Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
De Corato non fa più il vicesindaco, ma continua a produrre danni lo stesso. E non soltanto per quello che dice o fa oggi, ma anche per quello che aveva detto e fatto ieri. Sentite cos’è successo a Luca Fazio, giornalista della redazione milanese de “il Manifesto”, e poi decidete cosa fare, cioè se voltarvi dall’altra parte o reagire, schierarvi dalla parte di Luca (e della decenza) e contro De Corato (e l’indecenza).
In estrema sintesi, alcuni giorni fa Luca ha ricevuto la visita di un ufficiale giudiziario che gli ha notificato che deve dare 20.320 euro all’on. Riccardo De Corato: o consegna il cash in tempi brevi oppure la prossima volta gli pignoreranno i mobili. E così, Luca ha scoperto di essere stato condannato in contumacia, in primo grado, per una causa di diffamazione promossa da De Corato.
Ma in che cosa consisterebbe la grave colpa di Luca? Semplice, in un articolo da lui scritto per il Manifesto il 25 gennaio del 2009, che raccontava la manifestazione del giorno prima contro lo sgombero del Conchetta. Ricordate, vero? Il clima di quei giorni era incandescente e la città iniziava a reagire contro la guerra agli spazi sociali voluta dal Comune di Milano. Il corteo che quel sabato 24 gennaio attraversò Milano individuò nell’allora vicesindaco De Corato il principale responsabile dello sgombero del Conchetta, gridando in gran quantità l’ormai celebre “De Corato pezzo di merda” (se non ricordate, eccovi un piccolo promemoria).
L’articolo firmato da Luca era semplicemente una cronaca di quella manifestazione, comprensiva dei cori contro De Corato, in virgolettato beninteso, e con l’aggiunta di qualche ovvia valutazione giornalistica. In realtà, il giudice ha respinto la quasi totalità delle tesi di De Corato, ma poi vi è stata una piccola buccia di banana: cioè Luca, che è interista, aveva scritto che il tipo di insulto lanciato contro De Corato di solito si sentiva allo stadio contro Materazzi, ma che quest’ultimo non se lo meritava.  Ergo, secondo il giudice, Luca voleva dire che De Corato se lo meritava… E tutto questo vale la bellezza di 20mila euro!
 
Per quanto riguarda il racconto della vicenda mi fermo qui, rimandando per un maggiore approfondimento a quanto pubblicato oggi (24 ottobre 2012) da il Manifesto, che trovate riprodotto in fondo.
 
A questo punto vorrei però lanciare un pressante appello: non lasciamo solo Luca! Anche perché De Corato sarà mica un problema personale suo, o no?
Anzitutto, facciamo girare questa vicenda, raccontiamola sui blog e sui social network.
Secondo, diamo una mano concreta e materiale a Luca, cioè sottoscriviamo per lui. Già, perché lui quei soldi non ce li ha, anche perché è in cassa integrazione, e quindi rischia che a lui e a sua figlia portino via i mobili…
A proposito, magari vi chiederete se qualcuno ha contattato De Corato, per fargli sapere che non inguaia un giornale che egli non ama, bensì una persona, un giornalista cassintegrato, e per ricordargli che lui di quei soldi non avrebbe minimamente bisogno, visto che fa il parlamentare da ben 18 anni. Ebbene, De Corato è stato effettivamente contattato e informato della situazione, ma la risposta è stata degna di lui: me ne frego!
 
Eccovi quindi i due modi per far arrivare le sottoscrizioni per Luca Fazio:
 
1. portare il denaro, poco o tanto che sia, direttamente alla redazione milanese del Manifesto, in via Ollearo 5 (la stessa palazzina di Radio Popolare);
 
2.  fare un bonifico sul conto corrente appositamente aperto:
intestato a Luca Fazio
IBAN: IT43H0306967684510324096294
Causale: «Un centesimo ciascuno per risarcire De Corato»
 
Queste sono le cose da fare. Facciamole, ognuno secondo le sue possibilità!
 
