Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 16 ott. 2005 (pag. Milano)
Via Corelli, via Capo Rizzuto, via Quaranta. Tre vie di Milano, tre episodi diversi di un’unica storia, quella dello scontro di civiltà in salsa meneghina. In via Corelli si trova il centro di detenzione per migranti non in regola con il permesso di soggiorno, detto Cpt, in via Capo Rizzuto si trovava la baraccopoli abitata da rom e rasa al suolo senza troppe formalità dalle ruspe del sindaco Albertini e in via Quaranta ha sede la scuola araba chiusa dal comune dopo le parole scagliate dal signor Magdi Allam, che accusava i suoi oltre 400 studenti di essere niente di meno che dei futuri kamikaze.
Tre episodi, le cui relative campagne xenofobe e razziste da parte del centrodestra milanese hanno cercato di costruire l’immagine del nemico: il clandestino delinquente, il rom ladro e stupratore, l’islamico invasore e terrorista. E se questo è l’unico modo in cui si parla di migranti, allora il gioco è presto fatto, il nemico è l’immigrato tout court.
Difficile sapere quanto ci credano davvero questi novelli difensori della “nostra civiltà”, presi come sono a puntare tutto sulla questione sicurezza nell’intento di recuperare un po’ del consenso elettorale perduto. Ma è fuori di dubbio che i guasti prodotti da queste continue campagne e iniziative rischiano di diventare durature e radicate in una parte del corpo sociale.
E inizia qui il vero problema. Milano non diventerà una città multietnica, semplicemente è già multietnica, multiculturale e multireligiosa. Sono oltre 180mila i migranti residenti in città e soprattutto sta arrivando la seconda generazione, cioè i figli dei migranti nati in Italia, come confermano gli ultimi dati del MIUR che ci dicono che l’11,6% degli alunni delle scuole milanesi è di origine straniera.
L’Italia si è trasformata soltanto di recente in paese di immigrazione, ovvero ha appena smesso di essere paese di emigrazione, anche se nessuno sembra aver voglia di ricordarsene. Se, da una parte, questo può costituire un problema aggiuntivo, dall’altra rappresenta una grande opportunità. Cioè, si potrebbe imparare da altre esperienze di altri paesi europei, da Londra e Parigi ad esempio. Insomma, imparare a non ripetere, magari in peggio, la formazione di ghetti urbani e sociali e la produzione di ripiegamenti identitari che tagliano ogni comunicazione. Basterebbe in fondo leggersi quel bel libro, Allah superstar, scritto a ritmo di rap dallo scrittore algerino-francese Yassir Benmiloud, per riflettere un po’.
Insomma, Milano e altre aree metropolitane italiane stanno correndo velocemente verso un bivio. O si prosegue con una politica che esclude, clandestinizza e criminalizza, mentre contemporaneamente mette a disposizione delle imprese dei lavoratori ricattabili e sottopagati, infilandosi così direttamente in un vicolo cieco per tutti e tutte, migranti o nativi che siano. Oppure si cambia strada, radicalmente.
Pare quasi un discorso di buon senso, eppure, guardando al dibattito politico, si presenta come il più difficile di tutti. E non ci riferiamo alle destre, che hanno scientemente scelto di scimmiottare Bush e di sostituire il canto della “fine delle ideologie” con il rilancio ideologico in stile teo-con. No, ci riferiamo alle sinistre, alle opposizioni, dove troppe volte i silenzi, i balbettii e le reticenze si sprecano non appena si tocca il tasto dell’immigrazione o della sicurezza.
È come se non si volesse vedere quello che succede, cadendo in una tragica sottovalutazione. Quando personaggi che godono, ahimè, di significativo ascolto nell’opinione pubblica, come la Fallaci, il sempre più scatenato Magdi Allam oppure il presidente del Senato della Repubblica, teorizzano e invocano lo scontro di civiltà, riscrivendo per l’occasione lunghi secoli di storia europea, allora siamo di fronte ai sintomi evidenti di qualcosa che dovrebbe preoccupare e dunque spingere a reagire. Invece no, persino nel giorno della pubblicazione dell’inchiesta di Gatti sul lager di Lampedusa, a ribadire che i Cpt non si toccano non ci pensa soltanto Pisanu, ma anche Livia Turco.
No, non ci siamo. Il tema dell’immigrazione non è marginale, è centrale per ogni progetto politico di alternativa che voglia guardare ad una società più giusta, democratica e libera. Occorre il coraggio di cambiare strada e di respingere le logiche securitarie ed escludenti, di cestinare quella fabbrica della clandestinità e del lavoro ipersfruttato che è la Bossi-Fini, senza sciagurati ritorni al suo antenato, la Turco-Napolitano, di chiudere una volta per tutte quei luoghi della apartheid giuridica che sono i Cpt, senza l’ipocrisia della loro delocalizzazione fuori dai confini dell’UE, e di riconoscere il diritto di voto agli immigrati. Tre misure semplici che non risolvono certo tutti i problemi, ma che sono un punto di partenza necessario per avviare una politica alternativa che investa su una nuova cittadinanza basata sull’inclusione, la partecipazione e i diritti.
Milano non è poi tanto diversa da altre città o dall’Italia intera. Il problema è il medesimo. Per questo non dobbiamo permettere che cada sotto silenzio e che rimanga fuori dalla discussione delle forze che compongono l’Unione. Un impegno ineludibile per la sinistra, senz’altro, ma anche -e forse soprattutto- per i movimenti e le associazioni, che proprio ora dovrebbero alzare la voce. Perché a nessuno vengano concessi degli alibi.
Nessun commento trovato.