Scioperare contro la manovra del Governo è giusto, anzi giustissimo.
Bene ha fatto il sindacalismo di base, con la neonata Usb (Unione Sindacale di Base), ad indire una manifestazione nazionale il 5 giugno e uno sciopero generale del pubblico impiego per il 14 giugno.
Un po’ meno bene ha fatto la Cgil, che finora si è limitata a parlare di uno sciopero di sole 4 ore entro giugno. Malissimo continuano a fare invece Cisl e Uil, che balbettano cose incomprensibili e, soprattutto, ribadiscono le loro relazioni privilegiate e consociative con il Governo e Confindustria.
Mobilitarsi contro la manovra governativa non è una questione pregiudiziale o un esercizio di irresponsabilità in un momento di crisi, come sostengono i portavoce del centrodestra e delle associazioni padronali, ma il suo esatto contrario: è un atto di decenza e di responsabilità di fronte a una Finanziaria socialmente iniqua ed economicamente depressiva.
Ancora oggi, due giorni dal suo varo, il testo esatto del decreto legge “Misure urgenti finalizzate alla stabilizzazione finanziaria e alla competitività economica” non è ancora disponibile e le discrepanze tra i vari organi di stampa nel descrivere il provvedimento ne è una riprova. Inoltre, il passaggio nelle aule parlamentari apporterà verosimilmente delle modifiche, forse migliorative, se le pressioni saranno sufficientemente forti, oppure addirittura peggiorative, come farebbero intendere alcuni rumors.
Fatta questa premessa, le disposizioni fondamentali contenute nella manovra di 24,9 miliardi di euro sono però conosciute e risulta evidente che il peso dei “sacrifici” grava anzitutto sulle spalle dei lavoratori e dei ceti sociali economicamente più deboli.
In primo luogo, ai 3,5 milioni di dipendenti pubblici (Ministeri, Regioni, Province, Comuni, Sanità, Scuola ecc.) viene imposto il blocco delle retribuzioni e dei rinnovi contrattuali per 3 anni, che a conti fatti saranno de facto almeno 4. In base al calcolo fatto oggi dal Corriere della Sera, ipotizzando nel prossimo triennio un’inflazione del 4,5%, come sostengono le attuali previsioni, il blocco degli stipendi si tradurrà in una perdita media di 1.600 euro a lavoratore pubblico.
Visti la situazione generale e gli stipendi molto modesti dei dipendenti pubblici, questa perdita salariale avrà effetti molto concreti sulla vita delle persone e delle famiglie. Molto più aleatori e simbolici sono invece i tanto strombazzati “sacrifici” imposti ai dirigenti della pubblica amministrazione: una riduzione del 5% della quota eccedente i 90mila euro di retribuzione e del 10% di quella eccedente i 150mila euro… Insomma, alla pari dei tagli delle indennità dei parlamentari, ancora tutti da definire peraltro, queste riduzioni sono poco più che specchietti per le allodole, esibiti nel tentativo di far digerire la manovra vera.
In secondo luogo, rimanendo sempre nel pubblico impiego, nelle pieghe della manovra e nel nome dell’austerity, hanno pensato bene di disapplicare alcune norme fondamentali del T.U. sulla sicurezza sul luogo di lavoro (ex 626). A quanto risulta allo stato, questa disapplicazione riguarderebbe genericamente le “pubbliche amministrazioni” e, quindi, potenzialmente anche luoghi come scuole e ospedali…
In terzo luogo, c’è un nuovo intervento sulle pensioni, sia sul versante dell’età pensionabile, con un’accelerazione dell’aumento dell’età pensionabile per le donne nel pubblico impiego, che su quello della riduzione del numero di “finestre” (per pubblico e privato).
Giusto per la cronaca, visto che ormai, in base a una presunta insostenibilità del sistema, si mette mano alle pensioni con una certa regolarità, determinando così una sorta di riforma delle pensioni permanente, è utile ricordare che il fondo lavoratori dipendenti dell’Inps risulta essere in attivo, di miliardi, da qualche anno!
In quarto luogo, il taglio più forte, dell’entità di quasi 15 miliardi di euro, si dovrebbe abbattere sulle Regioni e sugli enti locali. In altre parole, il Governo taglia le risorse a Regioni e Comuni e questi saranno costretti a scegliere tra due alternative: o tagliare i servizi oppure farli pagare di più agli utenti. E non bisogna essere certo dei geni in economia per capire che questi tagli si ripercuoteranno soprattutto sui ceti popolari.
Potremmo ricordare tante altre misure ancora, come l’aumento della percentuale di invalidità per poter ottenere un sostegno pubblico, ma ci fermiamo qui, segnalando tuttavia che tra tanti che piangono, c’è anche qualcuno che ride. Infatti, se invece di essere un lavoratore pubblico, un giovane precario o un operaio in cassa, sei uno che si è dedicato all’abusivismo edilizio, allora per te c’è un premio: arriva l’ennesimo condono (secondo Tremonti del valore di 1 mld di euro).
Questa manovra è dunque profondamente iniqua, nella misura in cui colpisce i soliti noti. Cioè, quelli che, prima della crisi, erano chiamati alla moderazione salariale e alla precarietà, perché altrimenti l’economia non poteva funzionare, e che ora devono pagare pure il conto del fallimento di quella economia, perché altrimenti non si esce mica dalla crisi. Cornuti e mazziati, insomma.
Ma, appunto, la manovra non è soltanto iniqua, è anche senza prospettiva futura. Non solo non si prende atto del fallimento del modello liberista -perché la crisi non è un incidente di percorso, bensì la crisi di un modello-, ma addirittura si rilanciano con brutalità inaudita i suoi capisaldi: privatizzazioni e deregolamentazioni, smantellamento del welfare, precarietà, bassi salari e zero diritti.
Tutti parlano della necessità della ripresa economica per superare la crisi. Bene, siamo d’accordo, ma chi cavolo comprerà le merci se si continua ad impoverire i lavoratori?
Proprio in questi giorni è stato pubblicato il rapporto annuale dell’Istat e il dato saliente che emerge è che la crisi ha colpito con particolare violenza i giovani. Leggetevi la sintesi del rapporto, è illuminante, poiché non dà soltanto i numeri dell’impatto della crisi sui giovani, ma sottolinea altresì che in Italia gli abbandoni scolastici sono superiori alla media europea. E poi arrivano la Gelmini e Tremonti con i loro tagli e le loro “riforme”…
Insomma, scioperare contro questa manovra è giusto, anzi giustissimo!
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