L'hanno fatto in tempi da record, senza dire nulla a nessuno e sotto la potente spinta del timore che una legge sulla rappresentanza sindacale si potesse materializzare nel prossimo futuro, invadendo un campo che evidentemente considerano cosa loro. E così, dopo soli sette mesi dalla firma del protocollo d’intesa e con somma noncuranza per le implicazioni della sentenza della Corte Costituzionale sul caso Fiom-Fiat del luglio scorso, il 10 gennaio i vertici di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno firmato il “Testo Unico sulla Rappresentanza”.
Mai come in questo caso metodo e merito si danno la mano ed è più che sintomatico che la diplomazia segreta delle segreterie, che ha escluso dalla discussione non soltanto i diretti interessati, cioè i lavoratori e le lavoratrici, ma persino intere categorie aderenti alle confederazioni, come la Fiom (vedi dichiarazione di Landini), sia stata applicata a una materia -la rappresentanza dei lavoratori, i diritti e le libertà sindacali- che invece richiederebbe l’esatto opposto, cioè il massimo di trasparenza e partecipazione.
Come meravigliarsi dunque che proprio nei giorni in cui la Consulta pubblica le motivazioni della sentenza che ha fatto a pezzi il Porcellum, ribadendo anzitutto il principio costituzionale che la sovranità appartiene al corpo elettorale e non ai partiti, a poca distanza venga formalizzato invece un sistema di regole che sequestra la democrazia sui luoghi di lavoro, togliendo la titolarità ai lavoratori e alle lavoratrici, per assegnarla alle organizzazioni sindacali confederali.
Per carità, non che le cose andassero bene fino ad oggi, anzi. Per esempio, nel settore privato è tuttora in vigore, sebbene ormai talmente in crisi di legittimità da venir archiviato dal nuovo accordo, la sconcezza del 33% di posti riservati a Cgil-Cisl-Uil nelle Rsu. Ed è proprio per questo che ci vuole una legge che regoli la rappresentanza sui luoghi di lavoro, per sottrarre la materia alle parti in causa che inevitabilmente finiscono per scrivere delle regole a proprio uso e consumo, cioè esattamente quello che è successo con l’accordo del 10 gennaio (per il testo integrale dell’accordo vedi allegato).
Esagero? Non credo proprio e per dimostrarlo è sufficiente leggere il testo dell’accordo, cosa che vi invito a fare, anche se può essere un po’ faticoso. Qui mi limito a ricordarne le parti salienti, mentre per alcune valutazioni più generali rinvio al mio articolo sul protocollo d’intesa del 31 maggio scorso (vedi Le larghe intese sindacali sequestrano la democrazia), del quale l’accordo costituisce figlio legittimo e applicazione concreta.
Ebbene, l’accordo stabilisce anzitutto e soprattutto il principio che la rappresentanza dei lavoratori e i diritti e le liberta sindacali vengono riconosciuti dalle aziende soltanto nella misura in cui corrispondono a quanto pattuito con Cgil, Cisl e Uil. Le altre associazioni sindacali formalmente costituite potranno esistere in questo sistema soltanto se accettano “espressamente, formalmente e integralmente” i contenuti dell’accordo.
Ma non è soltanto un sistema esclusivo ed escludente, ma anche blindato dall’alto, poiché limita fortemente l’autonomia dei delegati eletti dai lavoratori e delle stesse categorie rispetto ai vertici confederali. Infatti, l’obiettivo della blindatura non sono tanto e soltanto le organizzazioni sindacali di base e conflittuali, ma qualsiasi espressione di autonomia e conflitto, che sia a livello aziendale, territoriale o categoriale, esterno o interno a Cgil, Cisl e Uil.
Ma facciamo prima ad andare per punti. Primo, se in un’azienda dei lavoratori intendono presentare alle elezioni Rsu (Rappresentanze sindacali unitarie) una lista, questa deve essere espressione di un’organizzazione sindacale che ha accettato in toto le regole dell’accordo. Altrimenti, se non sei d’accordo, non hai diritto di presentare liste (e di avere i diritti sindacali).
