Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 6 novembre 2009
Milano, 6 aprile 2008, la città è in festa per l’assegnazione dell’Expo 2015 e corso Buenos Aires sembra uno stradone di New York. Volano i coriandoli sulla Victory Parade organizzata dal Sindaco e dal pullman del city sightseeing tour che apre il corteo Moratti, Formigoni e Penati distribuiscono sorrisi compiaciuti. Non c’è alcun dubbio, grazie a loro e all’Expo possiamo guardare al futuro con serenità e speranza.
Oggi, 6 novembre, tra Roma e Milano. Nella capitale si riunisce il Cipe che deve sbloccare parte dei fondi statali necessari per realizzare almeno una parte delle infrastrutture connesse all’Expo, mentre a nord Moratti, Formigoni e Podestà incontrano Stanca, l’amministratore delegato della società di gestione dell’Expo (Soge), per capire come reperire i soldi per le prime spese della società, arrivate già a oltre 11 milioni di euro anche se non ha ancora fatto nulla. Obiettivo della giornata: provare a rassicurare tutti che l’Expo si farà e che le mille promesse fatte non erano semplicemente una balla colossale.
È passato soltanto un anno e mezzo, ma quanto il clima sia cambiato lo testimonia il siluro lanciato da una testata molto vicina ai poteri forti, cioè dal Corriere della Sera, proprio due giorni fa. Infatti, l’editoriale affidato a Schiavi non usa mezzi termini, a partire dal titolo “Expo, l’occasione (quasi) perduta”. L’attacco è frontale: “sinistro scricchiolio che arriva dal capoluogo del Nord”, “il risultato percepito è solo un balletto di potere”, “colpiscono l’inerzia, l’immobilismo, il gioco delle parti” eccetera.
Certo, il Corriere partecipa pure lui al gioco delle parti. Uno degli obiettivi da colpire è proprio Letizia Moratti, il sindaco del centrodestra sempre più in difficoltà dopo tre anni di inconsistente governo della città, ma la medicina proposta è il solito soccorso dei “privati”. Beninteso, non i famosi “privati cittadini”, bensì quella ristretta cricca che a Milano occupa e determina il mercato immobiliare e che figura anche tra i principali beneficiari dell’evento Expo.
Eppure, quell’editoriale sparato dalla prima pagina del Corriere, con termini impietosi che sembrano quasi presi a prestito da noi o da un volantino del Comitato No Expo, fa il paio con la lunga, e ultimamente anche molto imbarazzante, sequela di polemiche, annunci, smentite e contro-smentite sulle opere che verranno finanziate oppure no, sulle spese e la sede della Soge, per non parlare dello stipendio d’oro di Stanca, sulle nuove vie d’acqua che forse ci saranno o forse no e persino sulla localizzazione e sulle strutture dell’evento stesso. Insomma, di concreto non c’è ancora nulla, nemmeno i progetti definitivi, ma in cambio la confusione regna sovrana.
Tutta colpa della crisi, come sostengono alcuni avvocati difensori del centrodestra (e non solo)? Oppure, la crisi ha semplicemente fatto venire a galla più velocemente quel castello di contraddizioni, promesse fasulle e intrecci di interessi particolari a suo tempo camuffati dietro la campagna pubblicitaria della candidatura milanese?
Noi propendiamo per la seconda ipotesi, ovviamente, anche perché l’avevamo sostenuta già in tempi non sospetti, cioè quando il mito dell’Expo, “la grande occasione”, era ben radicato anche in molta parte della sinistra.
Invece, non vi è mai stata certezza sull’esistenza reale dei molti miliardi annunciati e promessi. Le uniche cose certe erano che un po’ di importanti immobiliaristi avrebbero visto la trasformazione dei loro terreni da agricoli in edificabili, che una serie di grandi opere infrastrutturali, anzitutto autostrade e Tav, avrebbero goduto di corsie preferenziali, che in nome della deadline del 2015 ci sarebbe stata un’accelerazione –cioè, una riduzione delle regole e dei controlli- anche per una serie di operazioni che con l’Expo non c’entrano un fico secco. E, infine, che l’evento avrebbe spinto in alcune zone, in primis quelle limitrofe alla zona di Rho-Pero, a chiudere delle attività produttive, perché è più redditizio fare una speculazione immobiliare.
Quello che sta accadendo, considerato anche il contesto segnato dalla gravità dell’impatto sociale della crisi, molto significativo anche in Lombardia (sono 520mila in un anno i lavoratori mandati in cassa o in disoccupazione), dovrebbe spingere a un radicale ripensamento dell’intera operazione Expo. Imponendo, cioè, sobrietà nelle spese di gestione e nella scelta del luogo (esiste già uno spazio “nuovo polo fieristico” a Rho), bloccando tutte le operazioni speculative che consumano ulteriore territorio o che distruggono attività produttive, ri-orientando gli investimenti verso l’edilizia sociale e verso il trasporto pubblico locale e avviando una lotta seria contro lo sfruttamento del lavoro nero.
Tutto questo sarebbe semplicemente buon senso e non certo rivoluzionario. Eppure, temiamo che tutto andrà avanti come prima. Perché l’affaire Expo in fondo non è altro che uno specchio fedele della politica complessiva delle destre che, a Milano come a Roma, delega il governo del territorio agli interessi particolari, specie se amici, e spaccia per politica anticrisi un misto di deregulation, favori ad alcuni imprenditori e, soprattutto, tonnellate di inerte speranza che la crisi passi presto e tutto torni come prima.