Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 15 giugno 2005 (pag. Milano)
Sono passate soltanto tre settimane dalla rivolta nel centro di detenzione per migranti di Via Corelli e la questione sembra quasi scomparsa dalle pagine dei giornali. Eppure, l’apparenza inganna, non tutto è tornato come prima, cioè all’invisibilità e al silenzio. Anzi, come a voler contraddire le affermazioni del Ministro Pisanu, per il quale il problema non starebbe nell’esistenza stessa dei Cpt, bensì in un immaginario complotto politico, il meccanismo infernale dei “centri di permanenza temporanea e assistenza” mostra qualche vistosa crepa.
Non ci riferiamo tanto alla situazione all’interno del centro di Via Corelli, segnata ora da una relativa calma. E non potrebbe essere diversamente, dopo due mesi di ripetute proteste, sfociate poi nel -purtroppo- annunciato epilogo di fine maggio, con i suoi feriti e le sue 21 persone sotto processo. Ci riferiamo invece all’inizio di reazione da parte della società civile e politica milanese che ha portato alla stesura dell’”Appello alla città democratica e antirazzista”, firmato da molte organizzazioni e singoli, compresi esponenti sindacali e istituzionali.
Certo, siamo ancora ben lontani dalla bisogna, ma uno spazio si è aperto o, più semplicemente, una parte della città ha riconquistato la capacità di indignarsi di fronte allo scempio umano, civile e politico di Via Corelli. Un’indignazione, per fortuna, non solitaria in Italia, a giudicare dalle significative adesioni che sta raccogliendo il coraggioso appello del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, per chiudere i Cpt.
I Cpt sono semplicemente intollerabili, da ogni punto di vista. Rappresentano una sorta di eccezione nella legalità costituzionale, per cui vi è un diritto per i cittadini italiani e comunitari e poi ce n’è un altro per i cittadini non comunitari, che possono essere rinchiusi e privati della libertà personale fino a 60 giorni, senza aver commesso reato, senza aver subito un processo e senza aver mai visto un magistrato ordinario. Vi si possono trovare ex-carcerati che a fine pena si fanno altri due mesi di reclusione supplementari, richiedenti asilo politico con tanto di appuntamento per l’udienza in tasca, operai “scaricati” dalla dita italiana dopo aver subito un incidente sul lavoro e così via. Questi “ospiti”, come li chiama incredibilmente la legge, si trovano rinchiusi in Via Corelli, ben nascosti alla vista della città da muri di cemento alti tre metri.
I Cpt sono lo specchio fedele di una politica sull’immigrazione, codificata nella legge Bossi-Fini, che si affida esclusivamente alle misure repressive ed escludenti e che proprio oggi dimostra il suo fallimento, essendo ridotta a fabbrica di clandestinità. Battersi oggi per la chiusura del centro di Via Corelli e di tutti i Guantanamo nostrani, è anche il modo migliore per iniziare a porre il problema del rovesciamento delle attuali politiche in materia.
Ma in tutto questo vi è un’urgenza terribile, poiché le destre rispondono al loro fallimento cavalcando la tigre delle paure dei cittadini. E rieccoci con i discorsi sull’immigrazione criminalizzanti, securitari e razzisti, come ci ricorda in questi giorni la vicenda di Besano. Anche per questo non bisogna perdere un minuto e far vivere l’invito dei firmatari dell’Appello alla mobilitazione. Appuntamento giovedì 16 giugno, alle 18.00 in Piazza San Babila, per un presidio-manifestazione che chiede la chiusura del Cpt di Via Corelli e, nel frattempo, l’apertura del centro alle visite di organismi indipendenti.
qui puoi scaricare l’appello con tutte le firme