Luciano Muhlbauer
 
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da il Manifesto:
 
De Corato, Sallusti e il Manifesto
 
Sapessi com'è strano fare il giornalista a Milano, al manifesto è successa una cosa che neanche a Sallusti. Pochi giorni fa questo giornale ha perso una causa civile presentata contro il nostro Luca Fazio dall'ex vicesindaco di Milano e deputato del Pdl on.le Riccardo De Corato. Una causa che riteniamo assurda per un articolo del 2009 (vedi sotto) in cui Luca raccontava un corteo di 10mila persone contro lo sgombero del centro sociale Conchetta (Cox18) disposto dall'ex giunta Moratti.
 
Purtroppo, come sapete, il manifesto è finito in liquidazione e da allora abbiamo dovuto cambiare sede, studio legale e amministratori. In questi infiniti passaggi di consegne, Luca è stato condannato in primo grado per diffamazione a un risarcimento di 20mila euro.
Soldi che non sono a carico del giornale - in liquidazione - ma direttamente del giornalista che è in cassa integrazione come tutti noi.
 
Abbiamo fatto presente all'on. De Corato che la situazione era cambiata: non stava ottenendo il risarcimento da un suo avversario storico e "politico" come il manifesto ma da un singolo cassintegrato che prende, se va bene, 900 euro al mese. L'onorevole ha risposto in malo modo («me ne frego, me ne avete fatte troppe») e pretende il risarcimento immediato, senza aspettare il secondo grado di giudizio. Insieme a Luca e ai nostri legali (lo studio Fiore-de Crescienzo di Roma) continueremo a lottare in tribunale perché la sentenza sia prima sospesa e poi riformata.
 
Purtroppo né noi né l'amministrazione controllata abbiamo 20mila euro. Ma rispettiamo la giustizia, e se la richiesta di sospensione della sentenza non andrà a buon fine, vogliamo dare all'on. De Corato i soldi che vuole immediatamente.
 
Perciò ci serve il vostro aiuto, anche piccolo, affinché sia garantita la libertà del giornale. Alla fine della sottoscrizione trasformeremo il ricavato in moneta sonante, da consegnare all'on De Corato, aiutandolo, insieme ai lettori, a contare il suo risarcimento: centesimo dopo centesimo.
 
Se volete contribuire, abbiamo un salvadanaio per De Corato sia nella redazione di Roma (via Angelo Bargoni 8) che in quella di Milano (via Ollearo 5). Oppure potete sottoscrivere qui, conto corrente Luca Fazio, IBAN - IT43H0306967684510324096294. Causale (scrivetela, è molto importante): «Un centesimo ciascuno, per risarcire De Corato».
 
Per una volta, pagare sarà un piacere. Naturalmente il collettivo del manifesto sta già facendo la sua parte. Vedremo Milano da che parte sta.
 
Qui l'articolo che racconta questa storia (uscito oggi a pagina 2)
 
nota bene:
non possiamo ripubblicare integralmente l'articolo perché è stato ritenuto diffamatorio. Perciò ne citiamo solo i passaggi rilevanti ai fini della sentenza. Sostanzialmente su 5 punti contestati da De Corato il giudice ne ha accolto uno solo, in cui Luca riferiva che nel corteo del 2009 si gridavano contro l'ex vicesindaco gli insulti che i tifosi milanisti "regalano all'avversario meno simpatico Marco Materazzi ... ma lui non se li merita".
 
Ecco il testo della cronaca di oggi:
 
Chi ci aiuta a pagare il conto a De Corato?
 
