Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 13 giugno 2007
Quanto avvenuto sabato scorso a Roma, con le decine di migliaia di persone al corteo no war e la contemporanea desolazione di Piazza del Popolo, è la materializzazione del messaggio che le urne delle elezioni amministrative avevano recapitato appena due settimane prima. Cioè, dopo un anno di governo Prodi le sinistre, e in particolare Rifondazione, non solo appaiono logorate, ma ormai non più comprese da larga parte della propria gente.
Non è semplicemente questione di qualche errore “tattico”, come quello di non aver partecipato al corteo, quando persino i tuoi militanti e iscritti scartano in massa l’opzione Piazza del Popolo, scegliendo tra l’andare al corteo o il rimanere a casa. E non è questione di qualche temporaneo disimpegno quando alle elezioni amministrative l’astensionismo ti punisce così duramente. No, è l’esplicitarsi che la cosiddetta crisi della politica è, oggi e qui, anzitutto crisi della sinistra.
Non bisogna mai banalizzare le questioni complesse, ma forse aveva ragione Ritanna Armeni quando scriveva che il problema della sinistra è che “non fa quello che dice”. Troppo grande è, infatti, la distanza tra le aspettative e le domande sociali evocate un anno fa e la realtà concreta dell’azione di governo. Certo, ci sono i rapporti di forza, i numeri risicati al Senato, una destra aggressiva e incombente eccetera, ma tutto questo alla fine conta poco, perché una persona “normale”, che sia pacifista, lavoratore, pensionato o gay, ti giudica in base ai fatti e allo stato delle sue condizioni di vita. E da questo punto di vista il primo anno di governo, di cui le sinistre sono appunto parte, è stato un autentico disastro.
La parte moderata del centrosinistra una risposta l’ha trovata, attraversando il Rubicone con quel Partito Democratico che archivia definitivamente ogni orizzonte alternativo all’esistente e che finisce per assomigliare all’avversario. Un progetto politico nefasto, senz’altro, che forse non funzionerà nemmeno, ma che nel frattempo contribuisce a spostare a destra l’intero asse della politica. Basta guardare a quello che succede in Lombardia, che lungi dall’essere una realtà separata, è piuttosto anticipatore di processi più ampi. Da qui partì tangentopoli che diede il colpo di grazia al regime democristiano e qui nacque la nuova destra, dalla Lega a Berlusconi. Ed è qui che i fautori del Partito Democratico si esprimono senza remore, dall’attacco in stile Sarkozy alla cultura del 68 fino all’annuncio esplicito di un cambiamento delle alleanze politiche.
Una sinistra e una Rifondazione, da una parte, sotto il fuoco “amico” del Partito Democratico e prigioniere di un’azione di governo talmente insipida che il famoso programma dell’Unione sembra un pamphlet massimalista e, dall’altra, in piena crisi di rapporto non solo con i movimenti, ma anche con i propri referenti sociali. Insomma, cornuti e mazziati.
In una situazione del genere, la cosa più sbagliata che si possa fare è minimizzare e non affrontare il problema di petto. Oggi è aperta la questione della sinistra, della sua proposta politica, della sua pratica e delle sue prospettive. E, francamente, non è sufficiente immaginarsi confederazioni, nuovi soggetti unitari o sinistre europee. Beninteso, non c’è dubbio che ci voglia unità, ma questa non può esaurirsi in convegni o assemblaggi di gruppi dirigenti. Anche qui, il nodo è sempre il medesimo, cioè quello del legame con i movimenti sociali ed i ceti popolari, con i loro bisogni e il loro stato animo, senza il quale qualsiasi sinistra è destinata alla marginalità e/o alla subalternità.
L’urgenza sta nel riconquistare la credibilità perduta, rimettendo in comunicazione tra di loro il dire e il fare, e questo implica anzitutto ritornare nella società e praticare il conflitto, ma anche cambiare radicalmente registro nei confronti del governo. Certo, sappiamo bene che aleggia il fantasma del 98, ma oggi la situazione è ben diversa e andando avanti di questo passo il pullman che raggiungerà Roma non dirà “non fate cadere il governo”, bensì “tornate a casa tutti”.