17 anni di potere sono troppi per chiunque. Si finisce inevitabilmente per confondere le cose, il mio e il tuo, il privato e il pubblico, e per sentirsi un po’ il Re Sole della situazione. È capitato anche a Roberto Formigoni e, quel che è peggio, continua a capitargli. Già, perché voi mica crederete che la fine del suo ventennio e le inchieste per corruzione e persino per ‘ndrangheta che hanno decimato il suo entourage -e che vedono lui stesso indagato- abbiano cambiato qualcosa? Ma figuriamoci, anzi, come prima e più di prima.
E così, in questi giorni i lavoratori e le lavoratrici di Regione Lombardia, quasi tremila in tutto, sono stati convocati in quattro gruppi in una delle sale conferenze più capienti del nuovo Palazzo Lombardia, ufficialmente per “fornire una tempestiva e chiara comunicazione sull'evoluzione del quadro istituzionale ed amministrativo regionale”. In realtà, al di là di banalità ed ovvietà, tipo la Regione non chiude e si continua a lavorare, il senso era ascoltare un Roberto Formigoni su di giri, comiziante e autoincensatorio.
Non è la prima volta che Formigoni tratta gli impiegati e funzionari regionali come se fossero dipendenti personali suoi, con l’aggiunta di quel peloso e paternalistico “noi” che comprende non solo il plurale maiestatis, ma anche chi gli sta di fronte. Vi ricordate delle scene fantozziane, quando a luglio il Segretario Generale della Regione, Sanese, convocava gruppi di dipendenti a un caffè per Formigoni? Ebbene, ora siamo oltre, perché dal caffè del megadirettoregalattico siamo passati al catechismo, elargito direttamente dal celestiale presidente.
Certo, cerchiamo di riderci sopra, perché mai come nelle situazioni serie bisogna evitare di perdere il senso del humour, ma in realtà siamo di fronte a una fedele e triste fotografia di un potere che si sta sgretolando sotto il peso del suo marciume, ma che non ha perso un briciolo della sua protervia di fronte alla debolezza di avversari ed alleati.
Se un marziano appena sbarcato sulla terra fosse capitato in una di queste “conferenze”, non avrebbe capito perché in Lombardia si vada ad elezioni anticipate e dove stia il problema. Insomma, a giudicare dalle parole di Sanese e di Formigoni, in Regione Lombardia non è successo nulla di eclatante e si va ad elezioni ravvicinate perché “i consiglieri regionali si sono dimessi” e “la maggioranza è venuta meno”. Neanche mezza parola è stata dedicata a quisquilie come l’immoralità pubblica, la corruzione dilagante o le infiltrazioni della ‘ndrangheta fin dentro la Giunta regionale. Gli Zambetti, i Ponzoni eccetera, gli amici, gli assessori e gli ex assessori di Formigoni, tutti quanti spariti, anzi mai esistiti. E così, miracolosamente, rimane solo il “buon governo”, le “eccellenze” e “le mie buone idee”.
Orbene, nessuno è tanto ingenuo da pensare che Formigoni, improvvisamente folgorato sulla via di Damasco, si possa esibire in una pubblica autocritica. Ma da un politico, come lui, che si ritiene uno statista e l’incarnazione del buon governo, è il minimo pretendere che abbia qualcosa da dire sullo stato desolante della moralità, per usare un eufemismo, nella Regione da lui governata da 17 anni! E a maggior ragione questo vale quando si prende parola formalmente dentro l’istituzione e davanti al personale regionale.
Formigoni ha scelto l’arroganza del potere, la mistificazione e l’omissione. E, strizzando l’occhio alla campagna elettorale, ha voluto dare la linea al personale regionale. Ma gli autunni dei patriarchi sono implacabili e alla fine gli applausi che ha raccolto erano pochi e tiepidi, anzi, più ti allontanavi dalle prime fila, cioè dal tavolo della presidenza, più si facevano rari. Peraltro, anche i caffè pro Formigoni organizzati da Sanese qualche mese fa si erano risolti in un insuccesso di pubblico.
Insomma, possiamo chiudere con una nota di ottimismo. In tutti questi anni di strapotere formigoniano e ciellino, di occupazione di posti e gerarchie, gli impiegati, i tecnici e i funzionari regionali sono riusciti a preservare in grandissima parte non solo le significative professionalità presenti nell’ente, ma anche l’indipendenza di giudizio. Sarà anche per questo che, nonostante il malaffare e a volte anche le incompetenze ai piani alti, la macchina amministrativa è andata avanti lo stesso. In altre parole, se cercate delle eccellenze, non cercatele nelle chiacchiere di ciellini e leghisti, ma tra i lavoratori e le lavoratrici.
Luciano Muhlbauer