A proposito di «espressioni diffamatorie» e libertà di stampa, ci teniamo a precisare che il nostro Luca Fazio non è Sallusti. Né ci terrebbe ad esserlo. Intanto nessuno lo vuole mettere in galera, però ci è rimasto male lo stesso quando l'altro giorno un ufficiale giudiziario si è presentato a casa sua per consegnargli una lettera sgradevole. Dice che la prossima volta, se necessario, entreranno con la forza pubblica per smontargli la casa - si chiama pignoramento - e risarcire così l'ex vicesindaco di Milano Riccardo De Corato che si è sentito diffamato per un articolo pubblicato sul manifesto il 25 gennaio 2009. Titolo: Riprendiamo Cox 18.
 
La rabbia di Milano.Il giornale ha perso quella causa in contumacia - non ci siamo presentati in aula per difenderci - per via di una serie di disguidi che riguardano la nostra disastrata situazione finanziaria. Per questo deve dare 20.320 euro a De Corato. Che c'entra Luca? C'entra. Messi male come siamo - cioé in liquidazione coatta e la sentenza si riferisce ad un articolo scritto prima del commissariamento della testata - tutto ricade sulle spalle del redattore. Che vive con circa 900 euro al mese di cassa integrazione.
 
I lettori del manifesto, specialmente quelli milanesi, sanno chi è Riccardo De Corato. Per un decennio ha segnato la vita di Milano a colpi di proclami, campagne securitarie, provocazioni e sgomberi ai danni dei soggetti più deboli, facendo di questa città il laboratorio delle politiche più reazionarie, quelle che ancora oggi dettano legge in tutto il paese perché hanno stravolto il comune sentire. Ma queste, direbbe un giudice, sono solo opinioni.
 
Stiamo ai fatti. Nel gennaio 2009 la giunta di Milano fece di tutto per arrivare allo sgombero manu militari del centro sociale Conchetta, luogo storico della sinistra antagonista milanese. Un'azione inutile, tant'è che il centro sociale venne subito rioccupato, ma che generò una tensione incredibile. Solo per lo sgombero del Leoncavallo la città era stata capace di mobilitarsi in quel modo: diecimila persone in corteo, tra cui molte personalità della politica e della cultura, e Milano militarizzata. Ma veniamo alla cronaca (giudiziaria). A leggere la sentenza, sembra che il giudice ritenga del tutto lecito lo scritto del manifesto. De Corato si è sentito diffamato perché l'articolista lo avrebbe individuato come mandante dello sgombero (invece uno sgombero è di competenza del prefetto), e per alcune affermazioni tipo «uomo socialmente pericoloso» e «il violento non ha il cappuccio, è il vicesindaco».
 
Ecco quello che ha stabilito la sentenza: «In tale prospettiva, indipendentemente dalla condivisibilità della tesi proposta dall'autore, il testo in esame, anche in relazione allo specifico tema in discussione, non pare discostarsi dal requisito della verità, rappresentando non già la normale filiera di comando impartita per lo sgombero in questione, bensì la responsabilità politica dell'amministrazione del territorio ad essa sottesa. In tale ambito devono essere parimenti ricondotte le espressioni uomo socialmente pericoloso e il violento non ha il cappuccio, è il vicesindaco. Un provocatore, pure utilizzate nel testo. Invero, l'espressione socialmente pericoloso non può essere identificata, contrariamente a quanto allegato dall'attore, nella fattispecie penalistica disciplinata dagli art...; la critica politica cui deve essere ascritta la natura dell'articolo comporta che il termine debba essere correttamente inteso in senso politico-sociale, esprimendosi con esso un giudizio fortemente negativo in ordine all'impatto sociale provocato dalle iniziative politiche riconducibili alla figura del vicesindaco».
 
Il giudice dice altro a nostro favore: «Ad analoga determinazione deve giungersi in ordine all'ulteriore definizione di uomo violento e provocatore, risultando la medesima collegata alla censurata, nella prospettiva dell'articolista, iniziativa di sgombero del centro sociale. In definitiva, anche tale espressione costituisce una manifestazione di critica politica che, per quanto corrosiva e stigmatizzabile, rientra nel novero dell'esercizio della libera manifestazione del pensiero politico».
 