Secondo, un’organizzazione sindacale può anche decidere di rimanere fuori dalle Rsu, ma anche questo comporta complicazioni di natura formale, perché l’accordo stabilisce che le aziende accetteranno deleghe soltanto a favore di organizzazioni sindacali che “aderiscano e si obblighino a rispettare integralmente i contenuti del presente Accordo”.
Terzo, una volta eletto il delegato dei lavoratori ha una sorta di vincolo di mandato, cioè non può cambiare “appartenenza sindacale”, altrimenti decade dalla Rsu e viene sostituito (occhio quindi a polemizzare troppo con la linea del tuo sindacato…).
Quarto, i contratti firmati sono “efficaci ed esigibili” e quindi sono previste “disposizioni volte a prevenire e sanzionare eventuali azioni di contrasto di ogni natura”. Le sanzioni possono essere di tipo pecuniario e/o comportare la sospensione dei diritti sindacali.
Insomma, dissentire da quanto stabilito dai vertici di Cgil, Cisl e Uil e fare conflitto diventa un esercizio alquanto complesso e pericoloso.
Ovviamente, vengono blindate maggiormente anche le categorie rispetto alle confederazioni (e qui il pensiero non può che andare alle recenti vicende in Fiat). La cosa funziona così: siccome il regime sanzionatorio per garantire l’esigibilità va definito in sede di contratto nazionale di categoria e può succedere che non si trovi facilmente un accordo in tempi utili (pensiamo per esempio ai metalmeccanici), eccovi dunque una sorta di tribunale speciale che comunque garantisce da subito che vengano sanzionate le “azioni di contrasto di ogni natura” anche in assenza di regole a livello di categoria. Cioè, viene istituito un collegio di conciliazione e arbitrato a livello confederale.
Infine, è necessario aggiungere che non è prevista l’obbligatorietà del referendum per validare i contratti siglati, ma soltanto una non meglio precisata “consultazione certificata”, e che sarà possibile firmare contratti aziendali in deroga ai contratti nazionali.
Insomma, se non vi siete stancati prima e avete letto fino a qui vi sarà sicuramente suonato qualche campanello, tipo “ma questo cosa non è roba simile ai contratti introdotti da Marchionne negli stabilimenti Fiat?”. Già, appunto.
È un pessimo accordo dunque, anzitutto perché stabilisce che i diritti e le libertà sindacali non appartengono ai lavoratori, ma a Cgil, Cisl e Uil, con la benedizione padronale di Confindustria. Ed è un pessimo accordo perché è dominato dalla paura delle segreterie di Cgil, Cisl e Uil di “perdere il controllo” in un momento di crisi e difficoltà. E così, invece di fare il sindacato e cercare il consenso dei lavoratori, si decide di farsi legittimare dalla controparte e di fare il poliziotto.
Vediamo come va a finire e se questo accordo reggerà così com’è, anche se c’è poco da essere ottimisti. Infatti, a parte lo scontato e sacrosanto dissenso delle organizzazioni sindacali di base, dall’interno di Cgil, Cisl e Uil provengono per ora pochissime voci. Anzi, per essere precisi per ora abbiamo sentito soltanto le proteste della Fiom e della Rete 28 Aprile. Forse un po’ poco.
Da parte mia, comunque sia, ritengo che questo porcellum sindacale meriti più di una battaglia, non solo sindacale, ma anche culturale e politica, perché qui non stiamo parlando semplicemente di cose sindacali, ma di democrazia e di conflitto. Ed è più che mai impellente l’esigenza di una legge sulla rappresentanza sindacale che ridia ai lavoratori ciò che è dei lavoratori.
Luciano Muhlbauer
in allegato il testo integrale del Testo Unico sulla Rappresentanza, firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria il 10 gennaio 2014