Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Aprileonline.info del 20 gennaio 2008
Siamo immersi in un terribile paradosso. Proprio quando i fatti del nostro tempo smentiscono sonoramente i profeti della "fine della storia" e del superamento definitivo di ogni bisogno di cambiamento e alternativa, la sinistra realmente esistente, almeno in Europa, sicuramente in Italia, si trova avviluppata nella più profonda delle sue crisi. Ed è crisi seria, di consenso politico, insediamento sociale, credibilità, progetto e identità.
Un paradosso denso di implicazioni inquietanti, come già ci hanno confermato i primi mesi seguiti alla disfatta politica ed elettorale della primavera scorsa. Cioè, una sinistra sostanzialmente impotente e afona di fronte alla crisi del capitalismo liberista e alla veloce regressione civile e morale che sta investendo la politica e la società, lascia di fatto campo libero al peggio.
Insomma, c’è un grande bisogno di sinistra, ma la sinistra così com’è oggi è fuorigioco, non serve e non evoca nemmeno speranze. In altre parole, è da rifare, da reinventare. Questo è lo stato delle cose e faremmo bene a dircelo in faccia senza troppi giri di parole. Ed è per questo che al Congresso di Rifondazione, quello di Chianciano, anche il sottoscritto avevo sostenuto e votato la mozione n. 2 “vendoliana”. Perché nominava il problema e proponeva di affrontarlo, invece di ritirarsi nel fortino assediato e di rifugiarsi nell’illusione che fosse sufficiente aspettare che la tempesta si calmasse.
Ri-costituire la sinistra in Italia, tuttavia, non è una questione di ingegneria politica o di accordi tra pezzi di gruppi dirigenti esistenti, come aveva peraltro ratificato il fallimento dell’Arcobaleno. È cosa necessariamente più difficile, articolata e ambiziosa e, soprattutto, presuppone una ripartenza dalla società e dai suoi conflitti, cioè dalla rottura della separatezza della politica. E presuppone un’altra cosa: partire dai contenuti, quello che classicamente si chiamava “programma” e “strategia”, e non dai contenitori. Detto altrimenti, occorre partire dalla domanda del “perché” un lavoratore, una giovane, un migrante eccettera dovrebbe impegnarsi nella sinistra o votarla, invece che dalla domanda del “dove” dovrebbe farlo.
In fondo, gli stessi avvenimenti dell’autunno scorso non hanno fatto che riconfermare tutto questo, a partire dal grande movimento di studenti, insegnanti e genitori, che non solo ci teneva alla sua autonomia, come fanno tutti i movimenti veri, ma guardava con enorme diffidenza tutto ciò che sapeva di partiti e di politico. E soprattutto, il dibattito e la discussione sulla sinistra non ha mai nemmeno incrociato quel movimento e gli uomini e le donne che lo componevano.
Sono passati soltanto pochi anni, ma rispetto al movimento nato a Genova nel 2001 sembra passato un secolo. Anche allora la diffidenza verso i soggetti partitici c’era, ma allo stesso tempo vi era anche il pieno riconoscimento dell’internità di Rifondazione al movimento. E quel movimento esprimeva, a modo suo, una grande domanda politica e rappresentava una straordinaria forza centripeta. Oggi, le cose stanno diversamente, allo stato non ci sono luoghi sociali, politici o di movimento che attraggano, che mettano in comunicazione forze diverse, plurali. Oggi a sinistra prevalgono le forze centrifughe, la dispersione e le solitudini, sia a livello politico, che a livello sociale.
In un quadro del genere, ridurre la questione del rifare la sinistra a un’operazione di scissione di Rifondazione in vista delle scadenze elettorali di giugno, appare dunque cosa modesta, ancora prima che sbagliata. È comprensibile certamente la fretta, il voler agire e anche il profondo disagio di fronte al cul de sac in cui l’attuale maggioranza di Rifondazione ha infilato il partito. Ma non è convincente il tipo di risposta offerta, segnata dal metodo politicista, troppo indeterminata politicamente e foriera di nuove dispersioni e divisioni.
Per questo, insieme a molti compagni e compagne di Rifondazione per la Sinistra, non parteciperò alla scissione, continuando dunque la battaglia iniziata a Chianciano, nel partito e nella società.