Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 15 settembre 2006
Dopo sette mesi di aspro confronto in Commissione, il progetto di legge lombardo sul mercato del lavoro, voluto fortemente da Formigoni in applicazione della legge 30, approda in aula consiliare il 19 settembre prossimo. Certo, rispetto alla versione originaria alcune tra le misure più estremistiche sono state attenuate, senza tuttavia scalfire l’impianto di fondo.
Il cuore del provvedimento è rappresentato dalla liberalizzazione pura e semplice dell’intermediazione di manodopera. Infatti, il vecchio collocamento pubblico era stato abolito definitivamente dalla legge 30 e le relative competenze erano rimaste alle Province, salva la possibilità -ma non l’obbligo- per le Regioni di legiferare diversamente. Ora il centrodestra lombardo vuole accantonare il residuo ruolo pubblico, introducendo un “sistema regionale dei servizi per il lavoro” composto da operatori pubblici e privati.
In altre parole, vi sarà sostanziale parità tra soggetti privati e pubblici e ambedue dovranno accreditarsi presso la Regione per poter operare e così ricevere un finanziamento regionale. Alle Province rimarranno in esclusiva soltanto alcune funzioni amministrative, come il collocamento mirato delle persone disabili, la gestione delle liste di mobilità o l’avviamento alla selezione per le pubbliche amministrazioni. Tutto il resto, cioè il grosso del business delle braccia, sarà terreno di libera concorrenza tra privati e pubblico.
Insomma, si tratta sostanzialmente del medesimo sistema di accreditamento già vigente in Lombardia nella sanità e nella formazione professionale e che in questi anni ha portato al drenaggio di ingenti risorse pubbliche verso operatori privati, nonché a innumerevoli inchieste di guardia di finanza e magistratura.
Facile prevedere che un siffatto sistema porterà nel giro di poco tempo all’emarginazione degli enti locali dalle politiche occupazionali e all’espansione di quelle aziende che d’ora in poi potranno liberamente integrare i loro servizi, dalla selezione di personale alla fornitura di manodopera, con l’attività di collocamento. Ovvero, le istituzioni saranno sempre meno in grado di incidere sulle dinamiche del mercato del lavoro, mentre le aziende di somministrazione e intermediazione, portatori di interessi particolari, disporranno di un crescente e indebito potere sulla vita di lavoratori e lavoratrici.
Quello che colpisce di più nella determinazione del centrodestra lombardo è la completa indisponibilità a confrontarsi con la situazione reale che vivono oggi i lavoratori, italiani o stranieri, in Lombardia. I salari e gli stipendi hanno subito un calo preoccupante di potere d’acquisto, la precarietà e l’insicurezza sociale si sono trasformati in un autentico fenomeno di massa e persino lo sfruttamento del lavoro irregolare, compreso il caporalato, sta vivendo una sua triste primavera nella ricca e moderna Lombardia. Non a caso, infatti, la legge formigoniana abbina la liberalizzazione dell’intermediazione di manodopera a generiche petizioni di principio, non prevedendo misure concrete e incisive di contrasto della precarietà e dello sfruttamento del lavoro irregolare. Questa legge, qualora approvata, non solo non porrà un argine alla nuova questione sociale che attanaglia la Lombardia, ma finirà per aggravarla.
E allora risulta ancora più stupefacente che Ds e Margherita regionali si siano limitati in commissione ad una timida astensione, prigioniere evidentemente della miope ricerca di soluzioni bipartisan a tutti i costi. Eppure, delle alternative ci sarebbero. Di fronte all’inadeguatezza dei servizi per il lavoro attualmente esistenti si potrebbe investire sulla riqualificazione e sulla costruzione di una rete pubblica, coinvolgendo anche i Comuni. Di fronte alla precarietà dilagante, si potrebbe introdurre un sistema di incentivi e disincentivi per favorire la stabilizzazione dei posti di lavoro, cominciando dalle stesse amministrazioni pubbliche. E, infine, di fronte allo sfruttamento del lavoro irregolare si potrebbe promuovere e coordinare una campagna di vigilanza e controlli, magari a partire da quei cantieri sotto gli occhi di tutti. Tutto ciò è possibile qui e ora ed è esattamente quanto Rifondazione Comunista propone da lunghi mesi.
Ovviamente, porteremo la nostra battaglia fino in fondo nell’aula consiliare, ma ci vorrebbe davvero uno scatto di mobilitazione da parte delle forze sociali per impedire che il caporalato venga elevato al rango di politiche per il lavoro, magari con qualche collaborazione proveniente dalle fila della stessa Unione. Lo stesso scatto necessario a livello nazionale per rilanciare la battaglia per l’abrogazione della legge 30, a partire dalla manifestazione nazionale del 4 novembre.
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