Sono passati tre anni da quella domenica mattina, quando Milano si svegliò con la notizia che un giovane di 19 anni era stato ammazzato a sprangate in via Zuretti. Si chiamava "Abba" Abdoul Guibre, viveva nella vicina Cernusco sul Naviglio e la sua famiglia era originaria del Burkina Faso. I suoi assassini, padre e figlio, lo avevano inseguito e aggredito perché aveva sottratto due biscotti nel loro bar.
Al processo gli accusati avrebbero tentato di attenuare le loro responsabilità dicendo che erano convinti che fosse stato rubato anche l’incasso della notte, ma i testimoni si sarebbero ricordati soprattutto delle grida a sfondo razzista, tipo “negri di merda”.
Tre anni sono un tempo breve, eppure quel 14 settembre sembra lontano. Certo, una volta tanto la giustizia è stata celere, con il primo grado nel 2009 e la sentenza d’appello l’anno successivo, ma il punto ci pare un altro. Cioè, è il clima che si respira ad essere lontanissimo da quello che faceva da contorno all’omicidio di Abba e che, anzi, lo aveva ispirato almeno in parte.
Molti forse non si ricordano, o preferiscono non ricordarsi, delle tante parole e considerazioni profuse in quei giorni nei bar, in rete e negli studi televisivi. C’era, per esempio, quel consigliere comunale del centrodestra che parlava di “eccesso di legittima difesa” oppure vi erano quei commenti in rete che dicevano “noi” e “loro”, come se fossimo in guerra e, si sa, in guerra si muore.
Ma soprattutto c’erano i troppi “ma” e “però” che accompagnavano le condanne e il fastidioso ritornello “il razzismo non c’entra” che obbligatoriamente precedeva ogni dichiarazione ufficiale. Una questione, beninteso, che non riguardava soltanto il centrodestra, ma anche molta parte del centrosinistra. Ascoltate cosa dichiarò l’allora Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, il giorno dopo l’omicidio: “non ho mai inteso dare una connotazione razzista a questo episodio, …è stata una spedizione punitiva, ma non perché il ragazzo era di colore, ma perché aveva rubato”.
In quei giorni furono in pochi a cercare di non annegare nell’ipocrisia dilagante. Ci furono sicuramente l’associazionismo, i movimenti e pezzi sostanziosi della sinistra politica, che promossero una manifestazione di piazza il 20 settembre, ma anche una parte importante del mondo cattolico. Anzi, fu l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, a scagliarsi contro l’autoassoluzione e a porre la domanda più importante: “Se a insinuarsi nel bar fossero stati tre ragazzi bianchi, come sarebbe andata?”.
Alla fine, comunque, i portavoce dell’establishment si attestarono sulla tesi della “rissa finita male”, dei “baristi balordi” e dei “futili motivi”. Tesi comodissima e tranquillizzante, nonché già ampiamente sperimentata a Milano, come nel caso dell’omicidio fascista di Dax. Neanche i giudici se la sentirono di tirare in ballo il razzismo e condannarono padre e figlio a 15 anni e 4 mesi, confermati in appello, per omicidio volontario aggravato da motivi abietti e futili.
Oggi sono passati tre anni e, appunto, a Milano il clima è molto diverso. Le campagne d’odio della destra non tirano più e “zingaropoli islamica” era miseramente naufragata in campagna elettorale. Tutto bene dunque? Non esattamente, perché se da una parte i primi 100 giorni di amministrazione Pisapia hanno ri-dimostrato che la famosa “percezione di insicurezza” e l’isteria xenofoba erano indotti dalla politica, dall’altra parte sarebbe da miopi e illusi pensare che sia sufficiente vincere delle elezioni per rovesciare un’egemonia culturale.
Anzi, la crisi e le sue conseguenze sociali, in assenza di alternative, ripropongono drammaticamente il terreno di coltura della xenofobia e del razzismo, come ci ricordano peraltro le vicende del nostro continente, dalla Norvegia all’Ungheria.
Ricordare Abba e la sua vicenda tre anni dopo è, dunque, non soltanto un atto dovuto alla nostra umanità e alla memoria collettiva di Milano, ma anzitutto un’occasione per non abbassare la guardia e rammentarci del futuro.
di Luciano Muhlbauer
Questo articolo è stato ripreso e pubblicato anche dalla free press on line MilanoX, il 14 settembre, e dal quotidiano il Manifesto, nell’edizione del 15 settembre (con il titolo: “Pensare Abba per guardare al futuro”).
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