Gli scontri di via Sarpi tra centinaia di cittadini cinesi, in prevalenza giovani, e forze dell’ordine sono l’ennesimo campanello d’allarme per una Milano dove i momenti di conflitto tra istituzioni cittadine e immigrati si stanno moltiplicando in maniera preoccupante.
Il fatto che questa volta sia avvenuto nella chinatown milanese, coinvolgendo una comunità poco propensa alla protesta pubblica, dovrebbe far finalmente riflettere. In fondo, poco importa la scintilla che ha dato il via alla ribellione di massa, ma conta invece il clima di tensione che si era creato nelle ultime settimane. Infatti, dopo lunghi anni di crescita del commercio all’ingrosso in zona, l’amministrazione comunale ha all’improvviso deciso di cambiare le regole del gioco, facendo quindi piovere quotidianamente le multe. Ovvio che i commercianti e i residenti cinesi si sentano a questo punto presi di mira in quanto comunità.
Un atteggiamento cieco da parte del centrodestra milanese, che ripropone quanto avviene, in maniera più estremistica, rispetto ad altre comunità immigrate. E così, contro i rom si organizzano le ronde, contro i luoghi di preghiera islamici si scatenano le campagne e ai phone center viene imposta la chiusura forzata in base a una legge regionale insensata e discriminatoria. E l’elenco potrebbe continuare.
Certo, ogni conflitto ha la sua storia e le sue specificità, ma ogni volta si ripresenta la medesima questione, cioè il paradosso di una città e di una regione dove si concentra gran parte dell’immigrazione nazionale, ma dove manca completamente una politica che possa favorire la convivenza e l’inclusione. Di conseguenza, spesso, l’unico punto di contatto tra istituzioni e cittadini immigrati avviene sul terreno dell’ordine pubblico.
Se non si cambia politica in fretta, si rischia davvero di costruire i presupposti per un futuro di conflitti ben più aspri e radicali. Questo potrebbe far felice sicuramente le forze politiche che hanno sposato la xenofobia militante, come la Lega e parte di An, ma siamo certi che non sia nell’interesse della città né dei milanesi, autoctoni o immigrati.