai kurdi e alle kurde.
Insomma, il governo italiano deve fare, urgentemente. E noi dobbiamo muoverci perché faccia, insieme alle comunità kurde. Non dobbiamo permettere che questa squallida ipocrisia possa andare avanti con il nostro silenzio, perché saremmo corresponsabili.
Luciano Muhlbauer