Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato (con altro titolo) su il Manifesto del 24 maggio 2008 (pag. Milano)
La vera notizia del giorno non è che il “governo ombra” del Pd si sia riunito a Milano, bensì che lo abbia fatto al Pirellone, ospite di Roberto Formigoni. Una scelta simbolica e in politica i simboli parlano, meglio di tante parole.
La Lombardia è una terra che spesso ha anticipato, nel bene e nel male, i processi nazionali ed è così anche nel caso del progetto del Pd veltroniano. Qui l’Unione, cioè il centrosinistra, era stata affossata già nel 2006, a un solo anno dalle elezioni regionali e contestualmente con la nascita del governo Prodi. Da allora è stato un susseguirsi di voti favorevoli o astensioni sui provvedimenti principali del centrodestra, a partire dalla convergenza dell’allora Ulivo su una parte fondamentale del programma di governo di Formigoni, cioè la richiesta al governo nazionale di poteri particolari per Regione Lombardia.
L’idea che stava alla base delle scelte del Pd lombardo era tanto semplice, quanto inquietante: rompere non soltanto con la sinistra politica, bensì con ogni idea alternativa al modello politico e sociale formigoniano, nella prospettiva di risalire così la china elettorale e candidarsi ad amministrare la Lombardia così com’è.
In realtà, il bilancio di questi due anni di “dialogo” è per nulla edificante, poiché Formigoni ne è uscito rafforzato sul piano politico, mentre il suo solido sistema di potere ne ha tratto ulteriore legittimazione culturale e sociale. Ma, si sa, le illusioni sono dure a morire e così oggi Veltroni ha dato il suo imprimatur nazionale alla collaborazione tra Pd e Formigoni.
Non c’è da dubitare che il Presidente ciellino abbia apprezzato, perché un Pd collaborativo è più che mai utile nella situazione attuale, segnata dal contrasto con Berlusconi, dall’incalzare della Lega e dalla competizione con il Sindaco Moratti. Formigoni è costretto a qualche rilancio politico e ha bisogno di alleati. E allora si può discutere di tutto con il Pd, dagli affari dell’Expo fino alle necessità di Penati, bisognoso di un aiutino in vista delle elezioni provinciali.
Tutto ciò è comprensibile, ma è anche misero. È la riduzione della politica a contrattazione di quote di potere e, in ultima analisi, una resa di fronte agli interessi particolari che spadroneggiano in Lombardia. Di tutto ha bisogno la nostra regione, fuorché di grandi coalizioni di fatto che sterilizzano la dialettica democratica e bloccano ogni cambiamento e rinnovamento.