Oggi nel primo pomeriggio si è tenuto presso la Regione l’incontro sulla vertenza Innse Presse, convocato il 14 gennaio scorso dagli Assessori regionali al lavoro e alle attività produttive, Rossoni e La Russa. Presenti alla riunione erano gli Assessori regionali, la Provincia di Milano (Casati), un rappresentante del Comune di Milano, la Prefettura (dott. Tortora), i lavoratori della Rsu dell’Innse, la Fiom di Milano, la proprietà e il sottoscritto, in rappresentanza del Gruppo consiliare regionale del Prc, che aveva sollecitato un incontro per conto dei lavoratori Innse sin dal 13 gennaio scorso.
Ovviamente, considerato lo stato della vertenza, nessuno si aspettava che quel tavolo potesse essere risolutivo di alcunché, ma l’estrema difficoltà di ottenere anche soltanto una “tregua” da parte di Genta (la proprietà di Innse), è altamente significativo della situazione. La “tregua”, cioè l’impegno da parte della proprietà di non chiedere l’intervento della forza pubblica per un lasso di tempo limitato e dedicato alla ricerca di soluzioni negoziali, è infine arrivata, con la dichiarazione dei legali di Genta di astenersi da iniziative unilaterali fino al 31 gennaio, data entro la quale la Regione convocherà un secondo incontro.
Ma per avere soli 11 giorni di relativa tranquillità c’è voluta tutta la pressione delle istituzioni presenti, poiché fino alla fine la proprietà non intendeva concedere più di tre giorni (sic!). In sostanza, la proprietà si è mostrata per tutta la durata dell’incontro inflessibile e irriducibile, nonostante Regione, Provincia e Comune avessero dichiarato all’unisono che ritengono che il territorio milanese non possa rinunciare a un’attività produttiva che dispone di un mercato per le sue merci.
Ebbene, l’odierno incontro è stato sicuramente positivo, poiché concede una decina di giorni per tentare di aprire canali reali per una soluzione. Ma non bisogna farsi delle illusioni, perché il percorso sarà ancora lungo e soprattutto le difficoltà sono tante, a partire dagli interessi particolari e dagli affari della proprietà della fabbrica e di quella dell’area. La prima aveva acquistato il sito produttivo a prezzo di favore, cioè poco più di 700mila euro, e probabilmente si immagina di fare l’affarone vendendo i macchinari sul mercato, dato il loro valore viene stimato in alcuni milioni di euro. La seconda è interessata soprattutto al business immobiliare che si prospetta e la presenza di attività industriali forse non è nemmeno troppo gradita. Insomma, nessuno sembra interessato al mantenimento della fabbrica, salvo di lavoratori che da lunghi mesi si spendono in una lotta generosa e straordinaria.
Ora si tratta di lavorare per la soluzione e l’impegno reale delle istituzioni andrà valutato in base agli strumenti e alle iniziative concrete messe in campo. Da parte di chi in questa città mantiene ancora un po’ di buonsenso e di voglia di non arrendersi occorre la massima attenzione e disponibilità a mobilitarsi ancora. Ma una cosa non ci pare ammissibile e accettabile: che a Milano si licenzino 50 operai e che si chiuda una fabbrica sana e produttiva soltanto perché due soggetti devono fare i loro personalissimi affari!