Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 27 maggio 2009 (pag. Milano)
“Non parlarmi degli archi, parlami delle tue galere”. Così diceva Voltaire, il quale pensava che il grado di civiltà di una nazione si specchiasse nelle sue carceri e non nei suoi palazzi. E se questo è il metro di misura, allora nel paese del “va tutto bene” del premier e dell’ossessione “sicurezza” delle destre, e non solo, siamo messi proprio male. Almeno questo è quanto emerge dalla nostra visita di ieri al carcere milanese di San Vittore.
Nella casa circondariale di via Filangeri dovrebbero starci non più di 930 detenuti, secondo le regole stabilite dal Ministero, nonché dal buon senso. Invece, ce ne stanno 1447, stipati anche in sei in delle celle da due, uno sopra l’altro con le brande a castello. Cioè, spazi ristrettissimi che si trasformano in piccoli inferni quando si scatena il caldo, come in questi ultimi giorni.
Ma mentre i detenuti sono in condizioni di sovraffollamento estremo, il personale della polizia penitenziaria si trova in una situazione diametralmente opposta. Cioè, qui mancano all’appello ben 260 agenti rispetto a quanto prevede l’organico necessario per il normale funzionamento.
In altre parole, troppi detenuti e troppo pochi agenti. Un mix micidiale di per sé, ma ancora più preoccupante se consideriamo la complessità della popolazione carceraria di San Vittore, che conferma la natura di “discarica sociale” delle carceri italiane, denunciata ripetutamente da più parti. Il 61% sono stranieri, provenienti anzitutto dai paesi del Maghreb e dell’Est europeo, il 27% dei detenuti è rappresentato da tossicodipendenti accertati e quelli con necessità di assistenza psichiatrica sono in gran numero.
E come se non bastasse, il disinteresse governativo per lo stato delle carceri e i relativi tagli di bilancio hanno fatto sì che persino la manutenzione ordinaria sia diventata un’impresa. Come si spiega altrimenti che degli agenti di custodia debbano ricorrere alla buona volontà e, soprattutto, alle donazioni volontarie per poter reperire due secchi di vernice per imbiancare una cella un po’ malmessa?
Insomma, se San Vittore non esplode o implode, questo si spiega soltanto con le professionalità ed esperienze interne accumulate, con il contributo dei volontari che vi lavorano e con la presenza di diversi progetti. A quest’ultimo proposito va segnalato senz’altro il centro diurno rivolto ai detenuti con problemi psichiatrici, in funzione da un anno e gestito dalle associazioni A&I e Arci, i cui risultati positivi sono confermati da tutti i soggetti interpellati, nonché da quello che abbiamo potuto vedere e sentire.
San Vittore ha sicuramente la sua storia, la sua età e le sue particolarità, ma molti dei suoi problemi non sono un’eccezione. Anzi, in un modo o nell’altro, questi si riscontrano in quasi tutte le carceri lombarde, dal sovraffollamento alla mancanza di personale, passando dalla cronica mancanza di fondi.
Ma, appunto, qui torniamo alla vecchia riflessione di Voltaire e alla molto più moderna contraddizione tra le chiacchiere elettorali sulla “sicurezza” e sull’”efficienza” e la realtà dei fatti.