Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 22 gennaio 2011 con il titolo “Mirafiori, un no che pesa”.
Nella politica e nella vita esistono meteore e fatti costituenti. Pomigliano e Mirafiori appartengono indubbiamente alla seconda fattispecie. Con essi, molto semplicemente, è cambiato il quadro entro il quale dobbiamo ragionare, progettare ed agire.
Certo, per molti versi è piovuto sul bagnato, perché una moltitudine di lavoratori e lavoratrici, tra precarietà, outsourcing e polverizzazione dell’impresa, sta vivendo da molto tempo quanto Marchionne pretende oggi dagli operai. Ma, come insegnano i classici, ci sono dei momenti in cui l’accumulo di quantità si traduce in un salto di qualità e quanto sta avvenendo in Fiat rappresenta e incarna esattamente questo.
Mettere in discussione l’insieme dei diritti e delle libertà conquistati dai lavoratori negli anni ’60-’70, o persino quelli codificati nella Costituzione repubblicana, non in un qualche sottoscala di periferia, ma al centro, in un luogo simbolico e sfidando sulla pubblica piazza la più combattiva categoria sindacale, significa innescare una valanga che tende a travolgere e ridisegnare tutto.
Infatti, a soli sei mesi dal referendum di Pomigliano, la cosiddetta “eccezione” è sbarcata a Mirafiori e domani toccherà, come ha subito chiarito Marchionne, anche a Cassino e Melfi. Peraltro, nel frattempo l’accordo capestro è pure peggiorato, considerato che ora l’abolizione dell’elezione dei delegati sindacali e l’espulsione dalla fabbrica dei dissidenti, cioè di Fiom e sindacati di base, sono norma contrattuale.
L’operazione di Marchionne, inoltre, era fuoriuscita quasi subito dai confini Fiat, trasformandosi in richieste sempre più diffuse di derogare al contratto nazionale e sfociando il 29 settembre scorso in un apposito accordo nazionale tra i ligi Fim e Uilm e Federmeccanica. Ma non era che l’inizio.
E così, all’indomani del referendum-ricatto di Mirafiori, il Ministro Sacconi ha precisato che il contratto aziendale “non è tanto deroga al contratto nazionale, ma legittima uscita da esso”. Poi, il giorno dopo, Federmeccanica, in accordo con Confindustria, ha chiesto pubblicamente ai sindacati di introdurre il principio della “alternatività” tra contratto aziendale e nazionale.
In altre parole, la valanga sta travolgendo anche i contratti separati di chi, come Cisl e Uil, ha pensato di poter cavalcare la tigre. A meno che, ovviamente, Bonanni non fosse sin dall’inizio pienamente consenziente rispetto alla riduzione dei sindacati a semplici strutture di vigilanza dell’azienda. Ma in tal caso, dovrebbe spiegarlo ai suoi iscritti.
Insomma, siamo all’idea della tabula rasa. Niente più diritti e libertà sul luogo di lavoro e niente contrattazione collettiva, ma soltanto contratti individuali e comando esclusivo del padrone. Una concezione totalitaria dell’impresa, che non tollera rappresentanza autonoma del lavoro, conflitto e democrazia, e che gode del tifo militante del Governo Berlusconi, il quale si appresta a varare la revisione dello Statuto dei Lavoratori.
Con quella concezione non si può trattare o mediare. In gioco è il modello sociale - e non solo - per il dopo-crisi e, pertanto, il pareggio non è previsto. Così stanno le cose, altro che la lotta di classe non c’è più, e far finta di non capirlo è di una miopia tremenda.
Eppure, sebbene il fronte sociale e politico pro-referendum fosse talmente ampio e trasversale da sembrare invincibile, l’offensiva di Marchionne ha trovato una resistenza straordinaria e sorprendente proprio nei soggetti più ricattati, perché in cassa integrazione e minacciati di chiusura della fabbrica, cioè gli operai e le operaie di Pomigliano e Mirafiori. Anzi, nonostante la pistola puntata e una campagna mediatica senza precedenti, il “no” di Mirafiori è stato ancora più rumoroso di quello di Pomigliano.
Ed è stata quella resistenza operaia, con il suo carico di dignità e determinazione, ad aver cambiato a sua volta il quadro generale. Non solo ha rimesso al centro del dibattito politico il lavoro e la questione sociale, diradando per un attimo i fumi tossici del bunga bunga, ma ha anche provocato, anzitutto grazie all’azione limpida ed intelligente della Fiom, una convergenza di lotte e movimenti, a partire da quello degli studenti. Insomma, ha agito da centro di gravità, favorendo l’emergenza di un possibile fronte sociale alternativo.
Oggi e qui la possibilità di definire un modello, un percorso e una pratica alternativi passa necessariamente da lì. E, aggiungiamo, da lì passano anche le strade per rifare una sinistra politica all’altezza della situazione.
Per questo è importante e prezioso il seminario/meeting nazionale di “Uniti contro la crisi” che inizia oggi al Cso Rivolta di Marghera (Ve). Ma soprattutto è fondamentale e decisivo lavorare per la riuscita e la generalizzazione dello sciopero nazionale dei metalmeccanici del 28 gennaio, proclamato dalla Fiom, utilizzando a questo fine anche le proclamazioni di sciopero di tutte le categorie promosse dai sindacati di base.