L’hanno chiamata pomposamente “Riforma dell’Aler”, qualcuno persino “super riforma”, ma in realtà per gli inquilini delle case popolari non cambia niente e nulla cambierà in relazione alla sempre più esplosiva questione abitativa. Molto più prosaicamente, quella approvata ieri 26 novembre dal Consiglio regionale lombardo è una obbligata e parziale riorganizzazione della governance del sistema delle Aziende lombarde per l’Edilizia Regionale, con l’aggiunta di un rafforzato controllo politico della presidenza regionale.
Infatti, il provvedimento, che tecnicamente costituisce una modifica della legge regionale n. 27/2009 (Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica), accorpa una serie di Aler, riducendo quindi il loro numero da 13 a 5 (Milano, Lodi-Pavia, Brescia-Cremona–Mantova, Bergamo–Lecco-Sondrio, Busto Arsizio–Como–Varese-Monza Brianza), ed elimina gli attuali consigli d’amministrazione, sostituendoli con un presidente unico nominato dal governo regionale. In conseguenza di questo riordino, che comporta il taglio di 144 incarichi, si prevede un risparmio di 2,5 milioni euro.
Appunto, un provvedimento praticamente obbligato, considerati i livelli di deficit di bilancio raggiunti dalle Aler (quello di Milano supera da solo i 100 milioni) e il talvolta impressionante degrado amministrativo e morale, come nel caso milanese, dove le spese pazze per consulenze ammontavano ormai a 2,7 milioni di euro e le infiltrazioni malavitose erano state favorite, secondo la Procura, direttamente dall’ex assessore regionale alla casa, Domenico Zambetti. Ma anche un intervento parziale e manifestamente insufficiente, più che altro una pezza messa per superare l’emergenza.
Infatti, dopo le abituali dichiarazioni trionfalistiche post voto, gli stessi uomini della maggioranza, dalla Lega alle varie articolazioni post-pidielline, si sono subito preoccupati di annunciare ulteriori passi, una riforma “generale”, “radicale” eccetera. Ed eccoci al punto della questione, perché alla luce delle cose fatte e, soprattutto, di quelle non fatte, nonché delle parole pronunciate, c’è poco da stare allegri, anzi.
C’è, prima di tutto, quello che non si è voluto fare, che è forse più significativo di qualsiasi discorso. Cioè, non si è voluto affrontare il problema del rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, dell’aumento dell’offerta sociale di alloggi, della manutenzione, della sistemazione e assegnazione degli alloggi eccetera.
Beninteso, non stiamo parlando di quisquilie, bensì di nuovi fondi da reperire e di progetti e investimenti di medio-lungo periodo, ma dall’altra parte non si tratta nemmeno di una questione nata stamattina, anche se è oggi che esplode in tutta la sua drammaticità (54mila domande di case popolari in attesa nelle graduatorie, 12mila nuovi sfratti per morosità all’anno ecc.). E poi, ci sarebbe anche da ragionare sulle scelte sbagliate del recente passato con la legge 27 (aumento canoni d’affitto, diminuzione patrimonio Erp e messa in vendita alloggi), che hanno finito per aggravare la situazione.
Invece no, non solo nulla di tutto ciò è stato affrontato con questa “riforma”, ma le parole spese per annunciare le “riforme” che seguiranno sembrano andare in direzione opposta. Non ci sono abbastanza alloggi sociali per gli aventi diritto? E allora bisogna diminuire il numero degli aventi diritto, “modificando i criteri di assegnazione, che troppo spesso penalizzano i cittadini lombardi” e “rafforzando il criterio della residenzialità” (Massimiliano Romeo, Lega Nord) e, poi, niente soluzione e sanatorio per gli occupanti per necessità (Giulio Gallera, Forza Italia). I morosi nelle case popolari sono aumentati in pochi anni dal 10% (2009) al 30% (oggi)? E allora mica si può dare la colpa agli insensati e irrealistici aumenti del canone, ma piuttosto bisogna dichiarare guerra ai “furbetti del canone” (Ugo Parolo, Lega, sottosegretario della Giunta Maroni).
E forse, anzi sicuramente, occorrerà anche un po’ più di determinazione e chiarezza da parte delle opposizioni in Consiglio regionale, sia da parte di chi ieri ha votato “criticamente” a favore (Pd, Patto Civico), che da parte di chi ha votato contro (M5S), ma senza chiarire come la pensa sulle case popolari.
Luciano Muhlbauer