Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 5 aprile 2008 (pag. Milano)
Un’altra settimana sta per concludersi, ma per Milano non è stata una settimana qualsiasi. Il contrasto apparente tra i trionfalismi per l’Expo, supposta cura per tutti i mali della metropoli, e il realismo misero dello sgombero della baraccopoli della Bovisasca, con le centinaia di uomini, donne e bambini costretti a vagare per le strade, è qualcosa di più di una semplice notizia di cronaca. È piuttosto una metafora dell’oggi, della città esistente e di quella futura.
Nemmeno l’ipocrisia sembra più fare scandalo, quasi fosse divenuta una virtù della modernità. E così, il sindaco elargiva parole mielose di gratitudine a un’Africa lontana, mentre la sua amministrazione procedeva all’espulsione di centinaia di profughi di guerra africani dai dormitori comunali. Nulla di straordinario, per carità, succede tutti gli anni. E poi, l’inverno è finito e quindi si può tornare tranquillamente a dormire nelle aree dismesse.
La vetrina luccicante da esibire e la povertà da nascondere sotto il tappeto. Le due facce che disegnano un’unica medaglia, quella di una società dove le differenze sociali si acutizzano e di una città sempre più ostaggio degli interessi di pochi. Il sindaco e il suo vice fanno il loro mestiere, il primo si occupa della buona riuscita degli affari, il secondo di vendere percezione di sicurezza e di castigare gli esclusi e gli oppositori.
Poi c’è il cardinale, che ha messo in imbarazzo il sindaco, ricordandogli che esistono anche e soprattutto i diritti umani. Due giorni dopo ha spiegato a Confcooperative che i contratti di lavoro “al massimo ribasso” e precari non vanno bene. A dire il vero, non è la prima volta che si espone, anzi è una delle poche voci autorevoli della città che parla della sempre più esplosiva questione sociale, cioè del lavoro, della casa, delle periferie, dell’esclusione e delle solitudini urbane, senza cedere alla demagogia securitaria.
Il cardinale fa molto di più del suo mestiere, dicendo quello che molti altri dovrebbero dire. Anzi, riempie un vuoto di coscienza critica e di iniziativa politica. In questi giorni, quasi quasi, veniva voglia di urlare “viva il Cardinale, abbasso il Sindaco!”. Ma, con tutto il rispetto e l’apprezzamento per lui, non possiamo mica finire con una riedizione moderna dei guelfi e dei ghibellini e così dobbiamo occuparci di noi, di quelli di sinistra.
La sinistra si è sentita poco. Sull’Expo quasi per nulla, sommersa com’era dall’assordante plauso bipartisan. Certo, ci sono state alcune prese di parola, ma che in fondo hanno semplicemente confermato quello che sapevamo già, cioè che il dibattito è ancora da fare. Anche sullo sgombero della Bovisasca c’è stato troppo silenzio pubblico e non è tutta colpa di un’informazione cittadina che ormai concede poco fuori dal duopolio PdL-Pd.
L’assenza di iniziativa e chiarezza della sinistra in questa settimana è paradigmatica dello stato di cose presente, poiché si è prodotta esattamente su due questioni che attengono intimamente all’idea e al progetto di città e di società. Le trasformazioni urbanistiche dell’area metropolitana sono di fatto guidate da pochi, ma potenti interessi privati che disegnano una metropoli a misura di affari, dove chi abita il territorio e vi lavora è ridotto a spettatore rispetto alle decisioni che contano, a produttore a buon mercato di ricchezze altrui e a consumatore frenetico. E chi non si adegua o chi non ce la fa diventa un fastidio e un problema di ordine pubblico.
Ecco perché è determinante che la ricostruzione di una soggettività della sinistra parta da un’altra idea di città, dove vengono prima le persone e dopo il business, prima il trasporto pubblico e dopo le colate di asfalto, prima le periferie popolari e dopo le new towns per i benestanti, prima l’inclusione e la giustizia sociale e dopo le polizie.
Senza un’altra idea di città saremo condannati alla subalternità. Senza la ripresa della mobilitazione e del conflitto non rimane che l’impotenza. E senza il protagonismo e la partecipazione dei soggetti sociali e della cosiddetta “sinistra diffusa”, fatta di comitati, associazioni, realtà sindacali e centri sociali, non si va da nessuna parte.