Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 15 febbraio 2011
In casa Bonanni c’è un po’ di nervosismo a proposito dell’intesa separata sul pubblico impiego, firmata il 4 febbraio scorso da Cisl, Uil, Ugl e alcune sigle autonome con il Governo Berlusconi. Infatti, in questi giorni le postazioni di lavoro dei dipendenti pubblici vengono letteralmente inondate da comunicati, in cui la Cisl lamenta che “si sta facendo un gran polverone” invece di apprezzare il “grande risultato”.
La colpa di tutto questo trambusto sarebbe, ovviamente, di quelle organizzazioni sindacali (Cgil, Usb, Cisal ed altre) che non hanno firmato il testo predisposto da Brunetta e non certo di un accordo di cui praticamente nessuno ha capito la presunta bontà, tranne un Presidente del Consiglio in piena crisi bunga bunga.
Dall’altra parte, mettetevi nei panni di uno dei 3,5 milioni di dipendenti pubblici, al quale era stato spiegato poco più di sei mesi fa che il suo stipendio (base ed accessorio) sarebbe rimasto bloccato per tre anni (in realtà, quattro), senza che Cisl e Uil abbiano mosso anche solo mezzo dito, e ora si sente dire che Cisl e Uil hanno realizzato una grande conquista, firmando un accordo che “impedisce la diminuzione dello stipendio”. Ammetterete che quel lavoratore, per lo meno, rimane un po’ perplesso e disorientato.
Ma cosa c’è scritto -e cosa non c’è scritto- in quella paginetta di accordo? Anzitutto, c’è una dichiarazione di condivisione piena da parte dei firmatari del decreto legislativo n. 150/2009, meglio conosciuto come “riforma Brunetta”, compreso il suo famigerato articolo 19, secondo il quale in ogni ente il 25% dei dipendenti è da considerarsi a priori e a prescindere come di “merito basso” e dunque da privare completamente del salario accessorio.
Ma subito dopo aver affermato questo, si passa al comma 2. e 3., dove si dice che l’applicazione dell’articolo 19 non deve portare ad una diminuzione della retribuzione complessiva e pertanto dovrà essere finanziato “esclusivamente” da risorse aggiuntive (che però Tremonti allo stato non mette a disposizione).
Chiaro? La storiella dello stipendio bloccato, ma che non si riduce, sparso a piene mani da Governo e sindacati complici fino a ieri, non era affatto vera. Anzi, applicando la riforma Brunetta in tutte le sue parti subito, come avevano detto da sempre i sindacati indipendenti dal governo, ci sarebbero stati dei tagli drastici per una parte significativa di lavoratori pubblici, a prescindere dal merito, beninteso. E questo in pieno clima pre-elettorale. Ecco quindi la ragione per cui Bonanni e Brunetta si sono dati una mano.
Tuttavia, non è vero comunque che non ci saranno perdite salariali in questi anni di blocco delle retribuzioni e della contrattazione, alla faccia di quello che raccontano i sindacati complici. Anzitutto, la riforma Brunetta, con l’attiva collaborazione di Cisl e Uil e, molte volte, anche della Cgil, ha già provocato nel 2010 la ridefinizione in senso peggiorativo dei sistemi premianti in molti enti. E, soprattutto, per il solo effetto del blocco delle retribuzioni ci sarà mediamente un perdita in termini di potere d’acquisto di circa 1.600 euro per dipendente, secondo le stime più caute della Cgil.
A quanto c’è scritto nell’intesa del 4 febbraio va però aggiunto anche quello che non c’è scritto, quello che drammaticamente manca. Anzitutto manca un qualsiasi accenno ai tanti precari e alle tante precarie che popolano la pubblica amministrazione e che spesso garantiscono il funzionamento dei servizi, ma ai quali viene negata una prospettiva di stabilizzazione e che ora rischiano il posto di lavoro. E non è soltanto questione di equità e giustizia, ma anche di efficienza dei servizi, considerato che la stretta sul pubblico impiego, contenuta nella legge n. 122 del 30 luglio 2010 (ex dl 78/2010), prevede altresì il blocco del turn over, per cui nei prossimi due anni su 300mila uscite potranno essere fatte al massimo 60mila assunzioni.
Infine, arriviamo al silenzio più assordante in quella intesa: nemmeno una parola sulle elezioni dei rappresentanti sindacali (Rsu)! Infatti, in tutto il pubblico impiego le Rsu sono scadute a novembre dell’anno scorso, ma non state convocate ancora nuove elezioni, a causa principalmente del veto di Bonanni. Alla luce di questo fatto le considerazioni della Cisl, per cui l’accordo “dà più voce ai rappresentanti dei lavoratori”, suonano davvero come una presa per i fondelli.
Ma proprio con la vicenda del mancato rinnovo delle Rsu si chiude il cerchio con quanto Cisl e Uil fanno nel resto del mondo del lavoro. A Mirafiori l’accordo separato tra Marchionne e Bonanni & Co., infatti, ha abolito tout court le elezioni dei rappresentanti dei lavoratori.
In altre parole, non siamo di fronte a tante storie diverse, ma a diversi episodi della medesima storia. Ecco perché non è giustificabile che si continui, da parte della Cgil, ad eludere il tema dello sciopero generale e che si punti invece, ancora una volta, a un semplice sciopero di categoria, come quello del pubblico impiego proclamato per il 25 marzo prossimo.
P.S. segnalo inoltre che per l’11 marzo prossimo è già stato proclamato lo sciopero generale di tutte le categorie da parte dell’Usb, che avrà come una delle questioni centrali proprio il pubblico impiego.
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare l’intesa separata del 4 febbraio scorso, la legge 122/2010 e il d.lgs 150/2009