Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 6 dicembre 2006 (pag. Milano)
Molti lombardi pensano che lo sfruttamento del lavoro nero e irregolare sia un fenomeno che riguardi essenzialmente le regioni meridionali, ma non le nostre latitudini. Una convinzione che sembra resistere persino alla recente moltiplicazione delle denunce pubbliche sui casi di “caporalato” nell’edilizia o nell’ortomercato di Milano.
Eppure, la realtà è ben diversa e lo sfruttamento del lavoro irregolare non solo è presente in Lombardia, ma risulta addirittura in preoccupante espansione, come indicano tutti i dati disponibili. La Direzione regionale del lavoro, ad esempio, segnala che il 75% delle aziende ispezionate mostrano situazioni di irregolarità, specie contributiva, con un aumento del 20% rispetto alla rilevazione precedente.
Le forme di sfruttamento sono varie e vanno da quella più estrema ed infame del “caporalato” fino a quelle più diffuse di non rispetto, totale o parziale, delle norme contrattuali e di legge. In ogni caso, i lavoratori e le lavoratrici colpiti vengono privati dei loro diritti più elementari, costretti a salari indecenti ed esposti più di altri agli infortuni sul lavoro. Il fenomeno è particolarmente esteso nell’edilizia, nei servizi e nell’agricoltura e non è un caso che siano esattamente questi i settori economici a registrare una presenza di lavoratori immigrati superiore alla media. Infatti, sono gli ultimi arrivati, a causa della loro condizione, de facto e de jure, di maggior ricattabilità sociale, ad essere i più esposti all’economia sommersa.
Una situazione grave e inaccettabile di per sé, ma che comporta altresì un’alterazione dell’intero mercato del lavoro, esercitando una pressione al ribasso anche sui lavoratori in regola. Insomma, la presenza in dosi massicce di lavoro nero e irregolare contribuisce, in maniera ancora più brutale del precariato, ad erodere i diritti e i livelli retributivi di tutti e tutte.
Ma allora, da dove arriva quella favola secondo la quale in Lombardia tutto questo non rappresenta un problema o, peggio, che non esiste neppure? In fondo, tutto il mondo è paese e come accadde in Puglia, prima che il solito Gatti facesse esplodere lo scandalo, questa convinzione si alimenta della prolungata ipocrisia e omertà, alla maniera delle tre famose scimmiette, che coinvolge anche parte delle istituzioni.
Pensiamo quindi che sia arrivato il momento di rompere quel silenzio, che poi comporta assenza di iniziative concrete, e per questo motivo è stato presentato, con la firma di tredici consiglieri di tutti i gruppi dell’Unione, il progetto di legge regionale “Contrasto dello sfruttamento del lavoro irregolare in Lombardia”.
Il progetto prevede, anzitutto, l’obbligo di rispetto delle norme contrattuali per tutti i soggetti beneficiari a qualsiasi titolo, in via diretta o indiretta, di contributi, finanziamenti e appalti da parte della Regione, delle Asl e di enti partecipati. Viene inoltre introdotto l’obbligo della comunicazione dell’avvio di ogni rapporto di lavoro il giorno antecedente il suo inizio effettivo -obbligo per ora previsto soltanto nell’edilizia- e il rispetto degli indici di congruità. Ogni violazione di queste prescrizioni porta alla revoca delle erogazioni da parte della Regione.
In secondo luogo, la Regione si dovrà fare promotrice di piani di emersione territoriali e settoriali. A tal fine è previsto anche lo stanziamento di risorse per il rafforzamento dell’azione ispettiva e per gli incentivi, nonché l’avvio di campagne informative rivolte in particolare ai lavoratori immigrati. Infine, verrebbe istituito anche un Osservatorio regionale per monitorare l’evoluzione della situazione.
Siamo consapevoli che non basta una legge regionale per risolvere tutti i problemi e che ci vorrebbe prima di tutto una forte iniziativa nazionale, che tuttora si fa attendere. Ma intanto la Regione ha il dovere di fare la sua parte e di smetterla di ignorare la gravità della situazione. L’approvazione -e l’applicazione- di una legge seria rappresenterebbe sicuramente uno di quei segnali chiari che oggi mancano. Cioè, che il tempo della tolleranza istituzionale nei confronti degli sfruttatori è finito.
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