Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Aprileonline.info il 5 dicembre 2008
La crisi non è uguale per tutti e nemmeno i tagli alla scuola. È questo l'inequivocabile messaggio che oggi viene ribadito con forza e sfacciataggine dal governo con la decisione di ripristinare i fondi per la sola scuola privata.
E' stato infatti sufficiente che il responsabile per la scuola della Cei, il massimo organismo dei vescovi italiani, cioè monsignor Stenco, minacciasse la mobilitazione degli istituti cattolici per ottenere, quasi in tempo reale, un emendamento governativo alla Finanziaria che ripristina i fondi alle private. Niente tagli dunque alla formazione privata.
E quella pubblica? Ebbene, tutto come prima: confermati gli 8 miliardi di tagli. Mesi di cortei, scioperi, lezioni all'aperto, occupazioni da parte di centinaia di migliaia di studenti, insegnanti e genitori della scuola pubblica non sono stati sufficienti per far cambiare idea all'esecutivo di centrodestra.
Due pesi e due misure. Non è che ci stupiamo, anche se fa un po' specie quando te lo sbattono in faccia come se fosse la cosa più normale del mondo. E, beninteso, non ce l'abbiamo nemmeno particolarmente con la scuola cattolica, poiché pensiamo che l'Assemblea costituente abbia fatto bene a scrivere all'articolo 33 della Costituzione che "enti e privati hanno il diritto a istituire scuole ed istituti di educazione", ma anche ad aggiungere subito dopo "senza oneri per lo Stato".
E su questo punto la Cei non la dice tutta, quando lamenta che in fondo lo Stato devolve alla formazione privata soltanto l'equivalente dello 0,1% delle risorse che destina a quella pubblica, perché si dimentica di ricordare che le scuole private godono anche di altre risorse pubbliche, a volte persino più cospicue di quelle provenienti dallo Stato centrale.
Questo è sicuramente il caso di Regione Lombardia, che negli ultimi sette anni ha girato alle strutture private lombarde la bellezza 282 milioni di euro mediante il cosiddetto buono scuola, arrivando così a coprire con un sussidio pubblico il 70% del totale di studenti delle private della regione. E il finanziamento a pioggia continuerà, nonostante la crisi, perché sono già messi in bilancio altri 45 milioni per il 2009. E ci fermiamo qui, anche se ci sarebbe altro ancora, come i milioni di euro stornati dai fondi per l'edilizia scolastica per finanziare la costruzione di nuove scuole private.
Insomma, la Cei e altri gestori di istituti privati non hanno poi tanto da lamentarsi. In realtà, polemizzare con i vescovi non porta lontano, perché il tasto dolente non è la Conferenza episcopale o il Vaticano, che non fanno che difendere i propri interessi, bensì una classe dirigente politica che pensa che la scuola pubblica e laica sia da ridimensionare e destrutturare, per fare posto a un modello privatistico e mercantile. E quindi, massima disponibilità verso il privato, in versione confessionale o laica, e massima intransigenza verso quanti rivendicano una riqualificazione della scuola pubblica. Due pesi e due misure, appunto.
E che questo sia la questione dirimente lo dimostra quanto sta accadendo negli ultimi mesi. Non ci sono soltanto i tagli, ma anche le misure per la privatizzazione più o meno forzata del sistema d'istruzione. Per le Università pubbliche la possibilità di trasformazione in fondazioni di diritto privato è già legge, grazie alla famigerata 133, mentre per le scuole la medesima possibilità è prevista in un ddl presentato in Parlamento dall'On. Aprea.
E così, l'odierno golden goal realizzato dalla Cei si sta già trasformando in una ripresa dell'offensiva da parte dei privatizzatori più spinti, tanto che un gruppo di deputati di Forza Italia, guidati dall'uomo di Formigoni a Roma, cioè il vicepresidente della Camera Lupi, ha immediatamente chiesto che ora si attui il "programma di governo, in merito alla libertà di scelta e alla parità scolastica", cioè la proposta Aprea.
Quanto successo oggi non è quindi un semplice atto di subalternità alle gerarchie ecclesiastiche, ma corrisponde a una visione più generale che anima la cosiddetta "riforma" della scuola pubblica, con tutto il suo corollario di interessi particolari e spesso inconfessabili.
Una ragione in più, insomma, per rilanciare la mobilitazione nel paese e per investire nella riuscita dello sciopero generale del 12 dicembre.