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LA CHIAMANO SPENDING REVIEW, MA NON È CHE UN ALTRO PASSO VERSO IL NULLA
di lucmu (del 11/07/2012 @ 17:11:10, in Politica, linkato 36287 volte)
La chiamano spending review e magari, en passant, taglierà pure qualche spreco, ma in realtà non è che un altro tassello nel processo di smantellamento dell’assetto sociale, economico e politico del secondo dopoguerra. Già, perché di questo si tratta, in Italia e in tutta Europa, di fare a pezzi il welfare, i servizi pubblici, le regole e i diritti nel mondo del lavoro, per liberare risorse e denaro vero da redistribuire verso i mercati finanziari, drogati da attività finanziarie derivate e fuori bilancio e dominati da una speculazione sostanzialmente libera da vincoli o regole.
Non c’è giorno che l’Europa, la Bce, il Fondo Monetario, il Governo e la sua grande coalizione non ci spieghino che bisogna fare così e senza discutere troppo, perché altrimenti lo spread vola e finiamo come la Grecia. Qualche volta capita pure che ci raccontino delle balle clamorose, come nel caso della truffa ai danni degli esodati oppure in quello della nuova assicurazione sociale (Aspi), contenuta nella riforma del mercato del lavoro e presentata da alcuni come un’estensione delle tutele, salvo poi chiedere il rinvio della sua entrata in vigore al 2014, perché “i nuovi ammortizzatori forniscono una tutela inferiore rispetto ai vecchi” (parole di Cesare Damiano, uno dei relatori della riforma Fornero, oggi su il Manifesto).
Insomma, la stessa storia che ora si ripete con la spending review, esibita come un’operazione di semplice razionalizzazione della spesa. Una mistificazione bella e buona, come peraltro l’aggiunta “con invarianza dei servizi ai cittadini” al titolo del decreto  legge, poiché sarebbe un autentico miracolo mantenere la qualità e la quantità dei servizi in presenza di tagli così drastici e in larga parte lineari ed orizzontali.
Infatti, le Regioni ed i Comuni, che non hanno ancora finito di assorbire i tagli delle manovre precedenti, subiranno un ulteriore taglio dei trasferimenti di 7,5 mld di euro tra il 2012 e il 2013, con conseguenze inevitabili sui servizi, a partire dal trasporto pubblico locale, già ora gravemente deficitario. Saranno tagliati ancora una volta i fondi per la ricerca, mentre gli atenei potranno aumentare le tasse universitarie. Pesantissimo è l’intervento sulla Sanità, con la riduzione forzata di 18mila posti letto, per raggiungere il nuovo standard di 3,7 posti letto per ogni 1000 abitanti. Per capire meglio cosa significa questo, basti ricordare che attualmente siamo a 4,1 come media nazionale e che ad oggi soltanto quattro Regioni (Basilicata, Campania, Valle d’Aosta e Umbria) hanno un rapporto inferiore a 3,7. In altre parole, se oggi le liste d’attesa per un ricovero sono lunghe, domani si allungheranno ancora di più.
Un discorso a parte va fatto sul pubblico impiego, dove l’intervento è dirompente, soprattutto in prospettiva, e si cerca di capitalizzare anni di propaganda contro i lavoratori pubblici, presentati in toto come fannulloni e privilegiati, magari pure in una di quelle versioni caricaturali che ignorano deliberatamente l’odierna realtà lavorativa per insistere, invece, su un racconto immaginario ambientato in un film in bianco e nero. Insomma, il solito gioco, giovani contro vecchi, precari contro fissi, italiani contro immigrati, dipendenti privati contro dipendenti pubblici e alla fine tutti quanti cornuti e mazziati.
In primo luogo, i dipendenti pubblici subiranno una riduzione dello stipendio. E non solo per effetto della proroga del blocco degli stipendi, in atto già da anni, ma anche a causa della norma che prevede che i buoni pasto (l’indennità sostitutiva di mensa), sempre più spesso usati per fare la spesa, non possano superare il valore di 7 euro al giorno. E questo significa che laddove è superiore, per esempio 10 euro, questo vada ridotto d’ufficio a partire da ottobre.
In secondo luogo, dopo la manomissione dell’articolo 18, che peraltro vale anche per i dipendenti pubblici, arrivano gli esuberi e la mobilità nel pubblico impiego, con la riduzione del 10% del personale (esclusi alcuni comparti, come scuola o sicurezza), ai quali va aggiunta la riduzione del 20% dei dirigenti. Secondo la relazione tecnica del decreto legge stiamo parlando di 24mila esuberi tra il personale (escluse le Regioni), di cui soltanto 8mila avrebbero i requisiti per il prepensionamento. Per gli altri c’è la mobilità, cioè l’applicazione di quel famigerato art. 16 della legge stabilità (L. 183/2011) del Governo Berlusconi-Lega, che introduce la mobilità per i dipendenti pubblici: “collocamento in disponibilità” per un massimo di 24 mesi, all’80% dello stipendio base, che poi significa il 60% circa dello stipendio effettivamente percepito, e se in quel periodo di tempo non c’è ricollocazione scatta il licenziamento.
Forse il numero di 24mila andrà ridimensionato, perché il decreto legge parla di dotazioni organiche, che spesso volte non sono più coperte da tempo, a causa dei ripetuti blocchi delle assunzioni degli ultimi anni, ma il vero fatto dirompente sta nell’apertura di una diga, cioè dell’applicazione della mobilità per licenziamenti collettivi anche nella pubblica amministrazione. Per esempio, cosa succederà con i dipendenti delle Province nella misura in cui queste verranno smantellate o accorpate?
Ma fermiamoci qui con la spending review. Vi invito a leggere il testo del decreto legge e la relativa relazione tecnica (vedi allegato) e a seguire gli approfondimenti tecnici proposti da numerosi siti.
Un’ultima cosa, però, ma non certo meno importante, anzi. Come avevamo detto, ci raccontano che bisogna fare così, che non c’è alternativa, ma poi mai nessuno si degna di dire dove intende andare a parare, cioè cosa verrà dopo, che società uscirà da questa devastazione del vecchio ordine.
Il dubbio legittimo è che non lo sappiano bene nemmeno loro e che siano sorretti anzitutto dall’ideologia, da una fede cieca e granitica nei dogmi del neoliberismo, esattamente come lo furono quei “tecnici” del Fondo Monetario che un decennio fa spinsero l’Argentina alla bancarotta o quelli che ancora prima enunciarono le ricette della globalizzazione liberista e della liberalizzazione dei mercati finanziari. Cioè, quelle ricette che prima portarono all’arricchimento senza precedenti di una piccolo minoranza e, infine, all’attuale devastante crisi di sistema.
E rieccoci al punto di sempre. La manovra denominata “revisione della spesa” è sbagliata e dannosa e bisogna costruire l’opposizione e il contrasto, ma temo che rischiamo di rivivere un film già visto. Prima tutti gridano allo sciopero, col tempo si abbassa un po’ la voce e alla fine non succede più niente, magari con il contorno di qualche balla clamorosa. Insomma, non c’è opposizione reale possibile a questi provvedimenti, senza una rottura con l’impianto ideologico e strategico che li genera e senza la costruzione di un’alternativa. Questo mi pare il tema di fondo, che è poi quello della sinistra in questo paese…
 
di Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo della spending review, cioè il decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012 (“Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”), la Relazione tecnica che l’accompagna e il testo dell’art. 16 della legge di stabilità (L. 183/2011)