Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 9 luglio e su il Manifesto (pag. Milano) del 11 luglio 2006
A Milano è iniziato finalmente il processo per i fatti del 11 marzo scorso. 25 ragazzi e ragazze si trovano in carcere da ormai 120 giorni in attesa di questo momento. Un’enormità e un’anomalia senza precedenti in materia di detenzione preventiva, così come enorme e palesemente impropria è l’ipotesi di reato, cioè devastazione e saccheggio, per il quale l’articolo 419 del codice penale, risalente al periodo fascista, prevede la reclusione tra 8 e 15 anni. Anzi, c’è di peggio, poiché i ragazzi e le ragazze sono accusati non tanto di fatti specifici, bensì di “concorso morale”, una variante appena meno creativa della “compartecipazione psichica” teorizzata in alcuni processi per i fatti di Genova 2001.
Alcuni giorni fa, il 6 luglio scorso per la precisione, sono state realizzate alcune perquisizioni a Milano e Padova e consegnati almeno sette avvisi di garanzia per un lungo elenco di reati ipotizzati, tra cui rapina aggravata. Obiettivo della perquisizione: la ricerca, sette mesi dopo i fatti (sic), di una borsa che sarebbe stata sottratta all’esponente leghista Borghezio o ai suoi accompagnatori durante la nota vicenda del treno di ritorno dalla manifestazione anti-TAV di Torino. Destinatari degli avvisi: due esponenti di primo piano del centro sociale Vittoria di Milano e cinque padovani.
Al di là di ogni altra considerazione, come l’interrogativo tuttora aperto sui motivi della presenza di Borghezio tra i manifestanti, colpisce il fatto che anche in questo caso si fa un uso a dir poco allegro del concetto di “concorso”. Ebbene sì, perché i due esponenti del Vittoria, ad esempio, non hanno mai messo piede sulla carrozza dove sono avvenuti i fatti, come anche gli organi di polizia ben sanno. E se la logica è quella del concorso, cioè della corresponsabilità di tutti i passeggeri del treno, perché sono stati “scelti” soltanto sette?
Insomma, cerchiamo di capirci. Per il solo fatto di essere stato presente in un determinato luogo e in un determinato momento, a prescindere da quello che hai effettivamente fatto, puoi essere sbattuto in galera per quattro mesi senza processo, essere perquisito e indagato e, infine, rischiare condanne a lunghi anni di carcere. Se dovessimo accettare l’ingresso nella prassi investigativa e giudiziaria del nostro paese di tale uso estensivo e discrezionale della nozione di concorso, allora metteremmo a serio rischio le fondamenta del nostro ordinamento giuridico, di cui fa parte il principio che afferma che la responsabilità penale è personale, ed esporremmo la magistratura ad ogni sorta di condizionamento politico.
Fa davvero specie, e preoccupa non poco, che finora così poche voci si siano levate a segnalare la gravità di quanto avviene. Sappiamo che può essere scomodo, per carità, ma qui non stiamo mica parlando di quisquilie, bensì dei cardini dello stato di diritto e delle libertà democratiche. E allora, visto il moltiplicarsi di fatti del genere, forse è giunto il momento di prendere l’iniziativa anche a livello istituzionale e di invitare anche forze politiche più moderate ad assumersi la responsabilità di porre un freno alla deriva.
Nessun commento trovato.