Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua (ex Aprileonline)
Ci vuole del fegato a dire di no quando ti ricattano brutalmente, dicendoti che devi applaudire il diktat del padrone, se non vuoi finire disoccupato in una terra dove un posto di lavoro vale oro.
E ci vuole una grande forza d’animo per non soccombere alle minacce e alle pressioni di mezzo mondo, che ti piombano addosso sotto forma di dvd aziendali, inviti televisivi alla responsabilità e volantini sindacali.
Hanno fatto di tutto e di più per drammatizzare, dalle marce del centrodestra locale e dei capi Fiat fino alla mobilitazione dei Ministri e del gotha dell’imprenditoria italica, liberista quando si tratta dei diritti e delle paghe dei lavoratori, statalista quando si tratta di reclamare e intascare denaro e favori pubblici.
E l’hanno fatto con la collaborazione attiva e volontaria di buona parte di quelli che, almeno per i ruoli formalmente ricoperti, avrebbero dovuto fare un po’ di opposizione e delineare qualche alternativa. Invece no, anche da Pd e IdV si levavano voci che dicevano che bisognava bere l’amaro calice, aggiungendo poi, con insopportabile ipocrisia e in aperta sfida alla realtà, che tanto quel contratto sarebbe rimasto un’eccezione.
Non diversamente sono andate le cose nel mondo sindacale. Lasciamo stare la Cisl di Bonanni, che ormai ha quasi completato la sua metamorfosi in organizzazione collaterale del Governo e di Confindustria, ma che dire della maggioranza della Cgil che platealmente ha preso le distanze dalla Fiom?
Insomma, una canea da pensiero unico che lasciava poco scampo e che preannunciava un plebiscito. Cioè, esattamente quello che Marchionne e tutto il coro volevano, non tanto per Pomigliano in sé, ma perché, appunto, in gioco c’erano e ci sono le relazioni tra lavoratori e imprenditori in generale nel nostro paese.
Per capire che questa fosse la posta in gioco, in fondo, era sufficiente guardare alla vicenda dell’Indesit che viene al pettine proprio in questi giorni. Il gruppo, replicando apertamente le modalità di Marchionne, intende chiudere gli stabilimenti bergamaschi, gettando sul lastrico oltre 500 operai, e trasferire la produzione a Caserta, cioè in quella regione italiana dove, secondo le parole della Marcegaglia, nessun imprenditore vorrebbe andare, salvo l’eroico e patriottico Marchionne.
Eppure, a Pomigliano il plebiscito non c’è stato, anzi. Una partecipazione al voto altissima, 4.642 su 4.881, ma i “sì” sono stati 2.888 (62,2%) e i “no” 1.673 (36%). Inoltre, va sottolineato, se da quelle cifre sottraiamo il voto dei capi e degli impiegati, cioè di quel seggio che ieri sera aveva fatto gridare al trionfo qualche incauto funzionario della Cisl, i “sì” superano di poco il 50%.
Dagli operai di Pomigliano viene una grande lezione di dignità a tutto il paese e un messaggio chiaro: non ci può e non ci deve essere nessuno scambio tra lavoro e diritti.
E per questo li ringraziamo.
Ora la Fiat cercherà di fare la furba, aggiungendo ricatti a ricatti e minacce a minacce. Che i no sono troppi, che a questo punto se ne andrà dall’Italia, che farà una newco eccetera. Dall’altra parte, stando a quanto firmato nell’accordo, l’investimento a Pomigliano non era sicuro nemmeno con il sì al 99%, visto che è condizionato da molti se e ma.
Tuttavia, se la Fiat riuscirà a ricattare ulteriormente oppure se riuscirà a trasformare questa vicenda in un pretesto per una decisione già presa, tutto questo dipende ora anche dalle scelte degli attori politici e sociali del nostro paese. Marchionne ha potuto fare quello che voleva perché aveva il tifo e il sostegno del Governo, di una parte considerevole del mondo sindacale e persino di parti significative dell’opposizione.