Allora, dov'è il problema? In poche righe che accennano allo slogan urlato contro De Corato durante il corteo, una parolaccia riservata al calciatore dell'Inter Materazzi: «... quella che gli ultras regalano all'avversario meno simpatico... ma lui non se la merita...». Per il giudice ne consegue che il cronista avrebbe lasciato intendere «che gli insulti erano invece adeguati e meritati per il personaggio politico...». Questo ci costa 20.320 euro.
 
Senza voler scomodare trombonescamente la libertà di stampa, anche se in fondo di questo si tratta, è chiaro che un giornale come il nostro, se preso di mira, potrebbe perdere una causa al giorno. E chiudere. Noi non possiamo permettercelo.
 
Chi vuole darci una mano può passare a trovarci, sia a Roma che a Milano, oppure imparare a memoria il codice IBAN: IT43H0306967684510324096294 (il conto è intestato a Luca Fazio). Causale: «Un centesimo ciascuno per risarcire De Corato.
 
 
Il progetto di legge regionale sull’acqua, presentato da Formigoni, deve essere ritirato, perché la sua approvazione equivarrebbe all’esproprio dei cittadini lombardi del loro diritto di decidere su chi e come deve gestire la loro acqua.
Concordiamo, quindi, pienamente con quanto richiesto dai comitati lombardi per l'acqua pubblica, che organizzano la manifestazione di sabato mattina, a partire dalle ore 10.00, davanti al Pirellone.
Infatti, il progetto di legge è sostanzialmente identico alla bozza fatta conoscere a inizio agosto dal Corriere della Sera, che aveva suscitato forti proteste da parte dei comitati referendari e dei Comuni e persino una manifestazione davanti al Pirellone in piena estate.
L’unico senso di questo progetto di legge è quello di anticipare il referendum contro la privatizzazione dell’acqua, per il quale 237mila cittadini lombardi hanno firmato, imponendo con i fatti compiuti la privatizzazione della gestione dell’acqua pubblica in Lombardia, a prescindere dagli esiti della consultazione popolare.
Alla stessa logica arrogante è ispirata anche l’esautorazione dei Comuni e il conseguente passaggio delle competenze alle Province, previsto dal progetto di legge, che nulla c’entra con ragioni di efficienza gestionale o economica, ma che punta unicamente ad eliminare dalla scena quegli enti, cioè i Comuni, che due anni fa bloccarono il precedente tentativo di privatizzazione avanzato dal governo regionale.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo del progetto di legge n. 57, presentato il 27 ottobre scorso da Formigoni
 

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Oggi Formigoni è stato costretto a tirare il freno a mano. Voleva accelerare, invece ha dovuto decelerare. E così, l’odierna seduta della Giunta regionale non ha approvato alcun progetto di legge, ma ascoltato una semplice informativa.
Anzi, Formigoni dichiara pure che non ha “mai pensato” di privatizzare l’acqua pubblica, proponendo lo stesso gioco di parole in cui si era esercitato appena qualche ora prima anche Podestà.
Evidentemente sia l’Anci, che i comitati e noi, ci siamo sognati quella bozza di articolato di legge regionale, su carta intestata dell’assessorato regionale, che avrebbe dovuto andare in discussione nella seduta della Giunta di oggi (che per sicurezza alleghiamo in fondo al testo).
Quella bozza di legge dice che i Comuni vengono esautorati, salvo Milano, e che le competenze in materia passano alle Provincie. Prevede anche che il servizio di erogazione dell’acqua venga aperto ai privati, mediante le gare obbligatorie. Infine, all'articolo 51 preannuncia di fatto anche l'aumento delle tariffe.
In italiano questo si chiama privatizzazione. Quindi, se Formigoni ha cambiato idea, grazie alle proteste di Anci, comitati e opposizioni, beninteso, allora semplicemente rinunci a ogni tentativo di voler anticipare con i fatti compiuti il referendum. Insomma, lasci che decidano liberamente i cittadini.
Ma siccome non ci fidiamo, visti anche i precedenti, riteniamo necessario che non si abbassi la guardia e che si prepari la mobilitazione per l’autunno prossimo.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto, puoi scaricare il testo integrale della bozza di legge regionale (4 Mb)
 

