Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto il 31 maggio 2013, con il titolo “La Giunta Pisapia ha compiuto due anni: la ‘primavera’ al palo”.
Sono passati due anni ed è tempo di bilanci. Bilanci severi, perché tra l’entusiasmo e gli arcobaleni di allora e il freddo e il grigio di oggi non sembrano essere trascorsi soltanto 730 giorni, bensì un’epoca intera. Quel 30 maggio del 2011, infatti, da Milano, ma anche da Napoli o da Cagliari, sembrava alzarsi un’onda, una brezza di speranza, una riappropriazione dal basso della politica. Non avevamo vinto un’elezione, avevamo “liberato” Milano e presto, pensavamo, sarebbe toccato anche al resto del paese. Oggi, invece, abbiamo di fronte il deprimente quadro disegnato da anni di crisi e austerity, da una politica desolata e desolante, da una democrazia in manifesta crisi di credibilità e da sindaci eletti dalla metà della metà dell’elettorato.
In questi due anni a Milano sono cambiate troppo poche cose, ma in compenso il mondo che la circonda si è fatto vieppiù ostile. La recessione ha eroso margini e imposto emergenze, il patto di stabilità sta strangolando il bilancio comunale e, invece del cambiamento, sono arrivati Monti e Letta, le larghe intese Pd-Pdl e la disastrosa ri-vittoria delle destre alle elezioni regionali lombarde. Insomma, le peggiori condizioni immaginabili.
Tutto questo è bene ricordarlo, per correttezza e per realismo, ma è altrettanto bene non usare queste considerazioni come un alibi per le cose che non vanno, che sono tante. Beninteso, non siamo alla fine di un’esperienza, ma siamo senz’altro a un punto critico, in uno di quei momenti in cui i mormorii rischiano di trasformarsi in rumore di fondo, in crepe insanabili, in incantesimo rotto. In altre parole, i nodi stanno venendo al pettine, come hanno confermato in modo lampante una serie di fatti di queste ultime settimane.
Anzitutto, la destra ha rialzato la testa. L’ha fatto riproponendo tutto il suo armamentario securitario e xenofobo, in seguito al triplice omicidio commesso da Mada Kabobo. Per ora la furibonda campagna di Lega e Pdl non ha portato risultati e la città non è ripiombata nel cupo clima decoratiano, ma il punto è che la destra è uscita dall’angolo ed è passata all’offensiva.
Negli stessi giorni Marco Vitale, autorevole esponente del “Gruppo 51”, cioè quella borghesia illuminata milanese che si era schierata con Pisapia, ha pubblicato un pungente articolo in cui accusava il governo cittadino di non avere strategia e visione e di continuare la “politica dell’amministrazione del condominio”.
Le parole di Vitale hanno sollevato un vespaio. Il Corsera ha rilanciato le critiche e ipotizzato la fine del modello Milano, mentre l’assessore D’Alfonso, ex socialista e autoproclamato ideologo arancione, è intervenuto a modo suo, dando ragione a Vitale, ma dicendo che la colpa era di tutti gli altri, in primis dei consiglieri comunali di maggioranza che sarebbero sostanzialmente degli inetti.
Infine, gli scricchioli sono diventati rumore assordante anche sul lato sinistro, con lo sgombero del centro sociale Zam e le manganellate sulle teste dei manifestanti davanti al portone chiuso di Palazzo Marino. Beninteso, non era il primo conflitto tra centri sociali e amministrazione comunale, ma in questo caso l’elemento simbolico era forte, anche perché ha coinvolto una delle realtà di movimento finora più aperte nei confronti del Sindaco.
Insomma, quella ampia coalizione di forze e cittadini che aveva reso possibile la liberazione di Milano e che lo stesso Sindaco considera “il nostro patrimonio più prezioso” sta scricchiolando alla grande, su un lato e sull’altro. E non basta ribadire l’elenco delle cose fatte, perché risulta troppo insipido in assenza di prospettiva e progetto. O, peggio ancora, se l’unica prospettiva è quella dell’Expo, che ad oggi offre soltanto buchi di bilancio e affari immobiliari.
E non basta nemmeno rispondere al solo Corriere, perché il problema non è il dialogo con i poteri forti, ma anzitutto il recupero di un confronto con quella fondamentale parte della città impegnata nella cittadinanza attiva, nell’associazionismo, nell’attivismo sociale, nelle esperienze di autogestione.
Nulla è ancora perso o disperso, ma occorrono parole e fatti nuovi per ridare slancio a una primavera che oggi assomiglia un po’ troppo all’autunno.