Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 18 dicembre 2013
C’è una Lega delle parole e c’è una Lega dei fatti. La prima ama i comizi e si proclama forza del popolo, la seconda governa tre regioni del Nord e fa più o meno il contrario di quello che dice la prima. Storia vecchia, direte voi. Può darsi, ma qui non si tratta di discutere del passato, bensì del presente e di uno dei temi sociali e politici più rilevanti: la scuola e il diritto allo studio.
Ebbene, lunedì mattina a Milano c’è stata una protesta contro la trovata del Presidente regionale Maroni di tagliare drasticamente la spesa per la scuola pubblica e, contestualmente, di salvaguardare il consistente finanziamento pubblico alle scuole private. Insomma, come Formigoni, peggio di Formigoni.
Secondo la Lega e i suoi alleati, infatti, i fondi per il “buono scuola”, il sussidio riservato alle famiglie degli alunni delle scuole private, devono rimanere praticamente invariati rispetto all’anno precedente, passando da 33 milioni di euro a 30, mentre quelli destinati alle famiglie delle scuole pubbliche vanno fatti letteralmente a pezzi, riducendo la “dote per il sostegno al reddito” da 23,5 milioni a 5 e quella per il “merito” da 5 milioni a zero.
E i numeri non dicono nemmeno tutto, perché il sistema ideato a suo tempo da Formigoni è strutturalmente discriminatorio. Quindi, le famiglie della scuola pubblica, per poter avere un sussidio modesto, devono rispettare requisiti stringenti e presentare il certificato Isee, mentre quelle della scuola privata non solo hanno criteri molto più elastici e sussidi più generosi, ma soprattutto non devono presentare certificati. Basta, infatti, autocertificare un “indicatore reddituale”, dal quale è però esclusa ogni dichiarazione circa la situazione patrimoniale.
Contro questo scandalo, al quale oggi si aggiunge la beffa de tagli unilaterali, si sono mobilitati gli studenti, anche se solo pochi in giro per l’Italia lo sanno. Già, perché tutti i media, dai Tg nazionali alla carta stampata, hanno parlato della protesta e della sua vivacità, dell’acqua della fontana del Castello colorata di rosso, del corteo studentesco preso a manganellate davanti al Pirellone e del gruppo di studenti e insegnanti che ha interrotto i lavori Consiglio regionale. Ma, appunto, delle ragioni della protesta quasi nessuno ha parlato.
Ma il problema non è tanto il sistema informativo mainstream, quanto invece l’impressionante pochezza delle reazioni di chi, per ruolo politico o istituzionale, avrebbe invece il dovere di dire qualcosa sul merito della questione. Cioè, ognuno è libero di esternare come crede sulle forme della protesta, ma passare sotto silenzio le ragioni della mobilitazione non è ammissibile, non in questo caso.
Per non parlare, poi, dell’imbarazzante cinguettio del Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, che commentava così la giornata: “Agli studenti di Milano: questo è il governo che ha investito sulla scuola. Basta con la violenza, protesta sì ma non violenta”. Almeno informarsi prima di parlare, no? In fondo, sarebbe istituzionalmente di interesse del Ministro dell’Istruzione sapere cosa sta facendo Regione Lombardia con il denaro pubblico in materia di istruzione.
Insomma, meno male che ci sono gli studenti, perché senza di loro avrebbe regnato il silenzio su questo ennesimo scandalo lombardo. Ma, a parte poche e lodevoli eccezioni, sono stati lasciati da soli e quindi difficilmente potevano riaprire i giochi. E così, nella giornata di ieri, il Consiglio regionale ha votato i tagli di Maroni. Colpa della Lega? Sì, certo, ma anche di chi è stato in silenzio o ha parlato d’altro.