Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 2 luglio 2008
Verso il tardo pomeriggio del lunedì una voce iniziava a circolare tra le associazioni e i giornalisti milanesi: era in corso una rivolta nel Cpt di via Corelli. Inizialmente al centro tentavano di negare, ma poi qualcuno ha visto l’andirivieni dei mezzi della questura e qualcun altro ha recuperato il solito contatto telefonico con un “ospite” del centro.
Insomma, la rivolta c’era, ma era molto più difficile del solito capire cosa fosse avvenuto esattamente, poiché la Prefettura di Milano aveva optato per una rigidissima blindatura del centro, impedendo al sottoscritto di poter entrare fino al giorno successivo, mentre la Questura rilasciava comunicati stranamente generici. Le camionette però erano lì.
Ora sappiamo che durante la notte la rivolta dei 25 immigrati di varia nazionalità della camerata D -o Delta come preferiscono gli addetti ai lavori- si è poi spenta. In sostanza, dopo lunga trattativa con gli “ospiti” la polizia si è semplicemente ritirata dal corridoio d’accesso alla camerata degli “insorti”, rinunciando ad entrarvi. Il bilancio della protesta sono dunque i soliti danni materiali, tra panchine di cemento e vetri distrutti, e un ferito lieve, un operatore della Croce Rossa colpito da una scheggia di vetro.
Questo è quello che si sa con certezza. E un’altra cosa ancora si sa, perché su questo concordano sia la questura che gli immigrati da noi sentiti ieri: l’incidente scatenante della rivolta è stato un diverbio tra un cittadino sudanese e un funzionario di polizia presente nel centro. Differisce invece il seguito. Se per la questura non si sarebbe mai andati oltre lo scambio verbale, per gli immigrati invece il poliziotto avrebbe risposto a escandescenze verbali, usando le mani. E così, una volta che l’immigrato era rientrato in camerata, la rivolta ha preso il suo corso.
D’altronde non ci vuole poi tanto per incendiare gli animi. Nel Cpt in questi giorni si soffoca, visto che il tetto è di lamiera e non esistono né condizionatori, né ventole, e poi c’è tutto il resto, a partire dalla condizione di detenzione. Figuriamoci poi quando arriva la notizia di un pestaggio gratuito.
Ovviamente non sappiamo se il pestaggio sia avvenuto effettivamente nei termini denunciati dal cittadino sudanese e oggi ribadito al sottoscritto nel corso della visita in via Corelli. Quello che però sappiamo è che la vicenda non può essere insabbiata e che la Prefettura ha il dovere di promuovere un’indagine senza reticenze.
Ma ciò che colpisce maggiormente in tutta questa vicenda è la ragione del diverbio che aveva innescato tutta la vicenda. Il cittadino sudanese è uno dei tanti casi di trattenuti nel Cpt che provengono dal carcere. In altre parole, persone che a fine pena dovrebbero essere immediatamente espulse, ma che invece vengono regolarmente “parcheggiate” nel Cpt per un mese o due di ulteriore e gratuita detenzione. Infatti, l’immigrato stava protestando perché per l’ennesima volta gli era stato comunicato il rinvio dell’espulsione, inizialmente prevista per lunedì.
Come dargli torto se si è arrabbiato? La sua identità è straconosciuta, le autorità hanno in mano permesso di soggiorno, carta d’identità italiana e passaporto sudanese e anche la data di rilascio dal carcere era nota agli addetti ai lavori. Eppure, nessuno si era preoccupato di prenotare un posto sul prossimo volo che lo avrebbe portato in Sudan. Molto più comodo mandarlo al Cpt, che poi qualcuno ci pensa. Con calma, ovviamente, visto che ci sono 60 giorni di tempo…
Insomma, il teatro dell’assurdo che sono i Cpt, ora denominati Cie, ci consegnano la storia di un immigrato che litiga con un funzionario della polizia perché non riesce ad andarsene dall’Italia e per questo, forse, rimedia pure dei cazzotti gratuiti.
E tutti gli apologeti dei centri di detenzione che sostengono che siano imprescindibili per l’identificazione e l’espulsione dovrebbero andarci ogni tanto in un Cpt. Sarebbe per loro molto illuminante. Ma soprattutto potrebbero scoprire che la follia dell’allungamento del periodo di detenzione amministrativa fino a 18 mesi, minori compresi, porterà semplicemente a rallentare ulteriormente le procedure. Tanto, che fretta c’è?
Se il Parlamento italiano approverà il limite dei 18 mesi, suggerito incredibilmente dal Parlamento europeo con tanto di astensione Pd, allora forse dovremo abituarci a rivolte come quella di via Corelli. Rivolte per riuscire ad essere espulsi, possibilmente senza prendere le botte.
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