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I ladri di acqua preferiscono agire nell’ombra. E così, Formigoni avrà pensato che il 5 di agosto, quando incombono le vacanze, potesse essere un ottimo giorno per un colpo di mano, infinocchiando così in un sol colpo sia i suoi cocciuti concittadini, che i recalcitranti Comuni, ambedue colpevoli di non amare abbastanza quella privatizzazione dell’acqua pubblica, che invece piace tanto ai suoi sodali.
Ma la notizia era trapelata anzitempo, come spesso accade ai segreti di Pulcinella, le proteste iniziano a farsi sentire e, a questo punto, bisogna attendere la riunione della Giunta regionale di domani per capire cosa succederà.
Da parte nostra, chiediamo al Presidente Formigoni e alla Lega non solo di rinunciare al blitz agostano, ma anche di astenersi successivamente da ogni iniziativa legislativa tesa ad imporre la privatizzazione dell’acqua e ad espropriare le comunità locali delle loro legittime prerogative, prima che si tenga il referendum contro il decreto Ronchi.
Insomma, si ritiri il progetto e che decidano i cittadini se l’acqua deve rimanere pubblica o diventare un business per alcune grandi società private. Riteniamo questa l’unica soluzione sensata e rispettosa della cittadinanza, anche e soprattutto alla luce dei precedenti.
Infatti, la Giunta Formigoni aveva già tentato di imporre ai Comuni la privatizzazione dell’acqua, per mezzo di un apposita norma, inserita nella legge regionale n. 18 del 28 luglio 2006.
Contro quella norma, una sorta di decreto Ronchi ante litteram, si sviluppò una forte opposizione, soprattutto sul territorio, visto che allora in Consiglio non eravamo in tanti a farla e il Pd era piuttosto tiepido. In particolare, oltre 140 Comuni presero l’iniziativa per un referendum regionale abrogativo.
Il centrodestra, così forte ed egemone in Lombardia, aveva però una paura matta di quel referendum e pur di non doverlo affrontare, prima lo fece slittare dal 2008 al 2009 e, infine, fece retromarcia: il 27 gennaio 2009 il Consiglio regionale votò all’unanimità l’abrogazione della contestata norma.
Una paura giustificata, peraltro, considerato anche il gran numero di firme raccolte di recente in Lombardia per il referendum sull’abrogazione del decreto Ronchi: ben 237mila su un totale nazionale di 1,4 milioni.
In altre parole, Formigoni agisce come un ladro e si inventa l’incredibile esautorazione dei Comuni, per passare le competenze in materia di gestione dell’acqua alle Provincie, perché sa di essere in minoranza tra i lombardi.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
Oggi, mercoledì 4 agosto, dalle ore 17.00, presidio davanti al Pirellone contro la privatizzazione dell’acqua, convocato dal Coordinamento regionale lombardo dei Comitati per l’acqua pubblica. Se sei a Milano, partecipa!
 
