Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 31 luglio 2011
Chissà se ha ragione Bersani quando grida alla macchina del fango. A noi, francamente, sembra un po’ poco, anche perché il coinvolgimento di Filippo Penati, comunque vada a finire la vicenda giudiziaria, tira in ballo un intero ciclo politico dei Ds e del Pd del Nord e, pertanto, di tutto il centrosinistra.
Già, perché Penati ha incarnato più di altri quel pensiero politico e culturale che individuava nell’assomigliare il più possibile all’avversario la chiave per recuperare consensi e battere le destre. Per questo bisognava disconoscere il passato ed iniziare a parlare come i leghisti, con l’effetto tutt’altro che collaterale della riduzione del governo della cosa pubblica a mera amministrazione dell’esistente.
La “diversità”, di cui in questi giorni tanto si disquisisce, è stata seppellita da quel pensiero, in nome del quale un po’ tutto divenne lecito e possibile e che produsse una politica fallimentare, peraltro sconfitta sul campo: prima, la perdita della Provincia, poi la pessima performance alle regionali e, infine, la vittoria di Pisapia a Milano, che di fatto ha capovolto il paradigma penatiano.
Eppure, Bersani non ha tutti i torti. Anzi, c’è da rimanere basiti di fronte al contrasto tra la soddisfazione unanime per le dimissioni di Penati e il buonismo che regna nei confronti degli uomini di Roberto Formigoni. E non ci riferiamo tanto ai randelli mediatici della destra, come il Giornale, Libero o la Padania, che fanno quello che sanno fare, ma a tutti gli altri.
Ma è mai possibile che alle giustissime richieste di dimissioni di Penati non siano seguite anche quelle di un altro componente del medesimo ufficio di presidenza, cioè l’ex-assessore formigoniano, Massimo Ponzoni (Pdl)? Ebbene sì, perché Ponzoni è indagato pure lui e non solo per corruzione, ma anche per i rapporti con il crimine organizzato. Secondo i magistrati, Ponzoni avrebbe persino ricevuto nei suoi uffici alcuni boss e sarebbe da considerarsi parte del “capitale sociale” della ‘ndrangheta.
Nel settembre dell’anno scorso, infatti, le opposizioni in Consiglio regionale chiesero le sue dimissioni, ma la mozione fu respinta, con voto compatto di Pdl e Lega, e da allora regna un irreale silenzio, senza troppo scandalo pubblico.
Ma la tolleranza nei confronti del mondo di Roberto Formigoni è più generale e radicata. Tanto per stare nell’attualità, potremmo ricordare lo scandalo del San Raffaele, dov’era sufficiente che Formigoni dicesse “ma che c’entra la Regione?”, perché più o meno tutti lasciassero perdere. Eppure, i rapporti privilegiati tra Cl e Don Verzé sono cosa nota e, soprattutto, c’è il fatto che il San Raffaele ha goduto, mediante i rimborsi, di un finanziamento pubblico regionale di 400 milioni di euro nel solo 2010.
E se non bastasse ancora, potremmo ricordare l’operetta padana che vede protagonista l’assessore leghista Monica Rizzi, indagata per uso illecito di dati protetti per favorire l’elezione di Renzo Bossi e per aver millantato istituzionalmente un’inesistente laurea in psicologia. Oppure, la nota vicenda di Nicole Minetti, “laureata” al San Raffaele ed “eletta” in Consiglio regionale nel listino bloccato di Formigoni, con tutto il suo corollario delle firme falsificate. Qualcuno si è dimesso? Ma figuriamoci!
Beninteso, tutto questo scenario non ci stupisce affatto e, se l’autocitazione non fosse peccato capitale, potremmo qui ripetere le nostre considerazioni di un anno fa sulla questione morale al Pirellone. Ma quello che continua a stupirci, nonostante tutto, è la diffusa acquiescenza nei confronti di Formigoni.
Certo, chi conosce la Lombardia sa bene quanto sia solido e capillare il sistema di potere ciellino costruito in 16 anni di governo ininterrotto della Regione. E tutti sappiamo che molti sono anche i legami con pezzi del centrosinistra, tra i quali, ironia della sorte, soprattutto quello penatiano.
Ma questa è una ragione in più e non in meno per cambiare registro, a partire da una po’ di pulizia in casa proprio e con l’apertura formale della questione morale in casa Formigoni.