Il corteo antifascista del 29 aprile è stato un bel corteo, colorato, plurale e determinato. C’era chi aveva iniziato a militare parecchi anni fa e c’era chi, studente o precario, si è affacciato all’impegno sociale e politico in questi anni. Era un corteo militante, certo, ma non cupo e tanto meno uniforme, perché tra gli oltre duemila manifestanti c’era l’attivista del centro sociale, ma anche la consigliera di zona del Pd, c’era il militante comunista e l’animatrice dell’Arci, il sindacalista Fiom e il mediattivista.
Sarebbe bastato questo colpo d’occhio, questa minima fatica di guardarsi attorno per capire che questo corteo non camminava con la testa rivolta all’indietro, ma parlava del presente e del futuro. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere, di chi si ostina ad adattare la realtà ai suoi schemi prestabiliti, e così oggi alcune cronache giornalistiche ci raccontano una storia che c’entra poco con la serata di ieri.
No, questo corteo non combatteva una battaglia del passato, non era prigioniero degli scontri di 40 anni fa, ed è anche per questo che non ha gradito e, soprattutto, non ha capito le parole del Sindaco, pronunciate alla commemorazione di Sergio Ramelli.
Che senso ha parlare di “convivenza tra chi ha idee opposte e diverse” a poche ore di distanza da una parata nazifascista che, secondo la definizione data dallo stesso Sindaco due settimane prima, “da anni deturpa la nostra città”? Mica stiamo parlando di idee diverse, ma del fatto che noi non riconosciamo cittadinanza alle tesi e alle pratiche nazifasciste, negazioniste e razziste. E non solo noi, beninteso, ma soprattutto la storia di questo paese, la storia di Milano città Medaglia d’Oro della Resistenza, la nostra Costituzione.
E che senso ha parlare di “pacificazione”, che è un termine del nostro dibattito politico dalla precisa connotazione? Non significa rispetto e pietà per i morti, non significa non voler vedere tornare i morti ammazzati per motivi politici, ma vuol dire, nell’accezione datogli in questi anni, superare la contrapposizione fascismo-antifascismo, considerare uguali partigiani e nazifascisti.
Infatti, le parole di Pisapia non hanno trovato il minimo riscontro in quelle di De Corato e dei suoi sodali, i quali hanno incassato il risultato, rifiutandosi però di prendere le distanze dalla parata nazifascista o, semplicemente, di criticare l’esibizione di croci celtiche e saluti romani. Peraltro, De Corato, nei lunghi anni in cui era amministratore della nostra città, non aveva nemmeno mostrato rispetto e pietà verso i morti altrui –vi ricordate le sue guerre contro i murales per Dax o contro la lapide a Pinelli in piazza Fontana?- e non mi pare proprio che abbia cambiato idea al riguardo.
Conosco Giuliano Pisapia e l’ho votato, come peraltro la maggior parte dei manifestanti antifascisti di ieri, e non penso certamente che sia passato dall’altra parte. Ma penso che ieri abbia sbagliato e che oggi debba qualche spiegazione. Non a me, per carità, ma a molti dei suoi elettori, rimasti perlomeno un po’ disorientati. E senz’altro è necessario fare un’altra cosa ancora, perché a questo punto non possono esistere morti di serie A e di serie B: cioè, vanno commemorati con la stessa forza e presenza istituzionale anche i tanti ragazzi ammazzati a Milano dalla violenza fascista, come Varalli, Amoroso, Brasili, Fausto, Iaio e Dax.
Ma torniamo a noi, al nostro corteo di ieri. Prima di tutto occorre fare un ringraziamento a tutti quelli e tutte quelle che hanno lavorato per farlo riuscire, prima e durante. Nulla era scontato, né la partecipazione, né la compattezza in piazza. E da questo punto di vista, non possiamo non sottolineare il contributo decisivo, in termini quantitativi e qualitativi, da parte delle varie espressioni del movimento milanese.
In secondo luogo, va ricordato che avevamo ragione a non delegare nulla, a non lasciare la piazza vuota. Le rassicurazioni della Questura, le diffide e i divieti di esibire simboli nazifascisti, infatti, erano soltanto parole. E non poteva essere diversamente, perché nella realtà reale non esistono parate nazifasciste senza simbologia nazifascista. E così, anche ieri, come un anno fa e l’anno prima, i nazi hanno marciato alla maniera loro, salutando romanamente ed esibendo celtiche.
Infine, la cosa più importante da fare ora è guardare avanti. Appunto, non è stato un corteo nostalgico, ma un corteo del tempo presente, preoccupato del futuro, del vento di destra che spira in tutta Europa, del nuovo attivismo dei gruppi nazifascisti e della possibilità, per citare un manifestante di ieri, che a un certo punto “essere nazi diventi figo”.
Il corteo di ieri ha suscitato aspettative e ci carica tutti e tutte di responsabilità. Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza fatta insieme ed evitare che sia stata solo una parentesi. L’antifascismo ha bisogno di costanza, di quotidianità, di azione e non solo di reazione. Ne dovremo parlare, insieme, al più presto.
Per ora ci aspetta il Primo Maggio, la MayDay. E in molti già ci rivedremo.
Luciano Muhlbauer