Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di genn.-febbr. 2006
Di casa si parla spesso, ma quasi sempre a spizzichi e bocconi. Il dibattito politico che ne consegue risulta monco e reticente. In altre parole, si elude il vero nodo della questione, che così possiamo riassumere: mentre all’orizzonte si profila una vera e propria emergenza sociale, la questione abitativa è relegata al margine dell’agenda politica. Una marginalità che si riscontra spesso anche a sinistra, ahimé compreso il nostro partito. Beninteso, in Rifondazione non manca la sensibilità e la consapevolezza, ma sui territori scarseggia frequentemente la strategia e l’iniziativa.
Per cogliere meglio la dimensione del problema è sufficiente ricordare alcuni dati relativi al capoluogo lombardo. Una recente indagine ha calcolato il fabbisogno abitativo aggiuntivo per i prossimi dieci anni attorno 100-140mila alloggi in provincia di Milano. Nel frattempo, in città circa 24mila abitazioni sono state erose dalle attività economiche, mentre i prezzi degli immobili e gli affitti sono schizzati alle stelle. Tanto per capirci, 90 mq in una zona semicentrale a Milano valevano 7,6 stipendi annuali dieci anni fa, mentre oggi ne valgono ben 9,8. Le speculazioni edilizie hanno campo libero, facendo sì che l’8% del patrimonio abitativo milanese sia ormai sfitto o abbandonato, mentre le graduatorie per le case popolari si stanno ingrossando, con le loro 19mila famiglie in attesa, di cui 2000 in graduatoria d’emergenza.
Di fronte a questa situazione presente e futura la Giunta Formigoni -ma anche il Comune di Milano- punta tutto sull’imperativo della progressiva dismissione del patrimonio e dell’intervento pubblico, per affidarsi alle magnifiche sorti di un mercato sempre più inaccessibile per interi settori sociali, colpiti come sono dai bassi salari e dalla precarietà del lavoro e del reddito. Infatti, gli ultimi provvedimenti in materia di edilizia residenziale pubblica, già adottati o in via di adozione, portano questo marchio indelebile, come il declassamento dell’erp da servizio pubblico a “servizio di interesse economico generale” e la conseguente apertura ai capitali privati. Esempio lampante, nonché pionieristico, la recente decisione di sottrarre 10 milioni di euro all’edilizia pubblica per investirli in un fondo di housing sociale controllato da Banca Intesa.
Ad aggravare ulteriormente il quadro interviene la situazione nazionale, considerato che oltre il 90% dell’edilizia pubblica è tuttora finanziata da fondi statali che vengono dal passato. Stiamo parlando dei fondi ex-Gescal, costituiti dai prelievi sulla busta paga dei lavoratori dipendenti e riscossi fino al 1998. Di conseguenza, l’entità dei trasferimenti statali alle Regioni caleranno progressivamente, fino al loro definitivo esaurimento attorno al 2020. Infatti, lo stanziamento regionale per l’edilizia residenziale pubblica per gli anni 2006-2008 è praticamente dimezzato rispetto al periodo precedente.
Il centrodestra lombardo pare pienamente consapevole che la sua politica è incapace di rispondere alla crescente domanda sociale di abitazioni, visto che sceglie consapevolmente di aggiungere al danno anche la beffa. Questo vale sia per l’insana trovata di far pagare agli inquilini delle case popolari le spese per l’amministrazione, che per l’odiosa, inutile e incostituzionale discriminazione che impone cinque anni consecutivi di residenza per poter accedere ai bandi. Insomma, non si affronta il problema, ma in cambio si fomenta un po’ di guerra tra poveri.
Di fronte a questo stato di cose occorre cambiare marcia, radicalmente e subito. Ecco perché i consiglieri regionali del Prc, tra le altre cose, hanno presentato una proposta di legge regionale per la requisizione temporanea delle case sfitte, fatte salve tutte le garanzie per la proprietà ed escluse le prime e seconde abitazioni. La destra e parte della sinistra moderata hanno subito gridato allo scandalo, anzi all’esproprio proletario. Una sciocchezza terrificante, visto che non solo il Tar del Lazio ha considerato legittimo requisire, ma lo stesso Prefetto di Roma le sta ipotizzando. Il vero scandalo sta da un’altra parte, cioè nel considerare normale e socialmente accettabile che percentuali significativi del patrimonio abitativo vengano lasciati in stato di abbandono prolungato per motivi speculativi, mentre migliaia di famiglie e persone si vedono negato il diritto alla casa. Un segno dei tempi, dirà qualcuno, ma soprattutto di una politica cieca, fastidiosamente di classe e subalterna all’ideologia del primato del privato.
Certo, la requisizione temporanea non risolverebbe tutti i problemi e ben altro ci vuole, ma sarebbe almeno un punto di partenza, un indizio concreto che si vuole cambiare strada e affrontare finalmente una situazione straordinaria con mezzi straordinari, ridando centralità all’intervento pubblico e ai bisogni dei ceti popolari.
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