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IL VENTO DEL CAMBIAMENTO SI ARRESTA IN CORSO ITALIA – IN ALLEGATO L’ACCORDO CONFINDUSTRIA E CGIL-CISL-UIL
di lucmu (del 29/06/2011 @ 19:29:40, in Lavoro, linkato 5769 volte)
Il vento è cambiato è l’espressione più diffusa per descrivere quanto è successo nel nostro paese in questi ultimi mesi, per dare senso generale allo splendido risultato delle elezioni amministrative e alla netta affermazione dei referendum popolari, su temi peraltro fortemente caratterizzati politicamente e culturalmente.
Indubbiamente, qualcosa di grosso sta succedendo, perché non solo ora si intravede davvero la fine del ciclo berlusconiano-leghista, ma soprattutto si è affacciato prepotentemente un nuovo protagonismo democratico, dal basso e giovane, come non si vedeva da tanto tempo.
Una partecipazione straordinaria, una vera e propria riappropriazione dello spazio pubblico e della politica, manifestatasi ben oltre –e forse a prescindere- i confini dei partiti politici dell’opposizione. Un movimento che si è impadronito della rete, delle piazze e di mille iniziative, ma anche un movimento fragile, perché esprime molte più domande ed aspettative che risposte. Un movimento non tanto dissimile poi, nella sua ansia di futuro e cambiamento, dagli indignati di Madrid e Atene, con la differenza che qui ed ora ha trovato degli obiettivi a positivo, come Pisapia o De Magistris e come i referendum popolari.
Insomma, è ampiamente giustificata l’ondata di ottimismo e gioia che si è liberata dopo le amministrative e i referendum, poiché siamo di fronte a una possibilità straordinaria di cambiare. Ma, com'è risaputo, vincere due battaglie, anche se importanti, non significa affatto aver vinto la guerra e sconfiggere l’avversario non significa avere pronta l’alternativa, specie in tempi di crisi ed austerity.
Anzi, le politiche dell’austerità, che postulano la salvezza delle banche e il sacrificio delle popolazioni, per ovvi motivi tendono a non gradire troppo la democrazia e la partecipazione. Lo sanno bene in Grecia, in Portogallo o in Irlanda, dove non importa chi e come votano gli elettori, tanto le politiche le decidono le banche centrali e i fondi monetari. E lo sentiamo ogni giorno al notiziario, perché basta che una privatissima agenzia di rating faccia vedere il pollice verso perché interi Stati sovrani vengano spinti verso il baratro della bancarotta.
Ma soprattutto c’è il fatto che il grado di democrazia di una nazione si misura nei luoghi di lavoro, dove ognuno e ognuna di noi, se non è disoccupato, passa buona parte della sua vita. E da questo punto di vista non stiamo andando affatto bene. Precari a parte, i quali per definizione non dispongono di diritti, gli ultimi 12 mesi sono stati segnati dall’assalto di Marchionne, al quale fondamentalmente interessa la Fiat, ma che per forza di cose ha determinato l’apertura di una questione generale.
Ma dal punto di vista che ci interessa qui, quello del vento che cambia, anche la fiera resistenza operaia a Pomigliano e Mirafiori e la coerenza della Fiom hanno aperto una questione generale, poiché la carica democratica e partecipativa è quasi subito fuoriuscita dalla fabbrica, occupando uno spazio politico e simbolico ampio e vasto, come aveva dimostrato la straordinaria manifestazione voluta dalla Fiom il 16 ottobre scorso. Anzi, osiamo affermare che le battaglie ed i movimenti messisi in moto nell’autunno scorso –gli operai, gli studenti, i comitati per i beni comuni- sono stati determinanti per innaffiare il campo che poi avrebbe fatto germogliare le primavere di Milano, Napoli e di altre città.
E una delle principali materie del contendere a Pomigliano e Mirafiori è costituita propria dalla questione democratica, cioè dalla domanda del chi decide, cosa decide e come decide. Infatti, i contratti aziendali sostitutivi del contratto nazionale aboliscono le elezioni dei delegati sindacali (Rsu) da parte degli operai –ci saranno soltanto i “delegati” nominati (Rsa) dalle segreterie di quei sindacati che hanno firmato il contratto di Marchionne-, rendono sanzionabile l’esercizio del diritto di sciopero mediante la clausola dell’esigibilità e di consultazione dei lavoratori e delle lavoratrici non si parla neanche più. Insomma, comanda il padrone, l’operaio lavora in silenzio e il “sindacalista” garantisce l’ordine.
In altre parole, un bel bavaglio per tutti e tutte è l’altra faccia della medaglia della politica dell’austerity. Una cosa scandalosa che dovrebbe suscitare la più netta delle opposizioni da parte di ogni sindacato degno di questo nome. E qualcuno quella opposizione effettivamente l’ha fatta, come la Fiom e i sindacati di base o come molti lavoratori e lavoratrici. A molti sembrava che anche la Cgil potesse resistere al richiamo della foresta, specie ora, con il vento che è cambiato, con le piazze piene e con quel nuovo entusiasmo democratico che attraversava la società. Invece no, non è andata così, anzi!
L’accordo interconfederale tra Confindustria, Cisl, Uil e Cgil, siglato il 28 giugno, rappresenta un grave passo indietro e un cedimento altamente significativo. Basta leggerlo, anche se non si conosce il sindacalese, per capire che vi hanno trovato notevole spazio tutti i principali temi che stanno a cuore a Confindustria, al Governo e a Bonanni, dall’esigibilità dei contratti (leggi: norme antisciopero) alla blindatura della rappresentanza, passando per la derogabilità del contratto nazionale, destinato a questo punto a diventare poco più di una cornice.
Se la firma della Cgil sotto questo accordo verrà confermata si apriranno tempi difficili e cupi per la democrazia e le libertà sindacali nel nostro paese e per tutte le forze sindacali ancora indipendenti da padroni e governo. Ma non basta, perché è evidente che i suoi effetti andrebbero ben oltre i confini delle aziende, assumendo una valenza generale, di negazione manifesta del vento di cambiamento e della straordinaria partecipazione civica e politica.
Insomma, questi mesi hanno indicato una via, cioè che il cambiamento si costruisce nella società e non nei palazzi, investendo sulla partecipazione libera e democratica degli uomini e delle donne. L’accordo firmato ieri ne indica un’altra, opposta e pericolosa per i lavoratori e, più in generale, per la possibilità di costruire un’alternativa non solo a Berlusconi, ma soprattutto al berlusconismo e alle politiche dell’austerity.
 
Luciano Muhlbauer
 
Questo articolo è stato pubblicato anche sul giornale on line Paneacqua.eu il giorno 30 giugno.
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo dell’Accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, siglato il 28 giugno 2011