Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di gennaio-febbraio 2007
Porrajmos, è un termine poco conosciuto, anche a sinistra, che indica la persecuzione e lo sterminio delle popolazioni sinti, rom e camminanti attuato dal Terzo Reich. Nel campo di concentramento di Auschwitz esisteva una sezione specifica riservata a loro, lo Zigeuner Lager. Non si sa con esattezza quante fossero le vittime dell’olocausto zingaro, perché le ricerche storiche vi hanno dedicato pochissima attenzione, ma le stime vanno da un minimo di 500mila fino ad oltre un milione di uomini, donne e bambini.
Ci pare utile e necessario partire da questo promemoria, per ricordare che i rom e i sinti rappresentano una storica minoranza europea –e italiana-, così come storica è l’ostilità e la discriminazione che subiscono. Attualmente sono oltre 10 milioni i rom e sinti che vivono negli stati membri dell’UE. Insomma, non si tratta di “invasori” giunti dal nulla, anche se vengono trattati come se fossero un corpo estraneo, con l’aggiunta dell’accusa di essere intrinsecamente ladri e delinquenti. Dalle nostre parti probabilmente la pensa così la maggioranza dei cittadini, compresa buona parte degli elettori di sinistra.
Oggi nell’area milanese la situazione si è fatta critica, come ha evidenziato inequivocabilmente l’infamia di Opera, iniziata con il pogrom pre-natalizio e finita con la cacciata delle famiglie rom. A Opera si è definitivamente oltrepassata la soglia di allarme, poiché i razzisti della Lega e di An sono riusciti a coagulare consenso popolare, a imporre la loro volontà a un Prefetto inetto e, soprattutto, a portare a casa una vittoria. D’ora in poi, e non ci vuole molto per capirlo, tenteranno di replicare il modello ovunque.
Ma come si è potuti arrivare a questo punto? Certo, c’è un clima generale di ostilità verso il “diverso” e le destre lo cavalcano da tempo, amplificandolo. E il “nomade” è indubbiamente l’obiettivo più facile. Ma vi è anche una base materiale sulla quale si innestano le campagne no-rom, costituita da una prolungata negligenza da parte delle istituzioni e, soprattutto, dal predominio della filosofia del “campo nomadi”.
In fondo, il paradosso dovrebbe saltare agli occhi. Cioè, popolazioni che in larghissima parte e da tempo non praticano più il nomadismo vengono riunite in campi “di sosta” e “di transito”. Vari organismi dell’UE hanno ripetutamente denunciato questa pratica tutta italiana, sollecitando un deciso cambio di rotta. Citiamo qui soltanto l’ultimo richiamo europeo in ordine di tempo, quello dell’ECRI pubblicato il maggio scorso, che parla di “relegazione forzata di molti Rom e Sinti in campi nomadi” e raccomanda politiche che si pongano l’obiettivo “dell’eliminazione dei campi nomadi”.
Tuttavia, in Italia poco o nulla si è mosso finora. Negli anni Ottanta molte regioni adottarono leggi, ispirate alla “tutela delle popolazioni nomadi”, ma che contribuirono all’istituzionalizzazione dei campi. Anche la Lombardia ne ha una, ma non la applica, in base all’edificante principio del “neanche un soldo ai rom”. E così a Milano e in tutta la regione i comuni istituivano “campi”, ma senza le azioni positive e le risorse finanziarie della legge regionale.
Nel corso degli ultimi due decenni la situazione si è aggravata con l’arrivo di nuove popolazioni rom in fuga dal conflitto nell’ex-Jugoslavia e dalla situazione di miseria ed esclusione che vivono in Romania. A Milano e dintorni i campi esistenti sono cresciuti e un po’ ovunque sono sorti nuovi campi abusivi. Le istituzioni, in primis il comune capoluogo, sono rimaste sostanzialmente a guardare, limitandosi a qualche comunicato stampa di fuoco, uno sgombero qui e là e poi tutto avanti come prima. Il risultato di tale non politica, chiamata da taluni “tolleranza zero”, è sotto gli occhi di tutti: i cosiddetti “campi” altro non sono che dei ghetti e delle baraccopoli, dove predomina il degrado urbano e sociale.
La verità è che i “campi” e il degrado che li circonda sono figli di una politica sbagliata e non del cultura rom. In alcune regioni italiane, come in Toscana, se ne sono accorti e ora stanno sperimentando delle politiche alternative. In Lombardia, invece, non se ne può nemmeno parlare. Anzi, qualche dirigente milanese dei Ds ha addirittura sentito il bisogno di una pubblica autocritica del “buonismo” della sinistra. Come se a Milano ultimamente avesse governato la sinistra…
Opera ci dice che occorre reagire in fretta, anzitutto contro le ignobili e pericolose campagna d’odio di Lega e soci, ma soprattutto trovando il coraggio e la lungimiranza di definire una politica di fuoriuscita dalla logica dei “campi”.