Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di maggio-giugno 2005
A Milano dire Via Corelli equivale a dire Cpt, cioè “Centro di permanenza temporanea e di assistenza”. Un luogo identico a tanti altri sparsi per la penisola, anzi per il continente europeo. Quando, anni fa, ne fu avviata la costruzione, una parte della città reagì con indignazione e oltre 15mila persone marciarono su Via Corelli, chiedendone l’abbattimento. Oggi invece, le continue proteste e rivolte nel centro, nei mesi di aprile e maggio, hanno incontrato soltanto la mobilitazione generosa di pochi e la stessa stampa, a parte le solite eccezioni, non le considerava una “notizia”.
Le ragioni di questo contrasto tra ieri e oggi sono tante, da una certa abitudine e rassegnazione, nelle stesse fila della sinistra alternativa, di fronte al diffondersi delle politiche securitarie, fino alle purtroppo consuete divisioni tra le forze impegnate per i diritti dei migranti. Comunque sia, la conclusione è la medesima: vi è oggi l’impellente necessità di ri-costruire un tessuto di iniziativa politica e sociale, unitaria e incisiva, che si ponga l’obiettivo della chiusura dei Cpt.
Ma forse vale la pena ricordare anzitutto cosa sono e rappresentano i Cpt. Si tratta di luoghi di detenzione, cioè di privazione della libertà personale, istituiti dalla legge Turco-Napolitano, per cittadini di paesi non comunitari che non risultano in regola con il permesso di soggiorno. Lo stato di detenzione, secondo quanto poi stabilito dalla legge Bossi-Fini, si può protrarre fino a 60 giorni e viene determinato senza che ci sia necessità di alcun intervento da parte della magistratura ordinaria e senza processo penale. In altre parole, vengono ingabbiate delle persone che non hanno commesso alcun reato.
Soltanto una recente sentenza della Corte costituzionale ha imposto la convalida del “trattenimento”, poi però attribuita dal governo ai “giudici di pace”. Cioè, a dei magistrati ausiliari che, quando si tratta di cittadini italiani, si possono occupare al massimo di infrazioni al codice della strada. Pare dunque quasi superfluo aggiungere che nel 99% dei casi i “giudici di pace”, dopo udienze sbrigative, si limitano a convalidare semplicemente quanto richiesto dalla questura.
In fondo basterebbe questo per farci inorridire, poiché siamo alla negazione pura e semplice di uno dei principi fondamentali della stessa democrazia liberale, cioè il famoso “la legge è uguale per tutti”. In altre parole, in Italia vige oggi una sorta di apartheid giuridica per cui c’è un diritto per i cittadini italiani e comunitari e poi ce n’è un altro per i migranti. Non a caso, infatti, tutta la legislazione sui Cpt è piena zeppa di ambiguità e zone d’ombra, a partire dal fatto che i detenuti vengono chiamati ipocritamente “ospiti”.
Un grande abuso istituzionale, qual è l’esistenza stessa dei Cpt, genera ovviamente un’infinità di abusi quotidiani, documentati da anni di lavoro di associazioni e movimenti. Per non parlare delle espulsioni coatte che spesso seguono i 60 giorni di detenzione, dove la violenza è all’ordine del giorno.
Insomma, i Cpt sono insopportabili ed inaccettabili in una società democratica, ne rappresentano un cancro da estirpare. Ma allo stesso tempo sono lo specchio fedele di una politica sull’immigrazione basata sulla repressione e sull’esclusione, che oggi trova la sua codificazione nella razzista Bossi-Fini.
Forse le tante settimane di rivolte da parte dei detenuti e delle detenute di Via Corelli sono riuscite a darci l’opportunità di riannodare i fili in una città per troppo tempo distratta. Occorre accendere i riflettori sul Cpt, costruire mobilitazione e comunicazione o forse semplicemente ritrovare la capacità di indignarsi, per dire senza sé e senza ma che Via Corelli va chiusa, così come tutti i Cpt. È una questione che non riguarda soltanto i movimenti, le associazioni e i sindacati, ma anche i partiti dell’Unione. L’alternativa al governo Berlusconi non può prescindere da un rovesciamento della logica repressiva e antidemocratica dell’attuale politica sull’immigrazione e questo significa prima di tutto cancellare la Bossi-Fini, senza tornare alla Turco-Napolitano. Il gruppo consiliare di Rifondazione Comunista si mette al servizio di questo percorso e di questo impegno.
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