Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 12 nov. 2005 (pag. Milano)
Bruno Ferrante piace alla sinistra radicale e agli antagonisti. È questo il leitmotiv che domina la stampa in questi giorni. La Repubblica aveva persino osato un audace “e la sinistra-sinistra scende dalle barricate”.
Un paradosso! esclamano in molti. Sarà, ma forse la verità è più semplice, anche se più preoccupante. Il paradosso vero è che parte della sinistra italiana sembra aver smarrito la bussola, trasformando le proprie subalternità culturali in linea politica. Semmai, il paradosso milanese non è altro che un pallido riflesso di quello bolognese, dove invece un ex-sindacalista si comporta da Sarkozy nostrano.
Ma attenti alle illusioni ottiche. Anche a Milano, autorevoli esponenti della sinistra moderata non perdono occasione per invocare legalità e sicurezza, per dire che di cose come il Cpt di Via Corelli o di una politica alternativa in tema di immigrazione proprio non si deve parlare. Insomma, sotto il paradosso milanese cova silenzioso, ma insistente il quello bolognese.
A Cesare ciò che è di Cesare; quindi a Bruno Ferrante va riconosciuto quanto fatto come prefetto e quanto detto finora come neo-candidato. E sono comprensibili –e condivisibili- i sollievi da scampato pericolo dopo il tormentone neocentrista di Veronesi e le ruspe cofferatiane. Ma detto questo, quella parte di società politica e civile milanese, detta “sinistra radicale”, corre il pericolo di rimanere incastrata nel sollievo e persino di dividersi tra “aperturisti” verso Ferrante e sostenitori di Dario Fo. Il problema vero, invece, non è Ferrante o Fo, bensì con quale programma, con quale progetto, con quali idee si vuole governare Milano dopo i lunghi anni bui del dominio delle destre.
Le destre a Milano si sono occupate anzitutto di svendere e privatizzare, di ignorare con arroganza le istanze provenienti dalla società, scontrandosi sempre e comunque: dai tranvieri ai lavoratori della Scala, dai centri sociali ai comitati e associazioni di quartiere. I e le milanesi oggi stanno peggio, sempre più precarizzati nel lavoro e nella vita, con il disagio sociale e il degrado che si sono allargati, con sempre più famiglie che si indebitano, con le giovani coppie che scappano nell’hinterland per poter pagare l’affitto o il mutuo. Per non parlare poi come vengono trattati i nuovi milanesi, cioè quei 180mila migranti presenti sul territorio, accettati come manodopera a basso costo, ma mai come persone portatori di diritti. Ne sono triste simbolo alcune vie cittadine, come Corelli, Capo Rizzuto o Quaranta.
Ecco perché il problema non sono tanto il nome e il profilo del candidato sindaco, bensì i contenuti e le proposte. Ecco perché, per esempio, è importante che alle primarie cittadine non si ripeta lo scandalo dell’esclusione de facto dei migranti e si produca invece un fatto politico qualificante con una loro partecipazione massiccia. Ecco perché in questi mesi la sinistra radicale dovrebbe aprire un grande confronto sul territorio e con i soggetti sociali per costruire un progetto alternativo di città. E le priorità ce le indica la realtà: partecipazione e inclusione, lotta alla precarietà, condizioni di lavoro, rilancio dell’intervento pubblico, casa, riqualificazione dei quartieri popolari, diritti sociali e di cittadinanza uguali per tutti e tutte.
Quindi, altro che scendere dalle barricate. Questo sarebbe davvero il peggior servizio che si possa rendere a Milano.
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