 
Esprimiamo grande soddisfazione per l’approvazione all’unanimità, da parte del Consiglio regionale, della nostra mozione a sostegno dei diritti e delle libertà democratiche dei kurdi in Turchia.
Infatti, poco prima di Natale la Corte costituzionale della Turchia ha messo fuorilegge e sciolto il partito di riferimento dei kurdi, che costituiscono quasi un terzo della popolazione del paese. Si tratta del DTP (Partito della società democratica), che dispone di 21 deputati eletti nel parlamento turco, nonché di numerosi amministratori locali.  Contestualmente, sono state arrestate un’ottantina tra esponenti politici, amministratori locali e rappresentanti di organizzazioni non governative turche, tutti appartenenti o vicini al partito.
Con la mozione approvata oggi - presentata dal sottoscritto e firmata da altri undici consiglieri dell’opposizione - il Consiglio regionale “ribadisce il suo impegno per il rispetto delle libertà civili e democratiche dei kurdi di Turchia e dei diritti umani in generale” e impegna il Presidente Formigoni “a sollecitare il Governo italiano ad intervenire presso il Governo della Turchia, al fine di manifestare formalmente la sua preoccupazione e di esortare al rispetto dei diritti e delle libertà democratiche del popolo kurdo nell’ambito delle istituzioni della Repubblica di Turchia”.
Nell’esprimere la nostra solidarietà verso il popolo kurdo, con il completo sostegno alla sua lotta per il riconoscimento dei suoi diritti in Turchia, auspichiamo che l’odierno voto del Consiglio regionale possa essere un piccolo ma reale contributo alla causa di democrazia e libertà di questo popolo oppresso.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui sotto puoi scaricare la versione originale della mozione approvata all’unanimità
 

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Stamattina, insieme al segretario del Prc di Bergamo, Ezio Locatelli, ho visitato il carcere di via Gleno, a Bergamo. Ecco il comunicato rilasciato all’uscita:
“La Casa Circondariale di Bergamo è un tipico esempio di quello che sono diventate le carceri italiane, cioè delle discariche sociali, con l’aggravante del sovraffollamento, che ormai non fa nemmeno più notizia.
Nel dettaglio, la capienza ottimale della struttura è di 220 detenuti, ma oggi ce ne sono 496, di cui 32 donne. In altre parole, è stata superata anche la cosiddetta ‘capienza di necessità’, che prevede due detenuti per cella, anziché uno come da standard ottimale: attualmente, infatti, in ogni cella convivono ben tre persone.
Per quanto riguarda la presenza di detenuti stranieri, compresi quelli comunitari, siamo a quota 267, cioè il 54% per totale. Le comunità più rappresentate sono quella marocchina (93) e quella albanese (40), ma complessivamente si contano ben 35 diverse nazionalità di appartenenza.
I dati che fanno maggiormente impressione sono però quelli relativi ai detenuti con problemi di tossicodipendenza o di tipo psichiatrico.
Infatti, il 42% del totale, cioè 209, sono registrati come tossicodipendenti, mentre quelli diagnosticati come ‘psichiatrici’ sono l’11%, cioè 55. Il personale medico stima inoltre che circa altri 200 detenuti mostrano disagi di tipo mentale o comportamentale.
La larga maggioranza della popolazione carceraria di Bergamo è detenuta per reati di microcriminalità. In prevalenza - oltre la metà dei reclusi - per violazione della legge sui stupefacenti.
Infine, va sottolineato che vi è un forte turn over, poiché solo una minoranza dei detenuti sconta una pena definitiva, mentre tutti gli altri sono in attesa di giudizio.
Insomma, se, nonostante tutto, il carcere funziona ancora, questo lo si deve soprattutto alla professionalità e all’impegno della direzione e a quanti, nelle diverse funzioni, ci lavorano. Inoltre, va segnalato la buona relazione del carcere con il territorio, grazie anche all’opera del Comitato carcere e territorio e alla forte presenza del volontariato.
Professionalità, impegno e volontariato non possono tuttavia ovviare al problema di fondo, cioè che le carceri funzionano oggi da discarica sociale, dove raccogliere parte delle conseguenze dell’esclusione sociale.”
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer e Ezio Locatelli
 
