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GOVERNO MONTI: STIAMO FUORI DALLA GRANDE COALIZIONE
GOVERNO MONTI: STIAMO FUORI DALLA GRANDE COALIZIONE
di lucmu (del 17/11/2011, in Politica, linkato 3461 volte)
blog Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 17 novembre 2011
 
Il Governo Berlusconi non c’è più. Il caimano si è dimesso, consumato da un inglorioso autunno del patriarca e sempre più isolato. Era nell’aria sin dai tempi della rottura con Fini ed era diventato quasi una certezza con la splendida primavera dei sindaci e dei referendum. Ora finalmente è accaduto e quindi facciamo bene, noi di sinistra, ad esultare e sentirci sollevati.
Eppure, c’è un “ma” che pesa, perché dopo anni di lotte, speranze, delusioni, traversate del deserto ed indignazioni, alla fine non siamo stati noi a dargli la spallata. Nessun 14 dicembre, primavera democratica o 15 ottobre l’hanno mandato a casa. No, l’hanno fatto i “mercati finanziari” o meglio, visto che la mano invisibile esiste solo nelle favole, quei soggetti che dispongono dei mezzi finanziari per agire e per orientare.
E attenzione, non si tratta di una quisquilia, poiché quella dei protagonisti del cambiamento è questione decisiva. Altrimenti, per scomodare altre epoche storiche, perché nell’aprile 1945 il capo delle forze alleate in Italia avrebbe chiesto ai partigiani di stare fermi in attesa che le sue truppe liberassero il nord del paese e perché il CLN avrebbe invece deciso l’esatto contrario, dando l’ordine per l’insurrezione popolare?
In altre parole, il modo in cui si esce dal disastro berlusconiano è dirimente. E da questo punto di vista faremmo molto bene, noi di sinistra, a toglierci dalla testa che la fine di Berlusconi significhi di per sé l’avvento di un’Italia migliore. A maggior ragione nelle condizioni date, cioè nel bel mezzo della più micidiale crisi economica, sociale e politica che l’Europa abbia vissuto dagli anni Trenta del secolo scorso.
Ebbene sì, perché il punto è questo: ci stiamo liberando dall’anomalia italiana, per ritrovarci di colpo nella normalità della crisi europea. C’eravamo anche prima, ovviamente, ma forse il berlusconismo ci aveva un po’ annebbiato la vista. E così, come logica conseguenza dell’incapacità dell’opposizione sociale e politica di buttare giù il sultano e di avanzare una proposta politica alternativa, ci scopriamo ora destinatari di ordini di servizio alla pari di Spagna, Portogallo o Irlanda e commissariati come la Grecia.
In questi giorni Mario Monti gode di grande credito pubblico, un po’ per il legittimo sollievo di non avere più come presidente del consiglioBerlusconi, un po’ perché molti vedono in lui un’ancora di salvezza in mezzo alla tempesta. Tutto questo è comprensibile, ma non ci esime certo dal guardare oltre il momento e l’apparenza.
Mario Monti, come il nuovo primo ministro greco, Lucas Papademos, è espressione diretta dell’establishment finanziario internazionale. Papademos era governatore della banca centrale greca e vicepresidente della Bce fino all’anno scorso. L’ex commissario europeo Monti è advisor della potente banca d’affari “Goldman Sachs” e ricopre ruoli di primo piano nella Commissione Trilaterale e nel Gruppo Bilderberg. Beninteso, qui non è questione di complotti, ma molto più banalmente di prendere atto che oggi i circoli e le istituzioni del finanzcapitalismo (per usare la definizione di Gallino) hanno deciso di intervenire direttamente nella gestione politica degli Stati.
In questa dinamica, ad essere sconfitta e sottomessa non è tanto la politica intesa come ceto o partiti, bensì la democrazia, intesa come possibilità delle classi popolari di poter partecipare alla formazione delle decisioni pubbliche. Infatti, nelle lettere della Bce all’Italia o nello scandalo ufficiale di fronte all’ipotesi di referendum in Grecia ritroviamo la medesima insofferenza nei confronti della democrazia che abbiamo già visto all’opera a Pomigliano, Mirafiori o Grugliasco.
Insomma, delle pessime premesse per il futuro, dove in gioco non è il ricambio dei governanti, bensì la ridefinizione del sistema politico, sociale ed istituzionale. Cioè, la “terza repubblica” e il modello sociale.
Ecco perché non dobbiamo, noi di sinistra, stare nel recinto della Grosse Koalition a sostegno di un governo per nulla tecnico, il cui programma è stato scritto dalle istituzioni finanziarie. Non per ideologia, ma per realismo. E non per sbraitare a bordo campo, bensì per rientrare in gioco e costruire e organizzare un punto di vista alternativo, a partire dal lavoro, possibilmente con spirito unitario e insieme a movimenti e forze degli altri paesi europei. Altrimenti, anche le elezioni, quando finalmente arriveranno, serviranno a ben poco.
 
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# 1
Che questo non sia un governo tecnico, oltre che dalla natura strutturale dei provvedimenti che è chiamato a prendere, è dimostrato ulteriormente dall'intenzione dichiarata di arrivare fino al 2013, e anche l'atteggiamento con cui la stampa si interessa di posizioni e programmi del nuovo governo su argomenti e programmi che nulla hanno a che fare con l'emergenza economica e il ripristino di una legge elettorale decente. Dimentichiamo i tecnicismi e le "tregue tecniche", dunque, e riprendiamo subito a far politica, politica vera, quella che si preoccupa di che società costruire e dei soggetti che la costruiscono.
di  Silvia  (inviato il 17/11/2011 @ 11:15:33)
# 2
Il tentativo di portarci alla situazione greca è partito, anzi almeno in Grecia, si dovrebbe votare a febbraio 2012, ( non lo faranno mai)l'unica cosa sensata dichiarata dal politico berlusconi, e pienamente condivisibile " la democrazia è sospesa" purtroppo lo dice Lui, e gli altri di sinistra non accennano neanche.
Ciao Damiano
di  Damiano  (inviato il 17/11/2011 @ 18:19:20)
# 3
LA DITTATURA DELLE TECNOCRAZIE
Il governo Monti è il risultato di quella che può essere definita l’estenuazione della politica. Provocata da una doppia micidiale tenaglia: la fase terminale del governo Berlusconi e l’esplosione della crisi economica.
L’estenuazione della politica ha aperto la strada (o meglio una vera e propria autostrada) al potere dispotico delle tecnocrazie. Quelle che, fino a un minuto prima, avevano condiviso e contribuito ad elaborare le ricette economiche che hanno condotto il capitalismo maturo alla congiuntura economica attuale.
La crisi economica ha una portata epocale: segna, nel suo progressivo dispiegarsi e nel suo esito, il fallimento del capitalismo. La società, gli individui che la compongono sono proiettati nel tunnel del regresso delle proprie condizioni di vita materiale: il rapporto Istat su «La povertà in Italia», relativa al 2010, ci presenta l'immagine di un'Italia povera, socialmente fragile, con 8.27
di  paolo d'amico  (inviato il 18/11/2011 @ 20:46:01)
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