È mai possibile che tutte le istituzioni locali che insistono sul territorio milanese dichiarino che l’Innse di Lambrate, in quanto insediamento produttivo sano e con mercato, non debba essere chiusa, ma che poi nessuno sembra essere in grado di fermare un possibile intervento di polizia contro gli operai e il conseguente smantellamento della fabbrica? Pare impossibile eppure, in assenza di elementi di novità, questo sarà il probabile e squallido scenario per l’immediato futuro.
Infatti, ieri in Regione si è esaurito con un nulla di fatto anche l’ultimo tentativo in ordine di tempo per trovare una soluzione negoziata e positiva (vedi anche post su questo blog del 14 e 20 gennaio). E così, il secondo confronto, tenutosi presso la sede dell’Assessorato regionale al Lavoro, tra istituzioni (assente però il Comune), Prefettura, Rsu Innse, Fiom e rappresentanti della proprietà è stato anche l’ultimo, poiché il Vicepresidente della Giunta Regionale, Rossoni, ha dichiarato chiuso il tavolo. In altre parole, il governo regionale, appena resosi conto che qui non si trattava semplicemente di mischiare un po’ le carte sul tavolo, bensì di intervenire d’autorità, ha gettato la spugna.
E che dire delle altre istituzioni, cioè Provincia e Comune di Milano? La prima, una volta tanto, è impegnata da tempo e seriamente, soprattutto il suo Assessorato al Lavoro, ma purtroppo la Provincia è anche l’istituzione più debole e con meno mezzi. Il Comune, invece, dispone di mezzi più efficaci, per esempio sul piano urbanistico, ma è anche l’istituzione che ha tenuto il profilo più basso e defilato.
Insomma, ne viene fuori un quadro allarmante, ma forse sintomatico dello stato delle cose a Milano. Infatti, la Giunta Formigoni è disposta a mobilitare tutta la sua forza e immagine, andando persino oltre la legge e il buon gusto, per condurre una ignobile campagna ideologica sul corpo e sulla dignità di Eluana Englaro, ma nel caso dell’Innse alla prima difficoltà cede a un rottamaio come Genta. Il Comune, da parte sua, non si ferma davanti a nulla, facendo mobilitare ingenti quantità di polizia, carabinieri e “poliziotti locali” quando si tratta di sgomberare qualche centro sociale o rincorrere sui mezzi dell’Atm qualche immigrato, ma poi se ne frega allegramente quando si chiude una fabbrica sana e si cacciano 50 operai.
Infine, c’è il Governo, il grande assente. Eppure, l’Innse finì nelle mani di Genta a prezzi stracciati, cioè poco più di 750mila euro, quando era in amministrazione straordinaria. E chi allora presentò Genta come un ottimo imprenditore era un uomo politico che oggi fa il sottosegretario a Roma, cioè il leghista Castelli.
Ma per favore, che nessuno racconti che tutte le istituzioni messe insieme non sono in grado di prevalere sugli interessi particolari di Aedes, proprietaria del terreno e attualmente sull’orlo del fallimento, e di un finto imprenditore, Genta, il quale, peraltro, aveva preso la fabbrica a prezzo di favore per rilanciarla e non, come poi ha fatto, preoccuparsi soltanto di smantellarla per rivendere sul mercato i costosissimi macchinari.
E i 50 operai? Ebbene, loro sono l’unica parte dignitosa e degna di questa storia. Avevano proseguito in autonomia la produzione quando Genta aveva decisa di fermarla e poi, dopo essere stati cacciati fuori dai cancelli dalla polizia, hanno iniziato a presidiarla, giorno e notte, a prescindere dalle temperature. Sono passati mesi e non si sono fermati un attimo, non per ottenere qualche ammortizzatore sociale, ma per poter lavorare, visto che c’è mercato per la produzione, e salvaguardare uno dei pochi insediamenti produttivi rimasti a Milano. In altre parole, sono gli unici che si fanno carico dell’interesse generale, mentre i potenti del Pirellone, di Palazzo Marino e del Governo si dichiarano impotenti di fronte a qualche interesse particolare, pure un po’ losco.
Pensiamo quindi che questi operai, le loro motivazioni e la loro lotta meritino più di qualche simpatia. Meritano solidarietà concreta e appoggio. Perché la storia non può e non deve finire qui.