Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto del 18 luglio 2012
Il 20 luglio è vicino ed è ormai tempo di bilanci. Undici anni dopo il luglio genovese, con un processo mai celebrato, quello per l'omicidio di Carlo Giuliani, e con tre sentenze di Cassazione alle spalle, è giunto inevitabilmente il momento di fare i conti con la verità ufficiale che lo Stato ci consegna e chiarirci se la riteniamo compatibile con quanto effettivamente avvenuto nel 2001.
Si tratta di una questione decisiva, perché da essa dipende se possiamo parlare di giustizia e perché, da che mondo è mondo, il racconto e la memoria dei fatti politicamente e socialmente rilevanti costituisce per il potere un campo di battaglia irrinunciabile. E noi, qui in Italia, terra di stragi impunite, ma che tutti sanno essere di Stato, dovremmo saperlo meglio di chiunque altro.
Ebbene, il racconto pubblico che ora va per la maggiore propone una sorta di pareggio, basato sulla tesi che da ambedue le parti, forze dell'ordine e manifestanti, ci fossero delle mele marce e degli errori, ma che questi costituissero comunque delle eccezioni. Insomma, ora che le sentenze definitive hanno individuato i cattivi, cioè i poliziotti erranti della Diaz ed i black block devastatori, si può chiudere il capitolo Genova e passare oltre.
Peccato però che in questa storia i conti non tornino per niente. Primo, l'omicidio di Carlo dove lo mettiamo? Secondo, avete mai visto un “pareggio” dove chi ha spaccato degli oggetti finisce in carcere per moltissimi anni, mentre chi ha spaccato teste e ossa il carcere non lo vede nemmeno con il binocolo? Terzo, cosa facciamo con i grandi assenti da questo racconto, cioè con i livelli massimi, i capi di polizia e carabinieri ed i Ministri, dai tempi di Genova fino ad arrivare ai giorni nostri, che hanno deciso, coperto, omesso, ostacolato, insabbiato e sistematicamente premiato e promosso i dirigenti di polizia coinvolti nella repressione, fino all'atto finale della nomina di Gianni De Gennaro a sottosegretario di Stato?
No, la verità ufficiale non solo non racconta la storia di quei giorni, ma la sua palese asimmetria offende il buon senso. Non avvicina la giustizia, ma la allontana, e non rappresenta certamente un'occasione per chiudere una ferita, ma piuttosto un inganno. Siamo all'autoassoluzione dello Stato e alla riduzione delle giornate di Genova a una storia di disordini e casini sfuggita di mano un po' a tutti.
Genova è stato ben altro. Lo sa chi c'era e chi non c’era. E, soprattutto, lo sa benissimo chi allora sospese l’ordinamento democratico ed organizzò la repressione contro il movimento antiliberista, nell'intento di stroncarlo sul nascere. L'operazione Diaz di undici anni fa doveva coprire tutto ciò, legittimando ex post la bestiale repressione, e da quel punto di vista fu un fallimento. Oggi c’è il teorema che sostiene che a Genova ci fu una situazione di “devastazione e saccheggio” e che quindi gli “errori” delle forze dell’ordine vanno letti in quel contesto. E quel che è peggio -e moralmente ripugnante- è che sull’altare di quel teorema sono state sacrificate dieci persone.
Sarebbe però un errore grossolano pensare che qui si tratti soltanto di mettere in sicurezza gruppi di potere, cricche e uomini politici ancora in vista. Certo, si tratta anche di questo, ma c’è dell’altro, perché riscrivere il passato serve sempre per preparare il futuro. Non è, infatti, un caso che alle parole del Ministro Cancellieri e alle scuse del Capo della Polizia Manganelli non sia seguito alcun fatto degno di nota, mentre la conferma in sede di Cassazione del reato di “devastazione e saccheggio” è densa di concretissime implicazioni presenti e future.
Negare la politicità di Genova, oscurare le centinaia di migliaia di persone che allora scesero in piazza e ridurre il tutto a fatto di ordine pubblico è pienamente coerente con quello sta succedendo ora, in tempi di crisi e governi tecnici, dalla Val di Susa alle cariche contro gli operai delle cooperative di Basiano. Anche per questo, non è possibile scendere a compromessi con una verità ufficiale che non è compatibile con quello che avvenne undici anni fa, che non fa giustizia e che getta più di un’ombra sul futuro.