 
Imporre agli enti locali la privatizzazione dell’acqua, come ha voluto fare il Governo Pdl-Lega, è un attentato contro l’interesse generale. Da parte nostra, sosterremo e promuoveremo ogni atto utile, compreso il referendum, per impedire che questa norma diventi realtà.
Ma oggi, in maniera particolare, riteniamo che il Presidente Formigoni debba rispettare non solo lo spirito e la lettera della legge regionale lombarda, ma anche la volontà espressa dalla maggioranza degli enti locali presenti sul territorio, anche al di là del loro colore politico. Deve impugnare cioè, davanti alla Corte Costituzionale, la norma approvata in Parlamento.
Le disposizioni contenute nella legge lombarda, che appunto salvaguarda la possibilità per gli enti locali di optare per la gestione pubblica dell’acqua, non sono farina del suo sacco, lo sappiamo bene. Anzi, la maggioranza intendeva perseguire una soluzione analoga a quella ora immaginata dal Governo. Ma poi, grazie all’opposizione di Rifondazione e di tutta l’opposizione e, soprattutto, a causa della vera e propria alzata di scudi, con tanto di minaccia di referendum, da parte di moltissimi Comuni lombardi, le cose sono andate diversamente.
In altre parole, in Lombardia anche la maggioranza di centrodestra ha dovuto accettare il fatto che gli enti locali e i cittadini sono contrari alla privatizzazione dell’acqua. Per questo, riteniamo eticamente doveroso che la Giunta regionale si opponga alla norma nazionale, impugnandola davanti alla Consulta.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
L’odierna decisione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) di procedere alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del via libera alla commercializzazione della Ru486, non solo è un atto dovuto, ma arriva con due mesi e mezzo di ritardo a causa delle indebite ingerenze politiche da parte di esponenti del centrodestra.
Come ricordato dalla stessa Aifa, la definizione delle modalità di utilizzo clinico non spetta all’Agenzia. Quindi, le stesse indicazioni limitative contenute nella delibera del CdA dell’Aifa, del 30 luglio scorso, hanno carattere unicamente propositivo.
Riteniamo che a questo punto le istituzioni, cioè lo Stato e le Regioni, debbano garantire la libertà di scelta, alle donne che ricorrono all’interruzione di gravidanza, tra il metodo chirurgico e quello farmaceutico mediante pillola Ru486. E questo significa anche astenersi dall’introdurre limitazioni all’uso di carattere punitivo e gratuito.
Da parte nostra, in Regione Lombardia prenderemo ogni iniziativa utile, insieme a tutte le forze disponibili, perché nelle strutture sanitarie lombarde venga rispettato e garantito il diritto alla libera scelta delle donne.
In questo senso, chiediamo all’Assessore alla Sanità Bresciani e al Presidente Formigoni di non trasformare la vicenda della Ru486 nell’ennesima guerra ideologica combattuta sul corpo delle donne, ma di chiarire sin d’ora quali iniziative intendono prendere, o non prendere, affinché la libertà di scelta delle donne venga resa effettiva nelle strutture sanitarie lombarde.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 27/05/2009, in Diritti, linkato 2112 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 27 maggio 2009 (pag. Milano)
 
