Articolo di Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina, pubblicato su Liberazione del 19 genn. 2008 (pag. Lombardia)
Un normalissimo cittadino della Lombardia fatica terribilmente a capire cosa succede all’aeroporto della Malpensa, a meno che non si voglia arrendere alla “spiegazione” propagandata da Formigoni, Moratti e Lega e amplificata a dismisura da tv e stampa locali: cioè, che Roma avrebbe deciso di punire il Nord operoso.
Dall’altra parte, non è certamente facile comprendere come mai un aeroporto esibito per lunghi anni come un gioiello dal governo regionale, in piena crescita (+10% di traffico passeggeri e +17% di quello merci nel 2007) e collocato nel ricchissimo mercato della pianura padana, si trovi all’improvviso di fronte alla prospettiva di essere travolto da una pesante crisi, anzitutto occupazionale. Insomma, c’è qualcosa che non quadra.
E allora, va anzitutto ricostruito come si è arrivati a questo punto, individuando le responsabilità e gli errori. C’è prima di tutto la crisi Alitalia, ormai arrivata a capolinea, dopo un decennio che i vari governi nazionali, in maniera assolutamente bipartisan, hanno semplicemente rinviato il problema, pompando risorse pubbliche nella compagnia di bandiera e nominando e strapagando dei manager inconsistenti. Oggi, Alitalia si trova con una flotta invecchiata e con l’incapacità struttuale di reggere su un mercato segnato da processi di concentrazione e dall’aggressività dei vettori low cost.
Ma se la storia di Alitalia è tutto sommato conosciuta, molto di meno lo è quella delle scelte della classe dirigente lombarda e nordista, che ha brillato soprattutto per miopia e autoreferenzialità. Sull’asse Torino-Trieste c’è ormai un aeroporto ogni 50 chilometri, quattro soltanto in Lombardia, e tutto questo in assenza completa di programmazione e specializzazione. In altre parole, l’espansione infrastrutturale è avvenuta nel caos di regole e sotto la guida degli interessi particolari. Come stupirsi quindi che il Presidente della Regione Veneto, Galan, abbia dichiarato che a lui di Malpensa non gliene fregava niente, perché doveva promuovere Venezia?
Oppure, basta guardare alla sola Lombardia, dove lo scalo varesino non solo era stato imposto alle popolazioni locali senza le necessarie valutazioni di impatto ambientale, ma ancora oggi è fanalino di coda in Europa per quanto riguarda l’accessibilità. E andrebbe ricordato che al suo lancio come aeroporto internazionale doveva corrispondere la trasformazione di Linate in city airport. Cosa non solo mai realizzata, causa perenne bagarre politico-istituzionale tra Regione e Comune di Milano, ambedue di centrodestra, ma fino a poco tempo fa autorevoli assessori regionali fantasticavano addirittura di un “secondo hub lombardo” a Montichiari (Bs).
Una politica mediamente responsabile dovrebbe semplicemente smetterla di giocare allo scaricabarile. Questo vale sia per il livello nazionale, laddove una svendita a Air France che comporta la perdita a breve di quasi 10mila posti di lavoro, tra aeroporto e indotto, è semplicemente insostenibile e inaccettabile, che per il livello locale, dove dovrebbe scattare finalmente un’assunzione di responsabilità in termini di programmazione pubblica.
E questo cambio di passo è maledettamente urgente, perché alla fine, chiunque “vinca” sul piano della comunicazione politica, il prezzo rischiano di pagarlo i soliti noti, cioè i lavoratori. Anzi, i primi 200 esuberi sono annunciati per fine gennaio. Ovviamente, si tratta di precari, tecnicamente non si parla nemmeno di licenziamento e gli ammortizzatori sociali per loro comunque non ci sono.
Da parte nostra, non abbiamo tabù di nessun tipo e ci confronteremo con ogni proposta in base alla sua capacità di salvaguardare l’occupazione nell’area di Malpensa, evitando di anteporre gli ammortizzatori sociali al lavoro.
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