“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, sulla free press eretica MilanoX, n° xxix del 7 aprile 2011.
Quando in una categoria le adesioni agli scioperi crescono velocemente, a prescindere dalle sigle sindacali che li proclamano e nonostante i tempi di crisi e di portafogli magri, allora vuol dire che la misura è davvero colma. Ed è esattamente quello che ora sta accadendo nel trasporto pubblico locale.
Lo scorso venerdì, 1° aprile, a Milano ha scioperato l’80% degli autoferrotranvieri. Metro, tram e bus, quasi tutta l’Atm è rimasta ferma. Eppure non era la prima astensione dal lavoro in questo ancora giovane 2011, ma già la terza. E scioperare costa, perché quando scioperi non ti pagano.
Questa volta lo sciopero l’avevano proclamato le organizzazioni confederali e autonome, cioè Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl, Orsa, Fiasa-Cisal e Fast. Lo sciopero precedente, di venerdì 11 marzo, si era invece realizzato nel quadro dello sciopero nazionale di tutte le categorie, indetto dai sindacati di base Usb e Slai-Cobas, e aveva sorpreso stampa e Comune per l’alta adesione: le tre linee della metropolitana e oltre il 40% dei mezzi di superficie bloccati. E ci sono già le prossime date: lo sciopero generale della Cub del 15 aprile e quello della Cgil del 6 maggio.
Insomma, l’Atm assomiglia sempre di più a una pentola a pressione. Non siamo ancora al clima dell’inverno 2003-2004, quando gli autoferro si videro costretti a passare ai cosiddetti “sciopero selvaggi”, ma nella sostanza non siamo molto lontani.
Non a caso, una delle ragioni di fondo del malessere di macchinisti, tranvieri, autisti ed operai è identica a quella di sette anni fa, cioè il non rinnovo del contratto nazionale, scaduto ormai da oltre tre anni. Ma questa volta ci sono anche altri due elementi che aggravano la situazione. Primo, i draconiani tagli governativi dei fondi per il trasporto locale e, secondo, gli effetti devastanti dei contratti di ingresso. Questi ultimi, infatti, stabiliscono per i nuovi assunti degli stipendi più bassi rispetto a quelli dei “vecchi” dipendenti e provocano un divario di retribuzione, a parità di mansione, fino a 7mila euro all’anno.
Saranno ovviamente i lavoratori dell’Atm a decidere i prossimi passi, ma sta a noi non lasciarli soli e sostenerli, ognuno e ognuna per quello che può. Anche quando ci capiterà di rimanere appiedati di fronte alla stazione del metro chiuso.
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