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LA DERIVA LEPENISTA DELLA LEGA
LA DERIVA LEPENISTA DELLA LEGA
di lucmu (del 11/02/2006, in Politica, linkato 1213 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 11 febbraio 2006
 
L’aveva detto Umberto Bossi, sarebbe stata una campagna elettorale all’insegna dell’omofobia e della xenofobia. E la Lega, come un sol uomo, si è scatenata, dagli insulti razzisti di Calderoli in diretta tv fino alla mozione leghista nel consiglio comunale di Milano che vorrebbe imporre allo straniero richiedente la cittadinanza italiana un questionario, contenente domande illuminanti tipo “cosa pensa dell’omosessualità?” oppure “è giustificabile una reazione violenta per bloccare vignette?”.
Così vanno le campagne elettorali, dice qualcuno per minimizzare. Poche settimane fa, un esponente di primo piano dei DS, come Bersani, ha persino riesumato il concetto di “forza popolare” per dire che in fondo con la Lega si può anche parlare. Insomma, è netta la sensazione che dietro gli scandali per gli “eccessi” leghisti, dalla durata solitamente effimera, si nasconda in realtà una drammatica sottovalutazione politica.
E allora ripartiamo dalla Lombardia, terra natale e roccaforte della Lega Nord. Viste da qui le campagne leghiste dal tenore esplicitamente xenofobo o razzista non sono né una novità, né un’appendice, ma piuttosto una costante dominante.
Da tempo ormai la parola d’ordine dell’autonomismo ha perso la sua forza propulsiva ed espansiva e oggi appartiene soprattutto al ceto politico e ad alcuni interessi materiali ben identificati. Il federalismo, poi, non è più appannaggio della sola Lega, essendosi trasformato nella bandiera di tanti, dall’abile Formigoni fino a buona parte della sinistra moderata, come ci aveva dimostrato la sciagurata modifica del titolo V della Costituzione. Insomma, il classico “Roma ladrona” ha fatto il suo tempo.
L’ostilità nei confronti del diverso ha sempre fatto parte del bagaglio politico e culturale del leghismo, ma è soltanto negli ultimi anni che ha assunto il predominio, in concomitanza con il manifestarsi delle conseguenze sociali delle politiche liberiste. La perdita di potere d’acquisto di salari e pensioni, l’espansione della precarietà del reddito e della vita e i tagli al welfare stanno aumentando sempre di più le difficoltà quotidiane per ampie fasce popolari e producono un diffuso sentimento di insicurezza, specie nelle aree metropolitane. Ovvero, il brodo di coltura ideale perché le incertezze e le paure si traducano in avversione per il diverso, in primis per i diversi per antonomasia, cioè i migranti, che nella sola Lombardia sono ormai quasi un milione.
Insomma, la Lega ha scelto deliberatamente un cambio di strategia, mettendo in secondo piano l’autonomismo e sostituendolo con la xenofobia e l’islamofobia. Un discorso politico certamente rozzo, ma per nulla improvvisato e, anzi, perseguito con perseveranza. Una linea politica praticata in maniera martellante in Lombardia. Sulle tv locali è un succedersi senza soluzioni di continuità di insulti e requisitorie degne del Ku Klux Klan. Altro che le battute di Calderoli sulle “abbronzature”! I consigli comunali, provinciali e regionale sono pieni di iniziative dal sapore discriminatorio e razzista, contro le moschee, le scuole arabe, i rifugiati, i rom, i “clandestini”, gli immigrati che rubano la casa agli italiani e così via.
In altre parole, la Lega ha scelto di occupare uno spazio politico analogo a quello occupato in Francia da Le Pen. Non a caso, in Lombardia la Lega ha sorpassato a destra AN. E come succede in Francia con Sarkozy, quello è uno spazio che fa gola a molti e il razzismo della Lega riesce a contaminare e trascinare. Infatti, è del Sindaco di Milano, targato Forza Italia, e non della Lega la definizione grottesca, ma significativa, di “clandestini con regolare permesso di soggiorno” per i rifugiati politici di via Lecco.
Fare dunque finta che si tratti soltanto di campagna elettorale è un grave errore. La deriva lepenista della Lega è deliberata e lucida e i danni che provoca nel corpo sociale la legittimazione incessante delle tesi razziste e dei toni da crociati sono alla lunga incalcolabili. Bisogna porvi un freno e questo non può essere compito della sola Rifondazione, ma riguarda tutta l’Unione. E ci sono soltanto due modi per farlo: cominciare a chiamare le cose con il loro nome, senza reticenze e ipocrisie, e soprattutto con una politica in materia di immigrazione dichiaratamente e radicalmente alternativa a quella sinora praticata.
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