“Non parlarmi degli archi, parlami delle tue galere”. Così diceva Voltaire, il quale pensava che il grado di civiltà di una nazione si specchiasse nelle sue carceri e non nei suoi palazzi. E se questo è il metro di misura, allora nel paese del “va tutto bene” del premier e dell’ossessione “sicurezza” delle destre, e non solo, siamo messi proprio male. Almeno questo è quanto emerge dalla nostra visita di ieri al carcere milanese di San Vittore.
Nella casa circondariale di via Filangeri dovrebbero starci non più di 930 detenuti, secondo le regole stabilite dal Ministero, nonché dal buon senso. Invece, ce ne stanno 1447, stipati anche in sei in delle celle da due, uno sopra l’altro con le brande a castello. Cioè, spazi ristrettissimi che si trasformano in piccoli inferni quando si scatena il caldo, come in questi ultimi giorni.
Ma mentre i detenuti sono in condizioni di sovraffollamento estremo, il personale della polizia penitenziaria si trova in una situazione diametralmente opposta. Cioè, qui mancano all’appello ben 260 agenti rispetto a quanto prevede l’organico necessario per il normale funzionamento.
In altre parole, troppi detenuti e troppo pochi agenti. Un mix micidiale di per sé, ma ancora più preoccupante se consideriamo la complessità della popolazione carceraria di San Vittore, che conferma la natura di “discarica sociale” delle carceri italiane, denunciata ripetutamente da più parti. Il 61% sono stranieri, provenienti anzitutto dai paesi del Maghreb e dell’Est europeo, il 27% dei detenuti è rappresentato da tossicodipendenti accertati e quelli con necessità di assistenza psichiatrica sono in gran numero.
E come se non bastasse, il disinteresse governativo per lo stato delle carceri e i relativi tagli di bilancio hanno fatto sì che persino la manutenzione ordinaria sia diventata un’impresa. Come si spiega altrimenti che degli agenti di custodia debbano ricorrere alla buona volontà e, soprattutto, alle donazioni volontarie per poter reperire due secchi di vernice per imbiancare una cella un po’ malmessa?
Insomma, se San Vittore non esplode o implode, questo si spiega soltanto con le professionalità ed esperienze interne accumulate, con il contributo dei volontari che vi lavorano e con la presenza di diversi progetti. A quest’ultimo proposito va segnalato senz’altro il centro diurno rivolto ai detenuti con problemi psichiatrici, in funzione da un anno e gestito dalle associazioni A&I e Arci, i cui risultati positivi sono confermati da tutti i soggetti interpellati, nonché da quello che abbiamo potuto vedere e sentire.
San Vittore ha sicuramente la sua storia, la sua età e le sue particolarità, ma molti dei suoi problemi non sono un’eccezione. Anzi, in un modo o nell’altro, questi si riscontrano in quasi tutte le carceri lombarde, dal sovraffollamento alla mancanza di personale, passando dalla cronica mancanza di fondi.
Ma, appunto, qui torniamo alla vecchia riflessione di Voltaire e alla molto più moderna contraddizione tra le chiacchiere elettorali sulla “sicurezza” e sull’”efficienza” e la realtà dei fatti.
 
 
Che il degrado morale della politica italiana abbia raggiunto livelli di guardia lo sapevamo, ma quanto accaduto oggi in Consiglio regionale, con la bocciatura della mozione contro l’omofobia, riesce a superare anche le più fosche previsioni: è sconcertante e disgustoso, un vero oltraggio ai lombardi e all’istituzione.
Non solo la mozione, presentata da dieci consiglieri dell’opposizione (Muhlbauer, Squassina O., Agostinelli, Civati, Valmaggi, Oriani, Storti, Monguzzi, Concordati, Sarfatti), è rimasta nel cassetto per oltre tre anni prima di giungere in Aula, ma oggi la maggioranza ha accompagnato il suo voto negativo con l’insulto contro i cittadini e le cittadine non eterosessuali.
E così, il capogruppo della Lega ha definito la mozione un “colpo di culo”, dopo aver dichiarato che lui era contrario “a celebrare l’omosessualità come una non-malattia mentale”, mentre il capogruppo del Pdl ha chiarito come la nostra disponibilità a modificare il testo fosse del tutto inutile, poiché comunque avrebbero votato contro.
Eppure la mozione chiedeva soltanto che Regione Lombardia aderisse alla Giornata internazionale contro l’omofobia del 17 maggio e che chiedesse al Parlamento italiano di fare altrettanto, come segno concreto e tangibile dell’impegno istituzionale contro ogni discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
Cioè, si chiedeva al Consiglio regionale di fare né più né meno di quanto già fatto dal Parlamento europeo, da decine di Paesi e da diverse Regioni e Comuni italiani.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
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