Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 14 ottobre 2010, con il titolo “Con la Fiom contro la diffamazione”
La manifestazione nazionale della Fiom del 16 ottobre sarà molto partecipata, non c’è dubbio. E questo nonostante l’incessante lavorio della collaudata macchina della tensione e della diffamazione, per cui anche un uovo si trasforma in un atto di terrorismo, e i troppi bastoni tra le ruote messi da chi nel nostro paese si occupa di trasporto pubblico.
Anzi, è proprio l’intensità e l’aggressività di quella azione di contrasto a confermarci che l’appuntamento di sabato prossimo sta crescendo. Ma attenzione, questo non significa affatto che ora possiamo rilassarci, perché l’esperienza insegna che non c’è limite alle bassezze che sono disposti a mettere in campo.
Fate un piccolo sforzo di memoria e ripensate alle mobilitazioni degli anni passati. E non ci riferiamo al classico nostrano dell’allarme bomba e dei proiettili in busta, ma a quelle operazioni meno rozze, ma più insidiose sul piano comunicativo, che prendono qualche fatto marginale, per farlo diventare mediaticamente il fatto principale che oscura tutto il resto.
Il parallelo con eventi di qualche anno fa ci pare peraltro pertinente anche da un altro punto vista: la totale asimmetria tra l’isolamento della Fiom a livello ufficiale ed istituzionale e, invece, il significativo potenziale di consenso ed alleanza a livello sociale. Insomma, il mondo che sta in alto è una rappresentazione infedele del mondo che sta in basso.
Infatti, sono apertamente ostili ai temi e agli obiettivi della mobilitazione non solo la Fiat, la Confindustria, l’intero Governo e le oligarchie di Cisl e Uil, ma anche parte importante dell’opposizione parlamentare, mentre nella Cgil le ambiguità abbondano.
Ecco perché fa paura la riuscita della manifestazione del 16 ottobre, perché potrebbe svelare l’inganno e rimettere in gioco un’opzione diversa da quella del dumping salariale, della precarietà per tutti e tutte e del ricatto sociale ed esistenziale generalizzato.
E non è soltanto una questione di tattica, ma anche di sostanza politica. La prospettiva iperliberista, indicata come via d’uscita dalla crisi della globalizzazione liberista, è infatti incompatibile con la democrazia e la partecipazione.
Lo sanno bene i milioni di precari del nostro paese, che non hanno mai potuto sapere cosa significasse esigere un diritto o praticare la democrazia sul posto di lavoro, lo sanno i tanti e le tante costretti al lavoro nero, migranti o nativi che siano, e lo sanno i lavoratori e le lavoratrici di categorie, come quella del commercio, che hanno già sperimentato le magnifiche sorti dei contratti “innovativi”.
Non siamo dunque di fronte a una novità, bensì al tentativo di tradurre la quantità accumulata in un salto di qualità strutturale. I “10, 100, 1000 Pomigliano”, evocati da Bonanni, altro non sono che l’enunciazione di un progetto generale, socialmente e culturalmente regressivo, che include l’abolizione della democrazia nei luoghi di lavoro.
Non che nel nostro paese la democrazia nei luoghi di lavoro sia un granché, anzi, ma ora c’è qualcosa in più. Cioè, Bonanni e Angeletti non solo pretendono di sostituire un contratto nazionale approvato con referendum con uno nuovo, separato e mai sottoposto al voto dei lavoratori, ma ora firmano persino un accordo che dice che Fim e Uilm possono concordare nelle aziende delle deroghe al contratto nazionale separato e che quelle deroghe verranno “validate” non da chi lavora in quelle aziende, bensì da Fim, Uilm e Federmeccanica a livello nazionale.
Tutto chiaro? Persino il referendum-ricatto di Pomigliano non si potrà più fare. I lavoratori e le lavoratrici semplicemente non potranno più dire la loro sui contratti firmati a nome loro. E poi non potranno neanche più scioperare, perché altrimenti sabotano la produzione o il diritto al lavoro dei colleghi che non scioperano.
Insomma, non è possibile mediare o fare compromessi con chi imbavaglia i lavoratori, negandogli il diritto di votare, decidere e scioperare. Per questo, parlando del lato sinistro del mondo, i distinguo, le ambiguità o peggio sulla partita che si è aperta a Pomigliano sono inaccettabili e dannosi.
Sabato sarà una buona giornata a Roma, partecipata ed intensa. Sarà la miglior risposta a chi in questi giorni tenta di occultare i propri peccati dietro il rumore degli insulti. Anche per questo dobbiamo avere cura della manifestazione, non certo invocando servizi d’ordine “generalizzati”, bensì mobilitando le nostre intelligenze e consapevolezze.
Poi arriveranno i giorni successivi, forse quelli più importanti, in cui dovremo costruire il percorso, perché la battaglia sarà lunga e dura. Lo dovremo fare insieme, nella pluralità di soggetti e pratiche, centralmente e sui territori, e cercando anche chi questa volta non è venuto a Roma, ma con la consapevolezza che c’è un’occasione per ricominciare, mettendo al centro la questione sociale e la democrazia.
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